AMERICANISMO E FINANZIARISMO
Con il titolo sopraindicato, mi sono permesso di parafrasare il saggio di Gramsci su “Americanismo e Fordismo” ( tratto dai “Quaderni del Carcere” del 1932-35), perché attraverso esso un parallelo storico è possibile, in virtù della estensione del Capitalismo Usa nel suo aspetto di preminente controllo finanziario su tutta l’area occidentale. In Usa, la leggi moralizzatrici che si andavano imponendo con il “Proibizionismo” (primi anni ’30 del secolo scorso) seguivano e rafforzavano la “razionalizzazione fordista”, orientata ad ottenere una maggiore produttività del lavoro. Quest’ultima progrediva “capitalisticamente” grazie ad un retroterra sociale più disponibile ai cambiamenti: una nuova organizzazione sociale con cui far ripartire la società e l’economia, completamente in panne, a seguito della grave crisi del ’29 E cos’ che venne a consolidarsi una nuova organizzazione del lavoro, come premessa ad una condizione entro cui far emergere un nuovo tipo di lavoratore che, nell’espressione tayloristica del “gorilla ammaestrato,” esprimeva il fine ultimo della società americana.
Quel periodo può riflettersi oggi come una immagine sociale rovesciata: una incontrollabile finanziarizzazione dell’economia che comporta una inevitabile (de)regolazione (precarizzazione) del lavoro, effetto quest’ultimo di un processo di deindustrializzazione, che fa da contraltare all’altra, ineluttabile “liberalizzazione dei costumi”, retroterra ideale ad una compenetrazione finanziaria in tutta la struttura economico-sociale.
Gramsci affrontò spesso il tema del Capitalismo Finanziario Usa nel suo controllo sull’economia europea; cito soltanto a mo’ di esempio, un articolo apparso sull’Unità dell’ 11 settembre, 1925 (a fascismo in corso) dal titolo “Un giornale in liquidazione,” con il sottotitolo “L’Avanti si converte allo schiavismo;” articolo che riprende una lettera di Tasca all’Unità (giornale comunista) riguardo lo “strano” atteggiamento assunto dall’<Avanti !> (giornale socialista), nei riguardi di un affare concluso tra la Sip e la finanza americana, di difficile lettura, circa il discernimento, tra “interessi proletari” e quelli dell’alta finanza. Gramsci evidenzia nell’articolo che “questo episodio rimarrà caratteristico nella storia del movimento operaio italiano e nella cronaca del processo di putrefazione della socialdemocrazia europea… perché è evidente il significato dell’intervento della finanza americana nei paesi europei rovinati dalla guerra: esso significa che questi paesi riconoscono i debiti di guerra, cioè si impegnano a pagarne gli interessi, e devono perciò rincrudire il regime fiscale; esso significa per l’Italia ..che allo sfruttamento del capitalismo indigeno sulla mano d’opera salariata italiana si aggiunge d’altra parte lo sfruttamento del capitalismo americano, cioè che ci troviamo dinanzi alla prospettiva di una nuova decurtazione dei salari per pagare il diritto di mezzadria alla finanza americana sulle forze produttive italiane; esso significa un rafforzamento della reazione italiana.”
Le questioni poste da Gramsci furono nell’ordine degli interrogativi che l’invasione della civiltà americana nei confronti della vecchia Europa poteva comportare e che fece dire a Pirandello (1929) di come l’americanismo in Europa sommergesse tutto e dietro al denaro corresse il modo di vita e di cultura di quello. Ovviamente non era dato di sapere a Gramsci (in quanto detenuto in carcere dalla fine anni Venti e fino alla sua morte, nel ’37) quale rivoluzione interna era in atto nel capitalismo Usa; tra l’altro, brillantemente descritta dopo di lui (negli anni ’40) dall’economista americano Burnham nel suo “La Rivoluzione Manageriale.” E in effetti, un Capitalismo Manageriale (o dei funzionari del Capitale) si andava creando, grosso modo dalla 1° guerra mondiale e tendeva a permeare l’intera area occidentale con la forza di un terremoto, nei cui confronti le vecchie strutture liberal-borghesi ottocentesche apparivano fragili fuscelli destinati ad essere spazzati via. Si ricorda, per inciso, che gli unici stati europei che seppero fronteggiare la crisi, sia pur con epiloghi drammatici, furono quelli fascisti e nazisti. Ciò per dare l’idea di quale impatto violento ebbero tra i popoli occidentali le crisi capitalistiche, aggravate dall’incapacità dei governanti di fronte al marasma finanziario, che avanza(va) similmente alla potenza attrattiva della “materia impresa” entro il “buco nero finanziario”
L’indagine di Gramsci sul Capitalismo americano sta sulla stessa lunghezza d’onda della ricerca delle “Noterelle sul Macchiavelli,” nella l’individuazione di un “Nuovo Principe” che “nell’epoca moderna” non poteva incarnarsi in un eroe personale, ma soltanto nella “costruzione” di un Partito Comunista e nella possibilità con esso di formare una egemonia politica interna ad un nuovo tipo di Stato, al fine fronteggiare non solo la crisi del capitalismo quanto la “crisi statale dei partiti” espressa in modo stridente nel particolare rapporto tra intellettuali e classi dominanti; e su questa linea si dipanava l’analisi sulla presa egemonica del Capitalismo Usa come conseguenza del vuoto politico prodotta dalla crisi dei partiti non solo in Italia, ma anche per l’intera Europa.
Una lettura più attenta del saggio ci conduce ad una rivisitazione storica delle politiche socialdemocratiche europee, che per far fronte alla crisi tentarono di riprodurre lo “sviluppismo fordista,” con un esito scontato: una divaricazione delle politiche economiche nel tentativo illusorio, di “conciliare l’inconciliabile”. Si tentò in pratica di adattare il produttivismo Usa in un contesto economico-sociale gestito da governi plutocratici alla guida di pletoriche macchine statali, in odore di “Socialismo di Stato.” Per altre vie e con altri intenti si intrecciò con una certa incidenza, l’innesto del fordismo nel corporativismo fascista, a questo proposito si ricorda il rapporto privilegiato che, già dai primi del Novecento, aveva Giovanni Agnelli con Henry Ford, per l’introduzione in Italia di una organizzazione industriale simil-tayloristica (la quale seppe inoltre adattarsi alla struttura economica-sociale del “Nazional-Socialismo,” poi incarnatasi “nell’operaio specializzato,” come prototipo simbolo del nazismo. Su quest’ultimo, si confrontino i miei due saggi usciti nel blog “Struttura e Pratica del Nazional-Socialismo” di F.Neumann).
Ma nella ricerca teorica di Gramsci c’è anche un ordine di problemi posti più in profondità, rispetto a quelli più immediatamente politici. Nel mettere a confronto due formazioni economico sociali (Statunitense ed Europea), emergono tra esse, due “tipologie” di accumulazione originaria completamente diverse: da un lato “l’americanismo” che nell’espressione di una tipologia di capitalistica descrive “ una composizione demografica razionale e consistente nel fatto che non esistono classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo, cioè classi assolutamente parassitarie”; dall’altro, “la ‘tradizione’, la ‘civiltà’ europea è invece proprio caratterizzata dall’esistenza di classi simili (parassitarie), create dalla ‘ricchezza’ e ‘complessità’ della storia passata che ha lasciato un mucchio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina… si può dire che quanto più vetusta è la storia di un paese, e tanto più numerose sono queste sedimentazioni di masse di fannulloni e inutili che vivono del patrimonio degli avi.. ”
Tutto ciò sembra sottendere all’attivazione di politiche nazionali che possano aprirsi ad un nuovo contesto politico-sociale e/o ad una nuova organizzazione industriale in grado di imprimere una maggiore produttività aziendale con la quale far fronte alla invadente competizione americana, la cui componente finanziaria è l’elemento portante ed essenziale. E sulla formazione di un nuovo contesto sociale, Gramsci intravede un “nuovo ceto intellettuale” da contrapporre alla classi dominanti nostrane dipendenti da quelle Usa; un richiamo ad un nuovo soggetto politico in grado di farsi carico, non tanto di un antiamericanismo generico che può nascere da necessità contingenti e contraddittorie delle “crisi economiche e morali a tendenza spesso catastrofica..”, quanto e soprattutto per poter realizzare una politica tesa alla costruzione di una nuova “egemonia” sociale dove il costituendo Partito Comunista (di cui Gramsci era segretario) potesse occupare un suo ruolo fondante.
E per continuare sullo stesso tema, il problema che formula Gramsci assume il contenuto di un messaggio lasciato alle future generazioni che così viene descritto: “se l’America, col peso implacabile della sua produzione economica (e cioè indirettamente) costringerà o sta costringendo L’Europa a un rivolgimento della sua assise economico-sociale troppo antiquata, che sarebbe avvenuto lo stesso, ma con ritmo lento e che immediatamente si presenta invece come un contraccolpo della ‘prepotenza’ americana, se cioè si sta verificando una trasformazione delle basi materiali della civiltà europea, ciò che a lungo andare (e non molto lungo, perché nel periodo attuale
tutto è più rapido che nei periodi passati) porterà a un travolgimento della forma di civiltà esistente e alla forzata nascita di una nuova civiltà.
Gli elementi di ‘nuova cultura’ e di ‘nuovo modo di vita’ che oggi si diffondono sotto l’etichetta americana, sono appena i primi tentativi a tastoni, dovuti non già a un ‘ordine’ che nasce da una nuova assise, che ancora non si è formata, ma dall’iniziativa superficiale e scimmiesca degli elementi che incominciano a sentirsi socialmente spostati dall’operare (ancora distruttivo e dissolutivo) della nuova assise in formazione. Ciò che oggi viene chiamato ‘americanismo’ è in gran parte la critica preventiva dei vecchi strati che dal possibile nuovo ordine saranno appunto schiacciati e che sono già in preda ad un’ondata di panico sociale, di dissoluzione, di disperazione, è un tentativo di reazione incosciente di chi è impotente a ricostruire e fa leva sugli aspetti negativi del rivolgimento. Non è dai gruppi sociali ‘condannati’ dal nuovo ordine che si può attendere la ricostruzione, ma da quelli che stanno creando, per imposizione e con la propria sofferenza, le basi materiali di questo nuovo ordine: essi ‘devono’ trovare il sistema di vita ‘originale’ e non di marca americana, per far diventare ‘libertà’ ciò che invece è ‘necessità’.”
G.D. Gennaio ‘09