Anche gli economisti lo ammettono. Non c’è più un centro regolatore mondiale

Multipolarismo imperfetto (2)

Multipolarismo imperfetto (2)

Dipinto di P. Audia, multipolarismo imperfetto

 

Anche i più economi(ci)sti tra gli analisti cominciano a capire che la disarmonizzazione finanziaria in atto, almeno da un decennio, è effetto (e non causa) del disordine sullo scacchiere internazionale. Padoan l’ha definita una stagnazione secolare non risolvibile con i normali strumenti tecnici già usati in passato. Gli economisti prendono atto di questa impotenza, lo fanno con riluttanza ed una vana speranza per il futuro – l’economia è una triste scienza proprio perché fondata sugli sbalzi d’umore dei suoi professori – ma incominciano a cogliere le reali problematiche della fase, pur senza tirarne le necessarie conclusioni. Scrive a tal proposito Pelanda su Libero: “Il mercato finanziario sta scontando più l’assenza di un pompiere che l’apparente aumento di incendi nel pianeta. Pertanto dovremmo concentrare l’attenzione ed eventuali pressioni sulla (ri)costruzione di un centro dell’ordine mondiale [eccolo l’economicista riluttante, convinto di poter ricostituire l’ordine mondiale con una formula magica di sua invenzione, aggirando le inevitabili battaglie, per la preminenza e la sopravvivenza delle varie sovranità nazionali, che gronderanno sangue e lasceranno una lunga fila di cadaveri sul terreno della storia] dove la Ue e via questa l’Italia contano molto, piuttosto che analizzare una per una le diverse fonti di instabilità e temere passivamente la guerra mondiale annunciata con apocalittica emozione dal Papa. La guerra diffusa fa parte della normalità storica. Infatti, dovremmo chiederci come mai dal 1945 al 2008 i conflitti e le crisi economiche/finanziarie sono stati più contenibili e limitabili che nel passato precedente e dal 2008 in poi. La risposta è semplice: fino al 1991 c’erano due imperi che si dissuadevano reciprocamente e tenevano in ordine le loro sfere d’influenza dando soldi e imponendo la pax, cioè un monopolio della forza che impediva conflitti oltre soglia. E c’era una Banca centrale americana che operava come garante mondiale di ultima istanza. Dal 1991 al 2008 ne è rimasto uno solo, troppo piccolo per gestire un mondo più complesso [ma il mondo diventa improvvisamente complesso non solo nella testa degli economisti ma per fattori concreti, come l’emergere di attori/competitori che restringono il raggio d’azione dell’unico “impero” rimasto. L’aleatorietà degli avvenimenti, a causa dei quali il mondo si complica, è la scappatoia alla quale ricorre l’economista per evitarsi la fatica di un lavoro di approfondimento che smentirebbe le sue previsioni precedenti], fatto resosi evidente dal 2001 al 2008. Dal 2008 al 2012 l’impero americano si è ritirato dal mondo, ha tentato un accordo G2 di cogestione globale con la Cina (2009-11), ma presto fallito. Dal 2013 l’America tenta di rifare l’impero in un modo nuovo, ma la visibilità di tale azione [la nebbia dilaga nella Scuola che addebita alla realtà la confusione prodotta dai suoi cervelli ] non è ancora sufficiente per rassicurare il mercato [il quale, evidentemente, ha una capacità d’intendimento più sviluppata dei suoi cantori, tanto da non prestare attenzione alle rassicurazioni degli stregoni della dismal science] gli attori finanziari vedono che la Fed adotterà una politica meno espansiva e che ciò ridurrà la pompa di capitale che dal 2009 ha fatto crescere le Borse artificialmente. Non vedono un soggetto di governo globale che argini il disordine geopolitico e finanziario e permetta di scommettere su una direzione di futuro sviluppo. Quindi scontano un ambiente di minor crescita dei corsi azionari, anche non credendo che la politica espansiva della Bce sostituirà la minor pompa di capitale in dollari, rifugiandosi nella più sicura liquidità inattesa degli eventi. Il momento economico, in realtà, non è ancora ribassista, ma è caratterizzato dall’attesa di un Leviatano mondiale [se fosse ancora l’America l’economicista farebbe i salti di gioia e si eviterebbe la fatica di rimangiarsi la sua lingua lunga e di cercarsi un altro committente] che ammazzi i banditi, limiti le ambizioni aggressive [addomesticando i nemici con le buone ma meglio ancora con le cattive per evitare ricadute] e agisca come prestatore di ultima istanza capace di garantire liquidità per qualsiasi guaio possa succedere. Per tale motivo, più che spaventarci del ritorno della normalità storica, dovremmo preoccuparci della dissoluzione della vecchia Pax e chiederci quanto si possa accelerare la (ri)costruzione di una nuova Pax, considerando l’urgenza di invertire la stagnazione degli investimenti che rende incerta la ripresa in Europa e, pur meno, in America. [A partire da questa affermazione le fantasie dell’economista raggiungeranno vette abissali ed avranno la meglio anche su quel poco di realismo mostrato sin qui, tanto da mettere in dubbio la sua intelligenza o la sua buona fede, decidete voi. ] L’azione in corso punta a creare un mercato integrato delle democrazie (perché sistemi compatibili, quelli non-democratici no) che implichi la messa in comune delle risorse militari e un accordo monetario corroborato da una procedura d’interventi a grande scala in caso d’emergenza globale. Perché partire dagli accordi di mercato? Gli imperi costano, nessuna singola nazione può reggerne uno, e quindi è necessario che un gruppo di nazioni abbia un vantaggio economico, tra cui il signoraggio monetario, per bilanciare i costi della governance comune del pianeta e della rinuncia a un pezzo di sovranità, cosa necessaria per il mercato unico. L’America ha già configurato il primo nucleo del mercato delle democrazie nel Pacifico (TPP) e sta spingendo per chiudere quello sul lato atlantico con l’Ue, in sigla TTIP, dove Cina e Russia sono escluse. L’interesse europeo e italiano è quello di accelerare tale accordo, ma proponendo delle variazioni al piano statunitense: lasciare una possibilità di accesso futuro alla Russia e inserire nell’agenda un accordo monetario tra dollaro, euro, yen, nonché le monete degli altri partecipanti, sia per la necessaria limitazione delle oscillazioni di cambio, sia, soprattutto, per creare un megafondo per liquidità d’emergenza. Quando il mercato vedrà [il mercato vede e provvede mentre l’economista non vede ma stravede per quello che gli fa più comodo] fattibile e prossimo tale nuovo impero delle democrazie, pari al 70% del Pil mondiale, sconterà una nuova era di sviluppo indipendente dalle turbolenze islamiche, nordcoreane, cinesi, ecc. Fino a che non lo vedrà, dovrà scontare incertezza crescente, congelare gli investimenti, comprare oro e licenziare [tutti gli altri, non l’economista che si guadagna la pagnotta seminando i campi del sistema con la sua fertile ideologia da strapazzo]”.

Dunque, nonostante tutte le esitazioni e gli ingarbugliamenti l’economicista è costretto comunque ad ammettere, salvo poi ritornare sui suoi passi, che sono le dinamiche geopolitiche, almeno in determinate fasi storiche in cui non c’è leadership indiscussa capace di imporre gerarchie e precedenze ai vari player, a determinare la sorte degli affari e delle borse. Ma siamo appena all’inizio di uno scollamento complessivo che dalla sfera economica si estenderà agli altri ambiti sociali infrangendo i totem della precedente situazione unipolare, in cui una sola suporpotenza poteva dettare le regole a tutti assicurando un certo equilibrio generale. Gli eserciti tornano a marciare davanti alle merci ed i rapporti di forza ad annullare i miti della cooperazione e della reciproca collaborazione. Il processo di ristrutturazione o rivoluzionamento dei rapporti mondiali si approfondirà in tale direzione infrangendo l’atteggiamento fiducioso di quanti ancora sperano di risolvere le questioni economiche confidando nell’azione della mano invisibile o nell’intervento compensativo dello Stato. Il pugno di ferro scuote la terra e le vibrazioni si estendono ovunque. Non ci sono più amici in questo mondo, nemmeno tra gli alleati. Siamo alla soglia d’ingresso di una nuova fase multipolare e le consolazioni degli economisti non basteranno a placare i dissidi che vanno estendendosi in ogni angolo del pianeta. Come ha scritto La Grassa: “La nostra non sarà affatto un’età tranquilla in quanto il suddetto multipolarismo annuncia una più accesa competizione geopolitica sulla scacchiera internazionale (che tramuterà poi in pieno policentrismo), sospinta dalla riduzione dei differenziali di potere tra le singole formazioni particolari o aree di proiezione egemonica, le quali lotteranno più accanitamente per primeggiare, approfittando dell’indebolimento del campo occidentale governato dalla superpotenza americana, ormai in relativo declino. Questo è, ovviamente, un bene in senso storico e geopolitico perché vuol dire che non moriremo tutti americani e soggiogati dagli statunitensi, la cui pre-potenza ed aggressività stanno superando ogni limite, non avendo incontrato barriere sulla propria strada per un ventennio, ma tutto ciò non c’entra nulla con il bene dell’umanità e altre amenità buoniste di ugual fatta”.