“Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti” (Fabrizio De André) di Oronzo Mario Schena

Mattarella ricorda Calipari “Non esaurienti spiegazioni sulla sua morte”
4 Marzo 2025
ROMA (ITALPRESS) – “Nel giorno del ventesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Calipari, la Repubblica rende onore al sacrificio di un valoroso dirigente del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, che ha perso la vita in una difficile missione a Baghdad, conclusa con il salvataggio di un’italiana rapita. E’ questo un giorno di memoria e raccoglimento, in cui desidero esprimere anzitutto i sentimenti più intensi di vicinanza alla famiglia e a quanti hanno operato con Calipari e gli sono stati vicini. Servitore dello Stato, quando venne colpito a morte, portava in salvo la giornalista Giuliana Sgrena, in quella che era l’ennesima missione compiuta per il recupero di connazionali”. Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 20° anniversario della scomparsa di Nicola Calipari.
“Se le spiegazioni delle circostanze che hanno causato la sua morte permangono tuttora non esaurienti, risalta, invece, la generosità estrema di Calipari che alla scarica di proiettili ha fatto scudo con il proprio corpo per sottrarre al rischio la persona che era riuscito a liberare – aggiunge Mattarella -. Un gesto di eroismo, iscritto nella storia della Repubblica”.
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Sì, è vero, agli USA tutto è permesso, loro sono l’impero del bene, ed è così che Guantanamo e Abu Ghraib, rigonfie di innocenti racimolati a caso, oppure offertisi volontari (?), trasmutano in luoghi estatici, a nascondere nefandezze illimitate di uno Stato criminale, specialista in stragi, rapimenti, sparizioni e torture, in modo rigorosamente extra giudiziale. Il tutto nascosto ben bene sotto il mantello narcotizzante di un grande Paese democratico … per finta s’intende!
Chissà se il Presidente Mattarella è al corrente, almeno dopo vent’anni, e altrettanti anniversari, magari dopo aver visto al cinema “Il Nibbio” di Tonda, dell’avversione americana per le trattative con i terroristi condotte da altri! povero Nicola Calipari!
Il P.d.R. Sergio Mattarella rappresenta comunque un sublime, rarissimo esemplare di coraggio davvero inspiegabile e incomprensibile, per essere riuscito a rendere onore a Nicola Calipari, nel giorno del ventesimo anniversario della sua uccisione. Chiedere forse alle istituzioni di recitare un “mea culpa”? un mea maxima culpa? Ma non scherziamo, neppure l’ammissione d’un minimum di culpa! In fondo la verità non esiste. O meglio la verità è un non luogo, una metafora dello stato e della democrazia italiana e non solo italiana. Parola di chi ha mandato in frantumi l’art. 11 della Costituzione. La verità è un non luogo dove tutto si annebbia e si confonde. E poi è risaputo che i processi servono a tutto meno che ad accertare la verità. Ci sarà forse un Presidente di troppo?
Invano si sfoglierà l’album delle “figurine presidenziali” alla ricerca di un Presidente con il coraggio tanto smisurato da permettergli di insultare, anche dopo 20 anni, la memoria dell’eroe Nicola Calipari, definendo “tuttora non esaurienti” le spiegazioni delle circostanze che causarono la sua morte! Ma il P.d.R. Mattarella è proprio sicuro di voler coprire la vergogna istituzionale italiana con quella coperta troppo corta, con quel: “permangono tuttora non esaurienti”?
Ma siamo proprio sicuri che l’unico sparatore sia stato il soldato Lozano? Ci vuole infatti un grande coraggio presidenziale, nonché una gran bella faccia bronzea per archiviare sotto la categoria del “non esauriente” anche l’assoluzione del Lozano con l’espediente del difetto di giurisdizione, e servono altresì quantità industriali di mala fede per l’accettazione del citato espediente.
Neppure il film “Il Nibbio” 2025 diretto da Alessandro Tonda è riuscito a dare una giustizia postuma ai fatti accaduti. Sono troppe le cose appena appena accennate nel film. Pure qualche mezzo colpevole, forse anche solo un ottavo di colpevole si sarebbe potuto individuare. Insomma sarebbe bastato leggere il bel libro del procuratore Erminio Amelio, quanto meno per porre in luce alcuni interrogativi dotati di un minimo di buon senso, non fosse che per addolcire quell’amarezza che si trova incisa indelebilmente nelle ultime righe del libro del procuratore: “avevamo un’esigenza di verità e di giustizia.
Non siamo riusciti a soddisfarle: dottor Nicola Calipari, ingiustizia è fatta!
Non sapremo mai, dunque, se a formare il diverso convincimento istituzionale sia stato determinante l’avvenuto mutamento politico al vertice della Presidenza del Consiglio dei Ministri tra il momento in cui c’è stata la costituzione di parte civile, il 2 novembre 2006 davanti al giudice dell’udienza preliminare, e l’udienza del 18 giugno 2008 davanti ai giudici della Corte di Cassazione. Adesso a difendere il ricorso del mio ufficio e a rivendicare strenuamente, la giurisdizione italiana chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte di Assise che l’ha negata, sono rimasti solo i legali delle Parti private, gli avvocati che difendono i familiari di Nicola Calipari e Giuliana Sgrena.
Le parti pubbliche, con percorsi diversi, si sono sfilate, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi e l’Avvocatura dello Stato si è rimessa alla decisione della Corte; ora rimane solo il nostro ricorso, quello predisposto dal Pubblico Ministero che ha condotto l’indagine.
Ancora una volta Calipari e Sgrena sono soli come in quella maledetta sera a Baghdad da dove tutto ha avuto inizio.
Gli interventi degli avvocati di parte civile sono appassionati, con dotte argomentazioni giuridiche smontano le motivazioni dei giudici di primo grado e concludono chiedendo che la Corte di Cassazione accolga i ricorsi, annulli la sentenza e consenta la celebrazione del processo nel merito davanti ad altra sezione della Corte di Assise di Roma.
La Corte non è vincolata alla richiesta delle parti quindi neanche a quella del Procuratore Generale.
Il linguaggio umano non parla sempre e soltanto di ciò di cui parla la parte inconscia di esso, per quanto vasta la si debba metaforicamente immaginare: “vi sono più cose in cielo e sulla terra di quante non ne sogni il vostro inconscio”, potremmo dire parafrasando Amleto; non in cielo forse, ma certamente sulla terra; non cose di cui l’inconscio non possa a suo modo sognare forse, ma cose la cui realtà certamente non si esaurisce nel suo sogno.
Invece, è più che lecito supporre che il linguaggio umano parli, se non sempre e soltanto, spessissimo e anche come parla per eccellenza la parte inconscia di esso.
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Quanto segue è tratto dal libro del procuratore Erminio Amelio (Ed. Rubbettino 2012):
Non ci sarà nessun processo in Italia nei confronti del soldato americano Mario Lozano imputato per l’omicidio del dottor Nicola Calipari.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha confermato la carenza di giurisdizione italiana: sono le ore 18 del 19/6/2008.
(da p. 285):Le sentenze dei giudici devono essere rispettate, qualunque sia l’esito del processo e le motivazioni che l’hanno concluso.
Il rispetto che si deve alle sentenze non impedisce (non deve impedire) di poter dissentire dalle stesse quando non si condividono le argomentazioni che hanno determinato i giudici a emettere quella decisione.
Si tratta di una manifestazione della libertà di pensiero irrinunciabile, dell’insopprimibile esercizio del diritto di critica, che non incidendo, a un punto di vista processuale, sulla sentenza della Corte di legittimità essendo la stessa immodificabile, può contribuire, però, a migliorare i termini del dibattito su argomenti delicati e di notevole importanza.
Dalla sentenza che ha definito il processo per l’omicidio del dottor Nicola Calipari statuendo la carenza della giurisdizione italiana, si può, e si deve, dissentire giuridicamente.
I motivi di dissenso, ovviamente, non costituiscono motivo di impugnazione – non ammesso dall’ordinamento contro le sentenza della Cassazione – ma sono esclusivamente una ragionata valutazione critica, e di parte, che può essere un ulteriore contributo utile a comprendere la vicenda al di là dell’aspetto strettamente giudiziario, il quale, per sua natura, soffrendo di limiti, a esso connaturali e perciò in una certa misura ineliminabili, scuramente non ha (non può avere) i crisma dell’infallibilità.
La sentenza della Corte di Cassazione può essere divisa, dal punto di vista della struttura in due parti: la prima con la quale i giudici, aderendo ai motivi di ricorso formulati dal Pubblico Ministero non hanno riconosciuto giuridicamente corretto l’operato della Corte di Assise in relazione alla norma consuetudinaria applicata al caso concreto (la legge della Bandiera e i SOFAs); la seconda con la quale i giudici hanno confermato l’esistenza della carenza di giurisdizione applicando la norma consuetudinaria del principio dell’immunità funzionale “ristretta”, l’operatività della quale non è esclusa nel caso dell’omicidio del dottor Nicola Calipari, non essendo questo qualificabile come crimine di guerra, unica eccezione idonea a disapplicare il principio consuetudinario.
Si concorda pienamente con i giudici della Cassazione nelle conclusioni contenute nella prima parte della sentenza.
Quello che non convince della decisione della Corte è, invece, la motivazione con la quale è stata confermata la carenza di giurisdizione.
Sono almeno due le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione che non possono essere condivise.
Esse riguardano, da un lato, la pretesa sussistenza di una norma consuetudinaria che afferma un principio generale di immunità funzionale ristretta e, dall’altro, la negazione che la condotta del soldato Lozano possa costituire un’ipotesi di crimine di guerra e, come tale, essere un’eccezione al citato principio consuetudinario.
Sul primo punto è da rilevare che il diritto internazionale prevede che alcuni soggetti (capi di Stato e di governo, ministri, agenti diplomatici) sono immuni dalla giurisdizione penale degli Stati stranieri per condotte che costituiscono esercizio delle loro alte funzioni e per il prestigio connaturale a esse. Si tratta di un principio consuetudinario che non è in discussione.
Al di fuori di tali categorie, e con l’estensione operata a favore dei rappresentanti consolari e degli equipaggi delle navi da guerra in territorio straniero, nessun altro soggetto può godere dell’immunità funzionale con la conseguenza che le condotte poste in essere, nell’esercizio delle loro funzioni da soggetti non rientranti in tali categorie, sono disciplinate dagli Accordi, bilaterali o multilaterali, stipulati fra le parti contraenti.
Ciò consente di affermare (anche se il principio non può dirsi pacifico) che non esiste in materia penale una consuetudine internazionale avene carattere generale che attribuisca l’immunità funzionale a tutti gli organi dello Stato, ivi compreso il personale militare.
La consuetudine invocata dalla Corte di Cassazione, sostenuta da una parte minoritaria degli studiosi, non solo non è stata mai recepita dagli Stati in espressa norma di legge, ma non ha avuto neanche l’avallo delle pronunce delle Corti e dei Tribunali, se si eccettuano poche sentenze straniere, peraltro non sovrapponibili al caso di specie.
Nella materia che ci occupa, l’atteggiamento degli Stati si è andato progressivamente attestando su una linea di segno contrario a quello indicato dalla Corte di Cassazione al punto da poter dire che è ormai prassi consolidata da parte degli Stati di regolamentare con specifici Accordi (i SOFAs) l’esercizio della giurisdizione sulle forze militari straniere. Proprio il ricorso alla stipula di SOFAs da parte degli Stati per disciplinare la protezione di alcune categorie di soggetti, e in special modo i militari, dimostra che la consuetudine indicata dalla Corte non esiste perché in caso contrario sarebbe superflua la stipula del SOFA per affermare una tutela ridondante.
Ma non sono solo gli Accordi a essere predisposti per evitare possibili conflitti; l’Italia, infatti, con riferimento all’impiego dei propri militari nelle forze multinazionali di pace, ha emanato apposite leggi il cui contenuto è opposto a quello della consuetudine che la Corte di Cassazione ha individuato e ritenuto essere norma regolatrice della giurisdizione.
Tutte le leggi italiane che hanno autorizzato l’impiego della missione militare in Iraq sono caratterizzate infatti dalla previsione della punibilità della condotta dello straniero che commetta un reato a danno dello Stato italiano (la prima legge è del 2003 ed è stata poi reiterata dal Parlamento ogni anno nell’ambito dell’autorizzazione al finanziamento delle operazioni all’estero delle nostre Forze armate).
In tal modo lungi dal voler abdicare alla nostra giurisdizione penale, è stata prevista con legge una riserva di giurisdizione passiva esclusiva a conoscere di tali delitti attribuita al giudice ordinario (non militare) italiano e precisamente al Tribunale di Roma, con conseguente competenza a investigare della Procura della Repubblica di Roma.
Calipari in Iraq era un organo dello Stato italiano che agiva sia per la tutela di un interesse supremo dello Stato sia per proteggere una cittadina illecitamente sequestrata. L’azione contro Calipari è stata contro lo Stato italiano che ha subito un grave danno: la perdita del numero due dei Servizi Segreti.
(…)Il problema che i giudici di legittimità dovevano risolvere era se il soldato Mario Luis Lozano sparando contro dei civili estranei al conflitto armato (tali erano senza alcun dubbio Calipari, Carpani e Sgrena), avesse commesso o meno un crimine di guerra.
Per i giudici supremi non si è trattato di un crimine di guerra perché tali sono solo le “violazioni gravi” del diritto umanitario dei conflitti armati a tutela della vita e integrità fisica in particolare della popolazione civile, come previsto dalle Convenzioni di Ginevra.
(…)nella vicenda dell’omicidio del dottor Calipari e del ferimento di Andrea Carpani e della giornalista Giuliana Sgrena l’oggetto del giudizio era (doveva essere) se Mario Luis Lozano sparando contro civili inermi avesse commesso almeno una violazione seria delle norme che proteggono i civili e, quindi, un crimine di guerra nella sua accezione ampia.
La Corte di Cassazione si è espressa in senso negativo incorrendo in un errore nella definizione di crimine di guerra con la sottocategoria di infrazione grave del diritto umanitario dei conflitti armati.
I giudici hanno affermato che crimine di guerra è solo quello che integra infrazione grave del diritto umanitario dei conflitti armati.
Tale assimilazione non era possibile in quanto quella delle infrazioni gravi è una categoria più ristretta che erroneamente è stata elevata a categoria generale.
In ogni caso va rilevato che valutare se la condotta di Lozano fosse da ritenere o meno crimine di guerra, in ognuna delle due accezioni richiamate, era un giudizio di merito e come tale di competenza esclusiva della Corte di Assise, che nell’esaminare tutte le prove avrebbe potuto valutare compiutamente l’accaduto, cosa che non è stato possibile fare per essersi limitato quel giudizio alla fase preliminare.
Secondo il ragionamento della Corte:
-se un militare (il Lozano), sparando ripetute raffiche di arma da guerra contro una vettura in transito, uccide un civile e attenta alla vita di altri due civili che si trovano con il primo non è un episodio qualificabile come crimine internazionale (violazione grave) perché si tratta di un fatto isolato e individuale, né esso è qualificabile come atto odioso e inumano contro civili.
-Viceversa sono grave breaches e quindi crimini di guerra, sia il caso in cui un militare spara contro un ambulanza e uccide le persone (civili) che sono all’interno e (non sapendo quante persone potevano esserci), sia quello in cui i soldati sparano contro un hotel e uccidono dei giornalisti che ivi avevano preso alloggio e stavano lavorando.
Non si è capito altresì perché la vicenda della dimensione storico fattuale dell’episodio sia stata determinante nell’escludere la sussistenza del crimine di guerra o di crimine internazionale, quando la Cassazione non poteva e non doveva procedere a un’analisi del fatto, e pur volendosi cimentare in tale valutazione non era nelle condizioni di farlo efficacemente in quanto i giudici non avevano la disponibilità degli atti di indagine, indispensabili per valutare esaustivamente il fatto.
Nonostante non avessero la disponibilità degli atti di indagine, i giudici di legittimità hanno affermato che la vettura era in avvicinamento veloce al posto di blocco – tipico accertamento di merito – e da ciò hanno arguito che il soldato Lozano poteva esercitare il volume di fuoco contro la vettura in avvicinamento per difendere la postazione.
Sulla base di quali elementi i giudici della Cassazione hanno potuto sostenere tale circostanza non è dato sapere, e ciò non è di poco momento se si considera che tale circostanza è stata utilizzata per dimostrare quella particolare dimensione storico fattuale dell’episodio che ha indotto il collegio giudicante a dare una particolare connotazione all’episodio tanto da escluderlo dal novero di quelli le cui modalità di attuazione rientrano nella categoria dei crimini di guerra.
Quali sono stati gli elementi convincenti che hanno indotto la Corte di Cassazione a ritenere fondata la versione americana dell’elevata velocità della macchina? Perché non è stata data prevalenza alla ricostruzione della commissione italiana?
L’accettazione della versione americana, verosimilmente è stata un atto di fiducia che i giudici di legittimità hanno fatto verso la sentenza della Corte di Assise che si era espressa in modo analogo, anch’essa senza avere la disponibilità dei documenti e delle testimonianze che avrebbero potuto confermare o smentire la ricostruzione.
L’accertamento dell’effettiva velocità della vettura era uno degli elementi fondamentali per la ricostruzione della vicenda e tale elemento poteva acquisirsi solo attraverso un’indagine di merito sentendo le testimonianze dei protagonisti del fatto: il maggiore Andrea Carpani, che era alla guida della vettura e la giornalista Giuliana Sgrena che era uno dei due passeggeri.
Loro erano gli unici testimoni attendibili in grado di indicare, meglio di chiunque altro, anche con sufficiente approssimazione, l’andatura reale della vettura al momento in cui si stava avvicinando al posto di blocco, peraltro neanche segnalato.
Le testimonianze di Giuliana Sgrena e di Andrea Carpani non è stato possibile assumerle in assenza di un dibattimento e, quindi, il dato della velocità non è stato possibile accertarlo da parte dei collegi giudicanti, mentre era stato acquisito in sede di indagine preliminare dal Pubblico Ministero ed era stato conosciuto dal giudice per l’udienza preliminare.
La velocità della vettura era stata indicata dai testi Carpani e Sgrena nell’ordine di 40/50 km/h, mentre dagli atti della commissione di inchiesta americana (il cui elaborato comunque non era nella disponibilità della Corte che sia lo specialista Lozano che il Domangue percepirono la velocità della vettura essere superiore a 50 miglia (ed essere più elevata di qualsiasi altro veicolo quella sera).
Il rapporto tra le due unità di misura fa sì che secondo i soldati americani l’andatura della vettura guidata da Carpani era stata almeno di 80,5 km/h; a tale andatura, però, Carpani non avrebbe mai potuto viaggiare in quanto realisticamente incompatibile con la situazione ambientale particolarmente accidentata dalla presenza di numerose barriere jersey poco distanti una dall’altra e su entrambi i lati della carreggiata, dalla presenza di numerose pozzanghere e dal pericolo della presenza di ordigni esplosivi ai lati della strada e dall’essere questa realizzata in conglomerato cementizio che per le sue caratteristiche, non consente di viaggiare ad andatura sostenuta o veloce.
In sostanza in un processo nel quale si deve accertare la verità al di là di ogni ragionevole dubbio, entrambe le Corti hanno dato valenza positiva alle percezioni di coloro che, stanchi e stressati secondo la Corte, vedevano avvicinarsi una vettura e che sarebbero stati in grado di stabilirne, anche al buio e con il cattivo tempo, la velocità, piuttosto che alle dichiarazioni di coloro che erano a bordo della vettura, uno dei quali alla guida.
Quello che il processo avrebbe reso immediatamente evidente era una verità semplice. Nicola Calipari, così come nessuno pensa che egli possa aver agito avventatamente, frettolosamente, per portare in salvo Giuliana Sgrena, scegliendo la via sbagliata, non comunicando alle autorità americane la ragione della sua presenza e della sua azione.
Quello che il processo avrebbe reso immediatamente evidente era una verità semplice: Nicola Calipari aveva agito nel miglior modo possibile, con il più alto senso del dovere e al massimo delle capacità professionali, solo operando in tal modo era sicuro di poter salvare una vita umana, che era il fine che si era prefissato fin dall’inizio della trattativa. E ciò ha dimostrato fino all’ultimo, quando cioè, in una situazione disperata ha dovuto scegliere se proteggere se stesso o l’ostaggio appena liberato e non ha avuto dubbi che la tutela della vita di Giuliana Sgrena era il suo compito, anche se poteva essere l’ultimo.
Altri soldati americani, con la loro negligenza nell’istituire il posto di blocco, con la loro imperizia, agendo in violazione delle regole minimali che presidiavano l’operazione di controllo che stavano svolgendo, hanno tolto ingiustamente e violentemente, la vita a Nicola Calipari e hanno rischiato di uccidere anche Andrea Carpani e Giuliana Sgrena che si trovavano con lui all’interno della vettura fatta oggetto di una pioggia di fuoco.
Le autorità americane presenti a Bagdad erano a conoscenza, da diverso tempo, che Nicola Calipari sarebbe arrivato a Bagdad con una propria squadra per liberare Giuliana Sgrena.
Nonostante tutti i possibili cavilli e le questioni che si vogliano frapporre su tale circostanza, è certo che la presenza dei servizi segreti italiani, e del suo numero uno operativo, in quel momento n Iraq, non poteva che essere giustificato da un unico interesse, quello di salvare la vita alla nostra connazionale Giuliana Sgrena.
Noi come ufficio del Pubblico Ministero avevamo chiesto un accertamento processuale sull’omicidio di Nicola Calipari, in contraddittorio con l’altro protagonista, il soldato Mario Luis Lozano, per capire le ragioni del suo operato, sapere degli ordini che gli erano stati impartiti, da chi questi ordini fossero stati emanati e per quale ragione; i motivi per i quali ancora quel posto di blocco era fermo da un’ora e mezza in un punto pericolosissimo che aveva esposto i soldati a potenziali attacchi, sapere da Lozano perché non diede gli avvertimenti previsti dalle regole di ingaggio, perché non furono accese preventivamente le luci, perché sparò immediatamente contro una macchina che si avvicinava lentamente e senza dare sospetti.
Gli Stati Uniti hanno rifiutato qualsiasi tipo di collaborazione con l’autorità giudiziaria italiana, si sono trincerati dietro i risultati di una commissione tecnica le cui conclusioni non sono assolutamente accettabili perché in contrasto con il reale svolgersi dei fatti.
Dall’analisi della commissione d’inchiesta americana emerge che Calipari e Carpani avrebbero agito addirittura in maniera imprudente, sfidando ogni rischio e pericolo, evitando di chiedere l’aiuto degli americani che, padroni del territorio, controllavano ogni movimento.
La ricostruzione americana è un’attribuzione di colpa a Calipari e Carpani, quasi fosse da considerare la loro una colpevole azione suicidiaria.
Ma noi tutti sappiamo che così non è.
La verità è che l’Italia, e Nicola Calipari, non avrebbero mai potuto chiedere l’aiuto e la collaborazione delle forze americane per liberare Giuliana Sgrena
La tesi diversa sostenuta dalla commissione tecnica americana è inconsistente ed è stata costruita per sminuire l’operato della nostra intelligence e, soprattutto, per tenere indenni da responsabilità i soldati americani del posto di blocco e forse non solo loro.
Una richiesta di cooperazione eventualmente formulata da Nicola Calipari o dalle autorità politiche italiane sarebbe stata rifiutata dagli americani che avrebbero anche ostacolato ogni attività italiana in territorio iracheno e ciò in quanto contrari a qualsiasi forma di trattativa con i sequestratori.
È stata la conosciuta, perché più volte pubblicamente dichiarata, posizione di assoluta intransigenza delle autorità americane verso qualsivoglia forma di trattativa che ha impedito, o reso impossibile, richiedere loro una forma di collaborazione operativa sul “campo” e ciò nonostante le informazioni alle stesse autorità fornite, circa le scelte operative decise da uno stato sovrano come l’Italia.
La tesi della commissione americana è da respingere.
Contro questa ricostruzione in pochi hanno fatto sentire la propria voce, pochi hanno preso posizione, sia al momento della consegna della relazione, sia successivamente alle sentenze, e fra essi, certamente, non vi sono state voci istituzionali forti e chiare.
No si è sentita neanche l’esigenza di chiedere l’istituzione di una commissione internazionale indipendente che accertasse l’accaduto.
Che Nicola Calipari in questa come in tante altre occasioni, a Baghdad come in altri posti del mondo, abbia agito con altissima professionalità, con prudenza, con senso del dovere è un dato di fatto che nessuna commissione d’inchiesta americana potrà mai, anche minimamente, mettere in dubbio.
Forse è proprio per queste sue doti professionali, oltre che umane, da sempre e da tutti riconosciutegli, che si è cerco di mettere in dubbio la correttezza del suo operato, per sminuire quest’ultimo suo gesto che era tropo grande ance per chi in una notte buia e fredda di Baghdad lo ha fermato scaricandogli contro decine di proiettili.
Non siamo riusciti a restituire a Nicola Calipari la dignità del suo operato.
Quello che è successo è una sconfitta per lo Stato, la società civile, per tutti noi che per farci perdonare dalla notte del 4 marzo 2005 lo chiamiamo eroe.
Sbagliando e facendogli ancora torto.
L’assoluto silenzio e la mancata collaborazione alle richieste di rogatoria da parte degli Stati Uniti hanno impedito d’accertare completamente il fatto.
(dall’ultima di copertina):Questa sentenza riduce la vicenda a un fatto e a un dolore strettamente privato (…) Non possiamo chiedere giustizia su quello che il popolo italiano ha definito un eroe e non abbiamo la possibilità di giudicare chi ha ucciso mio marito, al quale lo Stato italiano ha dato la medaglia d’oro al valor militare. Forse dovrei rinunciare a questa medaglia. (Rosa Calipari).
17 /04/2025