ANCORA SULLA CINA. ALCUNE CONSIDERAZIONI RIGUARDANTI L’IDEOLOGIA CONFUCIANA.

Cina

In un articolo sul Sole 24 ore del 20.09.2015 Gian Carlo Calza propone alcune riflessioni sul ruolo del pensiero confuciano nell’attuale congiuntura e fase di sviluppo della società cinese. L’intervento prende spunto da un libro di Maurizio Scarpari, insigne sinologo della scuola veneziana, intitolato Ritorno a Confucio pubblicato alcuni mesi fa col sottotitolo “La Cina di oggi fra tradizione e mercato”. Il messaggio e il senso che l’articolista vuole trasmettere può essere riassunto nelle prime parole del testo:

<<La Cina neoimperiale di Xi Jinping rilancia l’antico sistema filosofico-politico che resse quel mondo per millenni. Un pensiero umanistico conservatore e gerarchico adatto ad un liberismo economico gestito da un sistema politico autoritario>>.

Secondo Calza Xi Jinping, a partire dalla sua ascesa al potere nel 2012, si è impegnato con decisione per riportare l’ideologia confuciana al suo ruolo di “forza moralizzatrice della nazione” nonostante le difficoltà che – pur in un contesto nel quale abbiamo assistito all’affermazione di uno specifico nuovo modello capitalistico – continuano a provenire dai quadri più irriducibili legati a una sorta di “veteromaoismo” (o presunto tale) per il quale il confucianesimo era il “simbolo stesso del potere feudale e classista della Cina tradizionale”. L’attuale leader ha dato ulteriore impulso anche agli istituti cinesi di cultura all’estero, istituiti solo da una decina d’anni, che ora sono già quasi cinquecento in oltre cento Stati, si chiamano Istituti Confucio e vengono coordinati da un sotto ministero specifico. Lo stato cinese finanzia direttamente, in vari modi gli IC che, a differenza

<< dei loro «omologhi» europei, non sono indipendenti, ma consorziati con le università e gli istituti di istruzione superiore (presso i quali vengono aperte strutture più snelle, le Classi Confucio, CC), al cui interno hanno spesso la loro sede istituzionale. Attualmente, sono 465 gli IC attivi in 123 paesi, e 713 le CC. Gli Stati Uniti ne ospitano circa la metà, l’Italia 31 (11 IC e 20 CC)>>. (1)
Questi istituti sono nati nel 2004 poco dopo l’ascesa al vertice del potere cinese di Hu Jintao (il predecessore di Xi Jinping dal quale fu sostituito nel 2013). Nei suoi discorsi, Hu, portò avanti in maniera decisa un ideologia che propugnava la costruzione di una società “armoniosa”. L’armonia (fra cielo e uomo e terra, fra gruppi e classi sociali, etnie, religioni) è un valore tipicamente confuciano. Kang Xiaoguang, influente politologo dell’Accademia delle Scienze di Pechino e simpatizzante per le tesi di Jiang Qing, è il più aperto sostenitore della necessità di fare del confucianesimo la “religione” di Stato, per un motivo nazionalistico: sarebbe l’unico elemento in grado di servire come forza di coesione nazionale. Egli ritiene che nel mondo del futuro saranno le grandi nazioni (o gruppi di nazioni), identificate da una religione-cultura, a vivere in concorrenza o in dialogo reciproco. Merle Goldman, un sinologo americano, ha giustamente affermato: “Come la tradizione giudeo-cristiana influisce sulle società dell’Occidente, anche se molti occidentali non sanno esattamente che cosa sia, così il confucianesimo continua ad influire sulla società cinese, anche se gran parte dei cinesi, compresi gli intellettuali, non hanno letto i testi confuciani”. A proposito di Jiang Qing – altro politologo il cui nome è curiosamente omonimo di quello della moglie di Mao – possiamo ricordare che è considerato l’esponente principale del Confucianesimo Politico. Nel Giugno 2008, su The China Beat, Xujun Eberlein scriveva :

<<La democrazia è occidentalizzata e imperfetta per sua natura, questo afferma Jiang Qing. Un sistema democratico di stampo occidentale, se applicato in Cina, potrebbe essere legittimato in un solo modo – la volontà popolare o legittimazione civile. Una tale legittimità unilaterale si basa sulla quantità dei voti, a prescindere dalle implicazioni morali delle decisioni. Dato che il desiderio umano è per natura egoista, quelle decisioni potrebbero essere usate nell’interesse di una particolare maggioranza. Per questo, afferma Jiang Qing, la sola legittimazione civile non è sufficiente per instaurare o mantenere un ordine sociale costruttivo. […] Invece, lo stato confuciano proposto da Jiang si basa su una tripla legittimazione: spirituale, storica e civile al contempo. Più in specifico, il corpo governativo si compone di tre istituzioni reciprocamente limitantesi, che rappresentano rispettivamente: la religione (membri scelti su segnalazione da parte della comunità e attraverso gli esami confuciani), la tradizione culturale (membri provenienti da lignaggi di saggi e di sovrani o designati per nomina) e la volontà popolare (membri eletti). Secondo Jiang Qing, una tale struttura eviterebbe molti degli errori apparentemente inevitabili in un sistema a legittimazione unilaterale>>.

Comunque sono molti i teorici contemporanei cinesi che giudicano il confucianesimo perfetto per interpretare un capitalismo con le caratteristiche di quello cinese: non persegue l’eguaglianza piatta di Mao, ma pretende che il governante meritevole (o il manager capace) si dia da fare per il bene comune: «Non è del popolo, ma per il popolo – ci dice il professor Bai Tongdong, che insegna filosofia alla Fudan di Shanghai ed è uno dei più riconosciuti neoconfuciani – Non siamo contrari alla ricerca del profitto, siamo solo contrari alla ricerca del profitto nel modo sbagliato». E, citando Confucio stesso:

«Se la via confuciana si è imposta e tu rimani povero, vergognati. Se invece la via non si è imposta, il mondo è nel caos e tu sei ricco e famoso, vergognati comunque. Il profitto in sé non è necessariamente un male, tutto dipende dal modo in cui lo persegui».

A molti essa appare l’equivalente del cristianesimo protestante per la borghesia d’Occidente: il merito più la responsabilità sociale. Il Dragone sembra così trovare in se stesso un pensiero al passo con i tempi. Nessuna meraviglia quindi che anche il “Partito comunista” cerchi di adottarlo, autorappresentandosi in una forma sempre più meritocratica e meno “ideologica”: Mao Zedong lascia il posto ai tecnocrati, la correttezza dottrinaria alla meritocrazia.

Di fronte alla crisi dell’Occidente, i riformatori neoconfuciani ritengono che il pensiero del maestro Kong possa assumere valore universale. La democrazia avrebbe troppi lacci e vincoli e sarebbe ormai degenerata nel populismo per rincorrere l’elettorato . Le posizioni di leadership andrebbero invece assegnate ai membri più capaci e virtuosi della comunità, attraverso un meccanismo di selezione per esami e di cooptazione. Ne uscirebbe così una sorta di élite capace di interpretare al meglio le turbolenze sociali e la complessità del mondo senza perdere troppo tempo. Risultano interessanti, a proposito di questa impostazione, le osservazioni critiche svolte da Bill Dodson, consulente strategico di grandi imprese che fanno affari in Cina, analista economico su fatti cinesi per diverse pubblicazioni, giornalistiche e accademiche e autore del libro China Fast Forward. Dodson osserva che il sistema educativo cinese, di stampo confuciano, tende ad armonizzare l’iniziativa individuale nel comportamento collettivo. Gli stessi insegnanti spingono gli alunni a rifarsi all’autorità per risolvere problemi e conflitti. Nessun comportamento è orientato al problem-solving. Per quanto riguarda le imprese Dodson passa in rassegna diversi esempi per concludere che generalmente in quelle cinesi è la struttura gerarchica stessa (confuciana) a impedire la “management innovation”. Dovrebbero adottare un’organizzazione più piatta, “flat” come nelle le aziende americane (che per ottenerla, a onor del vero, hanno fatto un’ecatombe di quadri intermedi negli anni Novanta), dove il dipendente può sottoporre la propria idea al “capo” senza paure di “spingersi troppo in là”. In Cina, nessuno “si propone” proprio per paura di fare errori e bruciarsi le possibilità di avanzamento: le strutture gerarchiche delle imprese corrispondono al modello della società e una posizione più alta nella gerarchia non offre solo un salario migliore, ma anche i contatti giusti (il guanxi(2)): l’accesso a individui che hanno potere. Dodson considera, poi, le differenze rispetto a due grandi economie asiatiche come la Corea del Sud e il Giappone che peraltro adottano regimi politici molto diversi rispetto a quello cinese:

<<Io credo che, per quanto riguarda l’innovazione commerciale, il Partito Comunista Cinese (Pcc) abbia un grado più elevato di interessi in conflitto tra loro rispetto ai governi degli altri due Paesi. Il Pcc è sia investitore che sponsor e consumatore; crea e promuove regole che poi impone e sulle quali si pronuncia in giudizio; prescrive il modo, il ritmo e i criteri di “successo” che soddisfino la propria definizione di innovazione. Questo approccio è efficace nel produrre innovazione che dia al paese “faccia” [mianzi, prestigio, dignità, onore, rispetto, status, ndr] – con programmi in stile “Progetto Manhattan” [il gigantesco programma di ricerca, finanziato dal governo degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche, ndr]; tuttavia, non ha alcun risultato tutte quelle volte che l’invenzione o la scoperta, o la loro messa in pratica, rischino di sconvolgere gli interessi politici e commerciali del Partito>>.

A questo punto, però, proviamo a sintetizzare il cuore della filosofia classica confuciana utilizzando le parole di un esperto come il prof. Umberto Bresciani:

<<Qualsiasi discorso riguardante il confucianesimo sarà comprensibile soltanto a chi è cosciente di certe premesse ideologiche di base appartenenti alla visione del mondo confuciana. Fra queste, si devono menzionare per lo meno le seguenti: il Cielo (tian)come fonte di tutte le cose e il Piano del Cielo (tianming) come la creatività in se stessa, e la generatività incessante del dao come simbolo di tutto ciò che esiste o che potrebbe esistere; la virtù chiamata ren come incarnazione di questa creatività, che si manifesta come un sentimento innato di responsabilità per gli altri, in altre parole il dao reso concreto nell’impegno etico e sociale; la mente-cuore (xin) che funziona da luogo dell’unità esperienziale della coscienza della responsabilità morale personale nell’intimo di ciascun essere umano; la natura (xing) come struttura costitutiva della natura umana, comprendente la coltivazione della mente-cuore, così da creare attivamente e partecipare alla generatività cosmica del dao; lo studio e la ricerca (dao wenxue), necessari allo scopo di esaurire la conoscenza del principio (li), come mezzo per la ragion critica di giudicare la conformità della condotta umana con le direttive ideali del dao; il Li (riti) come azione rituale o comportamento civile, in quanto sistema convenzionale di metodi e accordi che gli esseri umani propongono per i rapporti reciproci regolati in maniera umana; il qi (materia-energia) come forza dinamica, da cui tutti gli oggetti e gli avvenimenti vengono manifestati e a cui ritornano; l’armonia (he) ovvero il bene supremo (zhi shan) come traguardo ultimo di tutta la creazione>>.

Ma se questi sono i presupposti etici e metafisici del pensiero confuciano diverse sono risultate le maniere di svilupparne il contenuto. Analizzando le cose più a fondo possiamo notare, infatti, che accanto a gruppi più critici nei confronti della democrazia e dell’occidente esiste un “nuovo confucianesimo” con caratteristiche decisamente diverse da quelle del “neoconfucianesimo” medioevale; le sue origini risalgono alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso ma la sua vera affermazione si realizza a partire dagli anni ottanta quando, come dice Anne Cheng, succede che prendendo in contropiede

<<… le idee di Max Weber, alcuni pensatori anglosassoni in materia di sviluppo stabiliscono un legame causa-effetto tra il «modello di sviluppo est-asiatico» e i «valori confuciani»: valorizzazione della famiglia, rispetto delle gerarchie, motivazione all’educazione, piacere nel lavoro assiduo e senso del risparmio. Ironicamente, sono precisamente questi fattori, che erano considerate come ostacoli allo sviluppo capitalista, a promettere ormai alle società est-asiatiche di evitare i problemi che colpiscono le società occidentali moderne … >>.

Sempre la Cheng ricorda, nel saggio sopra citato, che gli estensori del manifesto del nuovo confucianesimo pubblicato nel 1958 ritenevano che fosse sbagliato affermare che il pensiero confuciano «non contenga né i germi della, né la propensione alla, democrazia, e che sia ostile alla scienza e alla tecnica». Secondo loro i germi (zhongzi) della democrazia sono contenuti nella formula del Trattato dei riti « L’impero é il bene di tutti » (tianxia wei gong) e nell’idea menciana che il sovrano è secondo rispetto al popolo; ma questi germi, già menzionati prima, hanno visto la

loro crescita intralciata, se non addirittura soffocata, dall’assolutismo imperiale e poi, evidentemente, dal “totalitarismo comunista”. Si tratterebbe così di separare la parte più vitale del confucianesimo dalla storia imperiale e dalla società cinese tradizionale per farne emergere i valori “universali ed eterni”. Per i nuovi confuciani, la rivincita dell’universalità cinese dovrebbe essere presa sul terreno dei «valori confuciani» o dell’«umanesimo confuciano» poiché, come dice un loro esponente di punta

«la vera sfida per essi è la seguente: come può un umanesimo confuciano resuscitato rispondere alle questioni sollevate da scienza e democrazia? […][I nuovi confuciani – A.d.r.] si rendono conto che le preoccupazioni per la sopravvivenza della tradizione confuciana e per la continuità della cultura cinese tradizionale debbano essere sussunte in una più ampia preoccupazione per l’avvenire dell’umanità.»

Come si può capire questo nuovo movimento – del quale non possiamo certo qui seguire lo sviluppo fino all’epoca odierna – sin da allora, ma in particolare con l’avvento degli ultimi due leader del paese (cioè dall’inizio del XXI secolo), ha sviluppato una strategia tesa a stabilire un compromesso con il capitalismo autoritario guidato dal partito unico. Il PCC e il suo vertice in particolare, nelle nuove condizioni sociali, ha bisogno di “usare” la cultura tradizionale per mantenere il consenso e giustificare una gerarchia e un sistema di potere che limita l’iniziativa individuale a certi ambiti della sfera economica e continua a propagandare l’ideale “comunitario” della “società armoniosa”. Dall’altra parte il nuovo confucianesimo aprendosi ad una visione universalistica si prepara, almeno in alcune sue componenti a diffondere una nuova cultura tecnologica, consumistica ed ammiccante ai “diritti umani” dell’occidente a guida Usa. Negli Stati Uniti, non a caso, gli Istituti Confucio e i dibattiti sul valore di alcuni aspetti della tradizione cinese anche per il progresso economico-sociale del paesi atlantici, si sono allargati e sviluppati sempre più; si è iniziato quindi un “lavoro” che dovrebbe portare i suoi frutti quando le contraddizioni strutturali del modello cinese arriveranno ad un punto critico.

 

(1)Da un articolo di M. Scarpari del 25.09.2014

(2)Guanxi (pinyin: gūanxi) indica, nella società cinese, un sistema di relazioni molto profonde, una trama di rapporti sociali ed economici, in un network interpersonale che si forma sin dalla scuola (i genitori infatti scelgono una scuola dove il figlio potrà inserirsi in un gruppo sociale su cui fondare i propri punti d’appoggio in età adulta). Il guanxi è dunque un network di contatti (che si forma in un arco temporale molto lungo) a cui un individuo può fare riferimento quando ne necessita; ad esempio per velocizzare pratiche burocratiche, per ottenere informazioni importanti o per conseguire altri favori. Non necessariamente le guanxi devono essere dirette, ma si può raggiungere un obiettivo tramite guanxi altrui. Questo concetto riveste un ruolo fondamentale all’interno della dottrina confuciana, la quale vede l’individuo come parte di una comunità e di un insieme di relazioni familiari, gerarchiche e amicali. [Da Wikipedia]

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Brevissima appendice dedicata al Lun yu (Dialoghi) del maestro Kong (Confucio)
Il Maestro Zeng disse a proposito di Confucio (nel Lunyu):”La Via del Maestro consiste nell’agire con la massima lealtà e non imporre agli altri quel che non si desidera per sé; null’altro”.

Cominciamo con un motto che vorrebbe sintetizzare l’essenza del Confucio-pensiero. Quindi lealtà nei confronti dei propri “maestri” e familiari e rispetto di quella che il cristianesimo considera la “regola aurea”. L’amore compassionevole e la benevolenza come “pathos” e i rapporti familiari (soprattutto) e sociali gerarchici come garanzia della stabilità della comunità. Ricordiamo che per il maestro Kong i cinque rapporti fondamentali e i relativi obblighi erano:

1)Sovrano e suddito (o maestro e discepolo): lealtà e doveri; 2) Padre e figlio: amore e obbedienza; 3)Marito e moglie: obblighi e sottomissione; 4)Fratello maggiore e fratello minore: anzianità e modello di adeguamento; 5)Amico e amico: fiducia.

Ziyou domandò in che cosa consistesse l’amore filiale. Il Maestro disse:“Quel che si intende oggigiorno per amore filiale è saper provvedere al sostentamento dei genitori. Ma persino cani e cavalli vi riescono! E dunque, se non il rispetto, che cosa distinguerebbe gli uomini dagli animali ?”.

Il valore morale decisivo da perseguire è il rispetto universale che assume una tonalità vagamente kantiana.

Il duca di She, dialogando con Confucio, disse: “Nel mio paese vi è un tale chiamato l’Onesto. Un giorno suo padre rubò una capra ed egli lo denunciò”. Confucio disse: “Nel mio paese gli uomini onesti agiscono diversamente: un padre copre il figlio e questi il padre. Ecco dove si trova l’onestà”.

In questo dialogo l’importanza dei legami familiari e quindi il conseguente “familismo” sociale risultano evidenti.

Xian domandò che cosa fosse la vergogna. Il Maestro disse: “Avere come preoccupazione il guadagno, sia che nel paese prevalga la Via sia che non, è una vergogna”.[…].

Il Maestro disse: “L’uomo nobile di animo conosce il senso di giustizia, l’uomo dappoco il profitto”.

L’etica sociale confuciana sembra disdegnare quella che anche Aristotele stigmatizzava in termini negativi come crematistica ovverosia l’economia finalizzata al profitto.

Zixia disse: “Non è consentito trasgredire i grandi principi morali, ma con i principi minori vi è un margine di libertà!”.

Il Maestro disse: “L’uomo nobile di animo se non è severo non sarà autorevole e nello studio non sarà perseverante. Conferite suprema importanza alla lealtà e alla fedeltà, non coltivate l’amicizia con chi è da voi dissimile e, se incorrete in errore, non esitate a emendarvi”.

Il confucianesimo si presenta anche come un metodo pedagogico e il maestro Kong è prima di tutto un educatore. La severità può, però, essere anche priva di “spirito” e se manca il senso dell’umorismo si aggiunge una cupezza superflua ai casi della vita. Una vita che per quasi tutti noi è una lotta, a volte molto dura. Forse qui si intende fare riferimento a quella serietà che porta ad impegnarsi veramente, quando è necessario, senza farsi sopraffare dalle inclinazioni edonistiche.

Il Maestro disse: “E’ finita! Non conosco alcuno che ami l’eccellenza morale quanto la bellezza”.

Per gli antichi greci ( vedi Platone) e per il cristianesimo classico la “vera” bellezza coincideva con la bontà e la virtù; quest’ultima intesa anche in termini di capacità di eccellere nella realizzazione di grandi opere e obiettivi non solo moralmente rilevanti. Evidentemente qui Confucio critica la superficialità ed il peso, spesso esagerato, che si dà alle belle apparenze.

Zilu domandò come fosse un uomo perfetto. Il Maestro disse:”[…]Può essere considerato perfetto chi, intravvedendo il profitto, vi rinuncia in forza del senso di giustizia, scorgendo il pericolo è disposto a sacrificare la propria vita e, pur avendo affrontato tante avversità, non dimentica le sue promesse”.

La virtù confuciana è un abitudine pratica che richiede durezza verso se stessi e spirito di sacrificio e non indulge al sentimentalismo. La benevolenza (rén) è centrale nel pensiero del Maestro e in un passo è da lui definita come “amare gli uomini”, ma in generale l’accento viene sempre posto sull’importanza della capacità di sacrificare tutto quello che il rispetto di questa massima comporta. Forse anche qui si può trovare una parziale analogia con la morale kantiana.

Il Maestro disse: ”L’uomo nobile di animo soffre al pensiero di morire senza aver fatto nulla affinché il suo nome sia ricordato”.

Io leggo così questa frase: chi non sente il bisogno di dare un significato alla propria vita e un uomo da poco, chi lo fa nell’ambito della cura per la propria famiglia e degli amici stretti è un uomo normale ma chi prova a collegare il senso soggettivo della sua esistenza con significati universali di cui pure non siamo in grado di cogliere la verità è un uomo nobile.

Il Maestro disse: “E’ raro trovare qualcuno che per tre anni consecutivi si dedichi allo studio senza mai spingersi col pensiero al guadagno”.

Il Maestro disse: “ Un tempo l’uomo studiava per se stesso, oggi studia per impressionare gli altri”.

Il Maestro disse: “Studiare senza riflettere è vano, riflettere senza studiare è pericoloso”.

Questi ammonimenti e insegnamenti sono rivolti al ceto intellettuale e a chi, comunque, in qualche modo, si sforza di ricercare una qualche forma di conoscenza. Il problema della motivazione, per chi non inizia fin da giovane a farne una vocazione, è per l’impegno intellettuale e politico-culturale assolutamente determinante. A volte non lo si esamina a sufficienza e si scambia per pigrizia un non ben consapevole allontanamento da ciò che ci aveva portati ad un certo tipo di impegno. Riguardo alla vanità e all’opportunismo intellettuale dei “pensatori” di professione c’è ben poco da dire mentre non si sarà mai abbastanza accorti nel considerare quanto importante sia l’equilibrio tra una necessaria erudizione e la elaborazione, per tentativi, di costrutti concettuali che a volte devono andare anche “oltre” la “realtà” per riuscire a coglierla.

Mauro Tozzato 21.01.2016