ARROGANZA SENZA VELI; ANALISI SENZA VELI di G. La Grassa

Una volta tanto, non si accampano versioni distorte: la Georgia (sicario di un capitalismo occidentale sempre più succube della supremazia statunitense) ha invaso l’Ossezia e aggredito le truppe russe, che hanno al momento reagito; e il conflitto si sta allargando anche all’Abkazia. Malgrado la chiarezza dell’episodio, gli Usa chiedono che le truppe russe “si ritirino” (dall’essere aggredite) e Bush lancia i suoi ultimatum, pretendendo che la Georgia abbia mano libera nel suo lavoro da “agente americano” di continua provocazione antirussa. La UE e l’OSCE non hanno perso l’occasione di dimostrare che sono ormai strettamente dipendenti dal paese predominante; impressionante, a questo punto, il completo appiattimento servile di questa Europa. Chi ha ancora voglia di parlare di “imperialismo” europeo (e addirittura italiano) va adesso preso per quello che è: o agente provocatore o deficiente totale, con un cervello ormai guastato da una lunga, lunghissima, stagione di putrefazione neuronale.

Non m’interessa, come al solito, la banale cronaca della “guerra”, e dei successivi compromessi che verranno trovati, bensì un’analisi possibilmente “fuori dal coro” degli stupidi sinistri (in particolare degli attuali “comunisti dell’Alzheimer”, ma non solo) e dei rozzi e servi al 100% che stanno “a destra”. Certo, la meschinità di questi occidentali, tappetino degli arroganti Usa, solleva sdegno in qualsiasi persona non abbia il sangue diventato acqua fetida di fogna; ma non è questo quanto adesso mi interessa.

Non tanto tempo fa sostenevo essere la Russia – e non la Cina nell’attuale fase storica, che non durerà pochi anni – candidata a divenire il principale antagonista del monocentrismo statunitense. Francamente, anche l’ultimo evento sembra confermarlo. Per il momento la “monocultura” russa – intendo parlare dell’aver centrato l’economia sulla produzione e distribuzione di gas e petrolio – non si rivela un elemento di eccessiva debolezza, malgrado il prezzo stia discendendo alla faccia di tutti coloro che lo vedevano ormai a livelli parossistici tali da provocare, da solo, il collasso economico generale (con la solita speranza degli sciocchi di cui sopra di veder sprofondare il sistema capitalistico). In realtà, l’antagonismo russo si basa sul possesso di un apparato militare ancora notevole, disastrato certo dal periodo di governo del “duo di cedimento” Gorbaciov-Eltsin, ma ancora una buona base per ripartire con ammodernamenti tecnico-scientifici tali da potersi rimettere in piedi forse già nel prossimo decennio o poco più.

La Russia è chiaramente collocata nella “prima linea del fronte”, poiché in Asia, nell’area del Pacifico, gli Usa sanno di avere più tempo a disposizione con Cina e India, mentre nella zona europea – che ha ai suoi immediati confini il Medio Oriente e l’Iran, ecc. piuttosto turbolenti – la situazione è meno tranquilla. La UE è serva, ma è abbastanza in pappe, comincia a perdere colpi; e la sua incredibile dipendenza, il tentativo di soltanto sfruttare i vantaggi che spettano a chi serve bene i più potenti, mostreranno in tempi non lunghissimi tutta la miopia dei suoi governanti (e dei suoi gruppi subdominanti economico-finanziari). Occorre dunque agli Usa, con una certa fretta, l’“accerchiamento” della Russia sul suo lato occidentale e meridionale, mentre vengono compiute azioni di disturbo nell’area centroasiatica, dove forse però il periodo “filoamericano” più acceso è passato; senza considerare che ci sono buone probabilità che anche in Afghanistan (e “retrovie” pakistane) la preminenza statunitense possa progressivamente indebolirsi.

Continuo a pensare che il Giappone, secondo me destinato a restare per lungo tempo una potenza minore, sarà tutto sommato di aiuto per gli Usa; e anche all’India, come vero antagonista dei dominanti centrali, credo assai poco. Resta la Cina, ma ormai su un periodo di tempo più lungo del previsto. Non è mia intenzione voler enfatizzare il significato dell’apertura dei giochi olimpici, fatto contingente quant’altri mai. In ogni caso, mi può andare bene che si sia messa la sordina sulla Rivoluzione culturale, evento di cui è infatti forse meglio dimenticarsi. Non si può però sorvolare sull’avvento di Mao al potere, che è stato, piaccia o non piaccia, il vero atto di fondazione della Cina moderna. Anzi, diciamo che il tentativo di più spinta modernizzazione anche culturale, tentativo intrinseco ad un comunque buon “assorbimento” del marxismo da parte dei comunisti cinesi, è in larga misura fallito; e tuttavia ha comunque determinato una svolta. Mao va apertamente rivalutato se non come comunista – visto che di comunismo s’è proprio visto in Cina, alla fin fine, ben poco e che adesso ne resta un’etichetta perfino fastidiosa da sopportare – almeno come rappresentante di un gruppo di governo che ha dato il via alla rinascita del paese quale potenza di tutto rispetto. Diciamo che sarebbe giusto trattare Mao come sembra esserlo Stalin in Russia: non quale “costruttore del socialismo”, ma di una grande potenza poi dilapidata dalla più nefasta tra le “bande dei quattro”: Krusciov-Breznev-Gorbaciov-Eltsin.

Il fatto è che in Russia il capitalismo selvaggio dell’epoca immediatamente successiva alla dissoluzione dell’Urss è stato nella sostanza sconfitto, e i suoi rappresentanti arrestati o in esilio; la politica (centralizzata) ha sostanzialmente ripreso in mano la situazione, o almeno così sembra in questo momento. Anche la costituzione del fondo sovrano russo appare rispondere a criteri orientati ad una piuttosto decisa ripresa di potenza. In Cina, mi sembra ci siano segnali più contraddittori. Forse la corruzione non è superiore a quella russa; la mafia cinese è però probabilmente più connivente con l’apparato pubblico (almeno locale) di quanto non lo sia adesso quella russa. Soprattutto, ci sono troppi capitalisti cinesi “d’assalto” – abbastanza corrispondenti a quelli “sbaraccati” da Putin – lanciati verso l’occidente anche con operazioni finanziarie (e commerciali) che li legano un po’ troppo alle centrali del capitalismo predominante statunitense. Lo stesso fondo sovrano, China Investment corporation, pur controllato strettamente dal Governo, ha seguito una politica finanziaria – ad es. il recente acquisto del 10% della Morgan Stanley a prezzo esorbitante, venendo così in aiuto di questa banca in gravi difficoltà e dunque rischiosa – che potrebbe essere meno proficua di quella russa, più attenta ad operazioni nel campo dell’economia reale: si pensi alla politica della Gazprom verso l’Eni, l’algerina Sonatrach, la libica Noc, ecc.

Un paio d’anni fa si è data molta pubblicità alla penetrazione economica della Cina in Africa con accordi commerciali con una sessantina di paesi del continente; e anche con il Sud America si sono stabiliti, si dice, buoni rapporti economici. Sappiamo però al momento troppo poco delle reazioni americane e “occidentali” (cioè dei subdominanti dipendenti dagli Usa) in Africa, di cui abbiamo visto alcuni vistosi, ma tutt’altro che chiari e per nulla ancora definiti, “esempi” in Darfur (Sudan), Nigeria, Zimbabwe. Il vero fatto è che la Cina sembra troppo invischiata in una concezione eccessivamente economicistica della penetrazione e allargamento delle sue sfere di influenza. Così essa procede con una sorta di “azione a pioggia” che può far disperdere risorse (di fronte alla potenza economica decisamente superiore degli Stati Uniti, coadiuvati dai subdominanti al suo servizio), prestando poi allora il fianco ad azioni di ben altro calibro e maggiormente concentrate su dati punti deboli cinesi.

La Russia sembra assai più capace di mettere la politica al comando, malgrado “sventoli” sempre al mondo la solita Gazprom; dietro mi sembra però esserci dell’altro che bolle in pentola. E non ci si lasci ingannare dalle scaramucce in quel di Cuba o dall’ottimo accoglimento di Chavez a Mosca. La Russia dà l’impressione d’essere maggiormente consapevole circa l’esigenza di concentrare i suoi sforzi nelle sfere di influenza più vicine ai suoi confini, e del fatto che tali sforzi debbono andare ben oltre i meri accordi commerciali ed economici in genere; niente azione dispersiva “a pioggia”, massima concentrazione invece, il che implica una mentalità chiaramente non economicistica e dunque di più ampio respiro.

 

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Data la disposizione delle forze in campo internazionale nell’epoca che ci sta immediatamente davanti, appare sempre più grave il deficit della politica europea, ma in modo del tutto particolare quello della politica italiana. Il nostro ceto politico, di qualsiasi orientamento sia, appare totalmente deprivato di capacità strategica, è invischiato in giochi di mero sfruttamento delle occasioni offerte da una politica clientelare (e “mafiosa” in senso lato), favorita da subdominanti economici (con prevalenza di quelli finanziari) al totale servizio dei predominanti centrali; che questi siano in crisi – e perfino se quest’ultima dovesse poi rivelarsi ancor più grave del previsto – non sposta di un ette la nostra subordinazione, che alla fine di questa eventuale grave crisi sarebbe decisamente acuta; e in un paese impoverito e impaurito.

Sintomo appariscente del nostro inverecondo servilismo è la costante partecipazione alle avventure militari degli Usa; partecipazione sia della destra che della sinistra (al massimo quest’ultima opera ipocritamente piccole mascherature, del tutto inessenziali). Manifestazione di estrema rozzezza politica e culturale sono le campagne agitatorie sulle “repressioni” cinesi in Tibet (cui hanno partecipato disgustosi settori della sinistra “estrema” e ridicolmente “pacifista”), sulla “violazione dei diritti umani” (con due ministri “senza cervello” che chiedevano addirittura di non partecipare ai giochi olimpici); un vero rigurgito d’odio reazionario e ottuso di una arretratezza mentale da autentica regressione dall’homo sapiens sapiens agli ominidi (e con i soliti “radicali”, i più scatenati agenti filoamericani, al primo posto in questo degrado). E adesso, ovviamente, ci si accoda agli Usa perfino in occasione della chiara aggressione georgiana che ha già provocato migliaia di morti in Ossezia (per i quali evidentemente i “diritti umani” non esistono).

Desidero rilevare anche altri sintomi meno appariscenti, ma non meno pericolosi. I nostri politicanti (e quasi più quelli di sinistra che quelli di destra in tal caso) – imbeccati dalla solita GFeID, un cumulo di parassiti che vuol vivere a spese del finanziamento “pubblico” – hanno messo più volte bastoni fra le ruote alle nostre poche imprese di punta. Sintomatici i reiterati tentativi di scindere l’Eni, separando la produzione dalla distribuzione, al fine di assegnare quest’ultima alle municipalizzate (per gran parte in mano appunto ad amministrazioni di sinistra). Forse si è data troppo poca importanza all’intervento operato ad un certo punto dalla Gazprom con lettera del suo vicepresidente al Giornale, in cui si manifestava “sorpresa” e incapacità di capire per quali motivi ci fosse in Italia questa “tentazione”. In realtà, il vicepresidente sapeva benissimo di che cosa si trattava e ha voluto far intendere che la Gazprom poteva anche perdere la pazienza e non fare più troppi accordi con la nostra azienda.

Ciò che però mi sembra particolarmente preoccupante è che, dentro l’Eni così come dentro la Finmeccanica, ecc., ci sono quasi sicuramente alcuni settori dello stesso management di tipo “fellone”, intenzionati a spingere in direzione della supina accettazione degli interessi statunitensi. Come avviene in “piccoli Stati”, ci saranno apparati di spionaggio del “nemico” che condizionano la politica aziendale, avversando una possibile maggior indipendenza di queste nostre imprese. C’è insomma tutta una rete d’appoggio al tipico chinar la testa dei subdominanti, che orienta la nostra politica come del resto quella europea; ma la nostra – temo – assai più di quella di altri paesi. E persino certi “agenti provocatori” della sinistra detta “estrema” – quella sciocca o truffaldina che ciancia di “imperialismo italiano” (e europeo) – sono infiltrati tra questi settori politici ed economici in quanto effettive “quinte colonne” dei reali predominanti “imperiali”.

Se non si spazzano via queste forze politiche – condizione decisiva e primaria anche per ridurre a più miti consigli la GFeID – non si otterranno grandi risultati in merito ad una nostra maggior indipendenza; per nulla affatto conseguibile se non con l’appoggio alle formazioni sociali particolari (paesi) in marcia verso una più avanzata configurazione multipolare della formazione sociale mondiale. Non per preteso filo-russismo o filo-cinesismo, ecc.; solo per i propri interessi, oggi fortemente in discussione anche per la crisi in corso di svolgimento.

Deve allora essere detto con la massima chiarezza e fuori dai denti. Non solo riteniamo “infiltrati del nemico” – magari in buona fede, pur se ci crediamo assai poco, visto che hanno ampio accesso alla stampa ed editoria di grande diffusione, a finanziamenti vari di assai dubbia provenienza, e via dicendo – coloro che parlano a vanvera di imperialismo italiano ed europeo, ma anche tutti gli ecologisti, i decrescisti, i pacifisti “senza ma e senza se”, i movimentisti moltitudinari, i “no global”, i nemici del progresso scientifico-tecnico, coloro che vogliono parsimonia e frugalità e combattere a “mani nude” rifiutando le politiche di potenza. Essi sono al servizio reale – anche se non lo sanno; ma resto convinto che i più lo sappiano benissimo e ci guadagnino sopra in soldi e notorietà – dell’unico vero “sistema imperiale” oggi esistente: quello degli Usa. Con gente del genere non interagiamo se non sul piano dello scontro politico e ideologico, dello smascheramento delle loro “oggettivamente” infami intenzioni di subordinazione. Che sia chiaro una volta per tutte!