ATTENTI A CHI CONFONDE LE CARTE (E LE IDEE)
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Mi sbaglierò e tuttavia credo sia poco utile questo continuo riferimento ad fattualità e ideologie del passato per squalificare, da una parte e dall’altra, i propri avversari; anzi, diciamolo pure con la nettezza necessaria, i propri nemici. Quello che compiono americani e israeliani, nei territori (non semplicemente geografici) di propria competenza, è senza alcun dubbio di tipologia criminale; tuttavia, ritengo poco produttivo richiamare continuamente il parallelismo con il nazismo, anche perché diventa poi facile, da parte dei difensori del “malefico duo”, far notare una serie di differenze di forma e di modalità d’esecuzione per cui, spesso, il “grosso pubblico” si convince che gli antiamericani e antisionisti straparlino, usino un linguaggio rozzamente propagandistico. Dall’altra parte, si constata tutta la manfrina americana contro il “terrorismo”, contro il possesso di “armi di distruzione di massa” (sempre dimostratosi inesistente, una pura menzogna usata quale scusa per aggredire questo o quello, anzi questo e quello). Per non parlare del ridicolo accostamento fatto, tanto per fare pochi esempi, di Milosevic a Hitler, di Saddam a Hitler, di Ahmadinejad a Hitler, ecc., dove si fa strame della storia perché è impossibile non avere il benché minimo sentore della differenza tra la potente Germania nazista e poveri paesi come Jugoslavia, Irak e Iran. La personalità avrà anche la sua “funzione nella storia”, ma immaginare Hitler senza dietro di sé una delle primissime potenze mondiali dell’epoca è puro sfoggio di idiozia. A meno di non volersi dedicare alla superficiale genericità degli accostamenti tra individuali psicologie, un esercizio che lascerei agli spettacolini televisivi di “prima serata” per perfetti deficienti, con il “dotto” intervento di psicologi e psicologhe che gettano un discredito immenso su quella professione.
Certamente, non c’è alcuna proporzione tra i massacri compiuti da americani e israeliani (anche in questi ultimissimi tempi, in questi giorni) e quelli che sono in grado di fare le varie forze ad essi opposte. Non c’è però nessun bisogno di scomodare il nazismo; basta semplicemente elencare i numeri, stilare delle statistiche. E basta soprattutto affrontare il problema della diversa (enormemente diversa) potenza di fuoco (da non intendersi in senso puramente letterale) tra i due paesi – che insieme compongono il punto di irradiamento del potere imperiale nel mondo – e “gli altri”. Mi rendo conto che assistere all’applicazione della “legge” dei “cento morti tuoi per ognuno dei miei” (con cui si risponde a qualche lancio di missili, che sono poco più che fuochi d’artificio, e a sempre più rari attacchi kamikaze) è particolarmente disgustoso; uno si sente rivoltare le budella e prova rabbia nel constatare che dall’altra parte non sono molto attrezzati al fine di infliggere gli stessi lutti e sofferenze.
Tuttavia, non ha senso, lo ripeto, istituire paralleli storici con altri fatti ed altri movimenti. Non ce n’è del resto bisogno. Così pure, a parte la naturale rabbia appena manifestata, mi sembra vantaggioso andare oltre atteggiamenti solo dipendenti da opzioni morali, dalle quali non dico si debba prescindere, ma che andrebbero malgrado tutto messe in secondo piano. La rabbia, e l’insulto che ne consegue, sono utili se stimolano anche il nostro cervello. Fra l’altro, molto spesso siamo semplici spettatori di certe vicende, e di conseguenza non abbiamo nemmeno il privilegio di coltivare la vendetta. L’indignazione morale non ci impedisca perciò di ragionare su quale sia la posizione del nostro paese in ambito internazionale.
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Ci troviamo a vivere in un paese del capitalismo “occidentale” (quello da me denominato: dei funzionari del capitale) che, per quanto sia oggi in un tornante di particolare crisi (con crescita in pratica zero), è pur sempre uno dei paesi capitalistici avanzati. Dalla fine della seconda guerra mondiale, c’è stata da noi una penetrazione capillare della cultura e dei modi di vita americani, ed è inutile pensare che possa a breve attecchire una mentalità di netta opposizione agli Usa. Anche coloro (e non sono certo in maggioranza, anzi sono proprio una netta minoranza), che provano pena alle notizie provenienti dai vari fronti in cui si opprimono determinati popoli, non apprezzano per nulla
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le culture di questi ultimi; l’eventuale, del tutto generica, simpatia (più che altro commiserazione) per le sofferenze “umane” non fa molta ombra alla nostra partecipazione subordinata alle imprese statunitensi. E quando sono implicati nostri connazionali, si può essere certi che, non appena subiamo qualche morto, scatta subitaneamente il riflesso “nazionale” che ottunde la comprensione di che cosa siamo andati a fare in lontane contrade; e per che cosa e al servizio di chi lo stiamo facendo.
Il nostro paese è pregno di filo-americanismo, perfino quando mostra – in alcuni intellettuali con la puzza sotto il naso che si ritengono più “raffinati” – un certo qual disprezzo per le forme di vita e culturali degli Stati Uniti, che sono invece del tutto stimabili in sé e per sé (salvo appunto che per coloro i quali, senza alcun titolo di merito particolare e solo per smisurata spocchia, si ritengono superiori). Quanto sto dicendo non significa criticare chi, sia pure in posizione ultraminoritaria, si batte contro l’“imperialismo” statunitense e il suo spirito di aggressione al fine di tenere una serie di popoli – per precisi interessi strategici di ampiezza mondiale – in stato di soggezione. E’ giusto nutrire atteggiamenti antiamericani per quanto riguarda l’aggressione all’Irak o alla Jugoslavia o all’Afghanistan, ecc. Rendendosi però conto dei limiti di tali atteggiamenti.
Lascio perdere le debolezze del pacifismo, la cui limitatezza di orizzonti è patetica. Ci si batte contro l’allargamento della base a Vicenza (il sindaco di centro-sinistra appena eletto, e che fu sindaco democristiano prima di “mani pulite”, ha dichiarato che vi si oppone perché è “uno scempio architettonico”; mi sembra inutile ogni commento); e magari ci ritroviamo con il potenziamento di quella di Aviano o di quelle poste al sud o in Sardegna, ecc. Perfino se nascesse un movimento pacifista più incisivo – e ne ho fortissimi dubbi – tale da ridurre la presenza militare Usa in Italia, ci sono fior di paesi europei (in specie orientali) con ben altra disposizione di spirito pur di rinfocolare la loro inimicizia verso la Russia. Tuttavia, il problema fondamentale non è l’intrinseca, oggettiva, debolezza e limitatezza dell’orientamento pacifista.
Bisogna partire dalla corretta individuazione di una situazione di base che condiziona la critica alla politica statunitense quando questa si rivolge contro il fondamentalismo islamico; e del resto, purtroppo, anche tra la sedicente “democrazia statunitense” e le strutture politiche esistenti in Cina o in Russia, è evidente che l’opinione pubblica europea è stata a lungo preparata a preferire la prima, a causa del veleno inoculato nel corso di oltre sessant’anni e, in Italia, grazie all’esaltazione della nostra Costituzione anche da parte di forze di sinistra presunta “radicale”, magari proprio quella “ultra-ultra”. Certo, qualcuno storce il naso di fronte alle pretese imperiali di questa “grande democrazia”; però, tutto sommato, la maggioranza pensa che simili pretese siano nulla di fronte all’autoritarismo delle gerarchie cinesi o russe, che opprimerebbero Cecenia e Tibet, ecc. oltre ai loro stessi popoli, senza una stampa “libera” a elevare blande critiche, stampa (e TV) che, negli Usa, non serve a contrastare affatto i propositi di dominio mondiale, ma al massimo si schiera in prevalenza con un nuovo Presidente per il mutamento di strategia in vista degli stessi scopi (ma gli intorpiditi cervelli “occidentali” sono abituati a pensare che i “liberi” media statunitensi abbiano invece innescato un processo autocritico e un cambiamento di indirizzi).
Si noti, inoltre, che perfino i sopravvissuti del colossale fallimento del “comunismo” (i “preti” di quelle sette che sono trotzkisti e bordighisti), in nome della cervellotica lotta (“di classe”) del proletariato mondiale contro il Capitale (sempre mondiale), pretendono che si conduca una lotta generale contro tutti i paesi capitalistici (occidentali e orientali): tutti sullo stesso piano, dagli Usa a quelli europei alla Russia alla Cina all’India e via dicendo. In una penosa condizione, come quella in cui versa la “sinistra” antiamericanista (che vorrebbe prolungarsi in antimperialista), è ridicolo il sol pensare di uscire da un netto minoritarismo, che dovrà essere subìto molto a lungo e senza nemmeno la consapevolezza di quanto sarebbe necessario almeno mettere in cantiere.
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La nostra popolazione (almeno per tre quarti) è oggi in angustie per remunerazioni troppo basse sia del lavoro dipendente che di quello detto autonomo. Ha in genere da pensare alle proprie difficoltà piuttosto che ad una lotta all’imperialismo americano. Tanto più che questo si sviluppa, per buona parte, nelle aree che forniscono le principali materie prime in specie energetiche. E’ bello fare gli antieconomicisti – ed infatti gli Stati Uniti sanno bene che la loro azione non è solo mossa dal controllo delle aree del petrolio e del gas, bensì persegue soprattutto scopi strategici di dominio globale e di contrasto alla crescita di potenze concorrenti a est – ma i popoli occidentali, e gli italiani con loro, cadono tranquillamente nell’economicismo dato che il loro tenore di vita tende verso il basso. Questi popoli – che, almeno per tre quarti, sono in fase d’impoverimento – si sentono raccontare dagli “antisistemici” (o anche antimperialisti) che la loro salvezza è nell’assenza di sviluppo (anzi in un qualche arretramento), e che dovremmo solo puntare a fonti energetiche alternative per salvare l’ambiente (cosa tutta da vedersi), fonti non certo in grado di fornire tutta l’energia necessaria a non regredire come condizioni di vita (materiali; sissignore, proprio quelle materiali, cari antisistemici che vivete di “idee e spirito”).
Simili schegge debbono essere lasciate da parte; purtroppo sono invece alimentate proprio da settori delle classi dominanti (quelli che hanno legami organici con l’imperialismo americano), ben consapevoli di quanto sia utile “ingrassare” gli imbonitori e “dottor Dulcamara”, in grado di invadere i media per disorientare i popoli e impedire loro di cominciare a capire quali problemi debbano essere affrontati in una fase storica di crisi. Mentre la destra, salvo alcune frange extraparlamentari, è nettamente filoamericana (e filoisraeliana), la sinistra ha tentato – dopo il “crollo del muro” e l’operazione “mani pulite”, partita non a caso dagli Usa e manovrata anche dalla nostra finanza e industria a tale paese strettamente legate – di presentare un arco vastissimo di posizioni: dal più deciso filo-americanismo (esempio preclaro fu il Governo D’Alema, messo proprio in piedi per bombardare la Jugoslavia al seguito di Clinton) fino al più radicale (almeno a parole) antiamericanismo con appoggio ai popoli arabi, con opposizione all’intervento americano (rivelatasi fasulla perché in Parlamento le ultime operazioni di guerra italiane, mascherate da aiuti umanitari, sono state finanziate da un Governo votato dall’intero arco della sinistra).
In linea generale, la sinistra “estrema” serve a paralizzare la crescita di eventuali forze di autentica autonomia dando sostegno (che è giusto, ma dev’essere subordinato a qualcosa di strategicamente più incisivo ed efficace) ai popoli che subiscono aggressioni varie statunitensi; sostegno del resto subito reso ineffettuale da un atteggiamento del tutto simile di fronte alle manovre americane tendenti a creare disordini (Cecenia, Tibet ecc.) atti ad ostacolare la crescita delle potenze concorrenti a est. Forze (già piccole in sé) vengono deviate verso obiettivi di antimperialismo generale senza alcuna distinzione tra Usa, Russia, Cina, ecc. E’ una ripetizione, come al solito in farsa, di quanto accadde negli anni trenta quando certi “comunisti” impiegarono le loro (per fortuna assai misere) energie a mettere l’Urss sullo stesso piano di Usa, Inghilterra, Francia, Germania, ecc.
Si crea in tal modo una situazione confusa, difficile da comprendere e seguire. Facciamo brevemente un esempio (su cui bisognerebbe diffondersi di più). Un filo-amerikano come Berlusconi favorisce di fatto (per i suoi interessi) i progetti comuni tra Eni e Gazprom che sono strategicamente rilevanti e fanno ombra ad analoghi progetti statunitensi, creando una vera spina nel fianco a questi ultimi. Il filo-amerikano effettua quindi mosse che sono oggettivamente in contrapposizione ai progetti in questione. La sinistra – quella moderata ma senza alcuna opposizione della “estrema” – crea invece ostacoli ai progetti “nostrani” (e quindi di fatto favorisce quelli Usa) con l’insistenza di separare produzione e rete di distribuzione dell’Eni, attribuendo la proprietà di quest’ultima alle municipalizzate dette “rosse”. La UE e la sua Commissione, dove la sinistra conta molti appoggi, favoriscono questa “menata”, mentre il vicepresidente della Gazprom è intervenuto con una lettera inviata proprio al Giornale (di Berlusconi; e da noi pubblicata sul blog) per denunciare, con i toni cortesi e “stupiti” che si usano in tali occasioni, i gravi danni che una simile misura comporterebbe sul piano della collaborazione tra i due enti (che si allarga pure alla Sonatrach algerina).
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Questo è un buon esempio di come un destro (liberista, ma che sa fare i suoi interessi) può in certi casi essere più utile al paese di una sinistra, che esalta il “pubblico” al solo fine di mantenere in piedi una serie di aziende, in cui infilare i “suoi uomini”, esperti soprattutto nel fungere da collettori di voti indispensabili a occupare posizioni di potere tali da consentire gli intrallazzi con tutti i peggiori “poteri forti” italiani (quelli che appunto sopravvivono mangiando alla greppia dei sussidi pubblici: statali, regionali, ecc.). Non sostengo che si tratti di una regola generale, ma non è nemmeno una singola eccezione. L’esempio serve a dimostrare come sia stupido fare distinzioni “di principio” tra destra e sinistra, tra liberismo (mercatismo) e statalismo (in genere sprecone e inefficiente, solo capace di gonfiare la spesa pubblica corrente, non quella per investimenti di “alto pregio”). La sinistra sta viepiù gettando la maschera; ma non basta, bisogna perseverare nell’inseguirla e combatterla perché insiste nella sua opera di creazione di “cortine fumogene”, tuttora aiutata da una stampa e da media, italiani e stranieri, soprattutto non a caso americani e inglesi, che non hanno perso la speranza di far tornare in auge i migliori servitori, non smaccati e chiassosi, degli interessi del paese predominante.
Comunque, la botta presa dalla sinistra detta radicale o estrema ha scoperto un fianco dello schieramento di coloro che servono gli interessi statunitensi in modo pasticciato e confuso, onde non far capire ai propri elettori il fondo della questione, la loro effettiva subordinazione (“pagata”). D’altra parte, è evidente che la crisi incipiente non consente più margini per giostrare con funambolesca abilità; sono necessarie scelte più nette, e anche i servitori della “estrema” sinistra sono invitati a togliere subito le maschere dal volto. Questo è il reale significato della sconfitta di quest’ala della sinistra; non le si possono più concedere “prestiti”, né giochi di prestigio troppo costosi. D’altra parte, essa, presa dalla paura di perdere gli emolumenti goduti per il “tradimento”, si è tolta troppo presto la maschera ed è crollata; in specie presso l’elettorato che considerava di sua proprietà, quello operaio. E se una sinistra che recita la parte dell’antisistema, della difesa della Classe, del finto pacifismo (che non combatte, limitandosi a sbraitare e fare un po’ di chiasso contro le mire imperiali statunitensi), ecc. non riesce più a nascondere il laido volto al suo elettorato, essa non serve più a nulla e può essere buttata al macero dall’establishment.
Non è però finita; i parassiti finanziari e industriali italiani – filo statunitensi – sono sempre all’opera e non vogliono far durare Berlusca che, quando i suoi interessi lo portano altrove, può anche fare qualche mossa (tipo Gazprom) non consona alla sua posizione (filo-americana) ufficiale; e poi, se facesse veramente il liberomercatista, danneggerebbe tali parassiti proprio in un momento di crisi grave (e non solo italiana, pur se noi stiamo peggio degli altri). La sinistra, su cui la grande finanza e l’industria in affanno puntano come al loro solito, è quella moderata; però sono certo che qualche buon fiumiciattolo “aureo” si dirigerà ancora verso i disastrosamente sconfitti, perché certe idee “antisistema” sono troppo utili al sistema imperiale statunitense per essere completamente archiviate.
Vedrete quale agitazione si impadronirà di quest’area per “ulteriori rifondazioni”, tutte fasulle e tutte “guidate”. Avremo modo di riparlarne; anzi è proprio di questo che dobbiamo parlare. A partire dalla concertazione degli apparati di Stato sindacali; bisogna poi attaccare i falsi antisistemisti, che perseguono in realtà lo scopo di scompaginare, con le loro idee di indebolimento e inviluppo, le autentiche forze di una (non prossima) rinascita della nostra autonomia; certo intanto di paese e non di classe. Chi oggi predica ancora quest’ultima, sembra un matto fuori del tempo; alcuni lo sono anche, ma altri sono invece furbi e del tutto funzionali alla potenza imperiale statunitense e, proprio per questo, si mascherano da “feroci” oppositori della stessa. Gli imbroglioni sono già all’opera. Teniamolo presente, fra l’altro ricordando il bel detto maoista: bastona il can che annega (inaccettabile in senso letterale, molto appropriato per quei “cagnacci” di finta ultrasinistra, “cristallini” anticapitalisti a parole, meschini “magliari” pagati dagli ambienti filo-imperiali, nei fatti).
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