ATTO DI FORZA
Monti: lascia, raddoppia o boicotta? Dalle prime dichiarazioni dell’ormai ex Premier possiamo dedurre che difficilmente cederà il passo senza provarci (provaci ancora amico dello Zio Sam!), probabilmente tenterà di raddoppiarci le pene scalando il Quirinale oppure presentandosi con una propria lista appoggiata dal Centro, dai transfughi del Pdl in fuga dal vecchio padrone e, chissà, forse anche da trombati del Pd, ma, certamente, non avendo dubbi in merito, il suo boicottaggio è già cominciato perché lui il partito ce l’ha già e non ha bisogno di costituirlo con l’aiuto di Fini e doppi fini. Il suo partito si chiama mercato, ovvero finanza nazionale e internazionale, ed ha come fine dichiarato quello affossare l’Italia, qualora l’agenda dell’austerità e della dismissione del patrimonio nazionale non sarà portata avanti anche dalla prossima compagine governativa.
Per questo rischiamo di ritrovarcelo ancora tra i piedi il Tecnico in carne ed ossa o il suo fantasma alla ricerca di un altro organismo da infiltrare, in un posto qualsiasi di governo, a garantire quella continuità liquidatoria che i potentati mondiali si aspettano da Roma. Il primo a manifestare profonde preoccupazioni, et pour cause, è stato Obama, secondo il quale l’abbondono delle politiche rigoriste e orientate al rientro del debito, imposte da Monti e immediatamente contraddette nelle intenzioni da un Berlusconi passato all’opposizione (il quale si ricandida alla guida del Paese ma quasi senza speranze di riuscita), rischia di trascinare l’Italia e l’Europa nel baratro del fallimento. Gli americani non sono stati parchi di critiche nei confronti del bocconiano il quale, a loro parere, non è stato abbastanza tetragono nel ridurre le spese generali dello Stato, ma che, soprattutto, non ha saputo attaccare ed intaccare radicalmente le prerogative di quei gruppi dell’apparato pubblico che ancora difendono le imprese partecipate e quelle strategiche.
Perché, sia detto precisamente, è questo il vero obiettivo perseguito: sottrarre al controllo dei drappelli dell’ “oligopolio” statale aziende di punta come Eni o Finmeccanica, le quali, seppur indebolite sulle piazze azionarie e costrette a difendersi nei tribunali, continuano a conservare margini di operabilità e di discrezionalità nei grandi spazi commerciali ed industriali, territoriali e mondiali. Questo assalto delle borse e dello spread all’Italia non è soltanto un tentativo di far pagare alla popolazione il maggior prezzo della crisi economica, trasferendo ricchezza dai ceti medio-bassi a quelli più alti e parassitari, a corto di liquidità e di aspirazioni, no, lo scopo principale, con il pretesto di tagliare le unghie all’invasività della mano statale, è quello di svendere i gioielli nazionali dei settori sensibili, dall’aerospaziale all’energia. Dopodiché qualsiasi altra controriforma sociale risulterà più agevole e non incontrerà ulteriori resistenze, essendo caduti gli ultimi bastioni fortificati a difesa dell’autonomia nazionale. Così crollerà tutta l’impalcatura del Welfare, già ridimensionata e smobilitata negli ultimi vent’anni, successivamente al golpe di palazzo chiamato Mani pulite, sotto gli occhi di sindacati corrotti e marciti, associazioni industriali autoreferenziali e rassegnate, partiti esautorati o ridotti a paraventi dei banchieri e dei poteri esteri (europei e statunitensi).
La situazione è questa e non sarà il voto a rovesciarla, anche se aumenteranno le astensioni o i consensi verso le rappresentazioni organizzative più movimentistiche ed “antisistema”. Oramai, occorre ben altro per saltare il fosso evitando di finirci dentro, servirebbero formazioni di resistenza e rilancio nazionale disciplinate e quasi militarizzate, avanguardie sociali portatrici di un fondamento ideologico forte e innovativo nonché di un’idea di salvezza pubblica non commerciabile e traducibile in compromesso, da opporre allo sfacelo in corso con tutta la violenza di cui sarebbero capaci, disponibili, pertanto, anche a passare sui corpi venduti e sulle istituzioni putrefatte senza commuoversi. Purtroppo siamo ancora lontani dalle auspicate riconfigurazioni politiche.