Lezioni sul pensiero di Marx di G. La Grassa

Questo è un primo video che inizia un percorso di presentazione del pensiero di Marx, ma non con intenti puramente celebrativi. Nemmeno si pretende di esporre tutto ciò che veramente ha detto questo pensatore, sulla cui importanza storica non dovrebbero esserci dubbi, salvo che per certi faziosi e ignoranti suoi detrattori. L’intenzione è di rendere il più coerente possibile il suo modello teorico che – come disse Althusser (e secondo me è la migliore definizione data) – apre all’indagine scientifica il “Continente Storia”. Ridurre Marx alla scoperta dello “sfruttamento” del proletariato, come alcuni (direi molti) hanno fatto, è un’autentica corbelleria, riduce il suo pensiero a quello di qualche ideologo (da strapazzo) che pensa all’eliminazione di ogni conflitto nella società umana, alla “fratellanza” e “comunione di spiriti” di esseri animali che devono vivere “mangiando altri”, poiché questa è la sorte comune a tutti; anche se il pensiero, la ragione (o come lo si vuol chiamare) – questa particolarità umana – rende unico, e continuamente evolutivo, questo “mangiare”; spesso più crudele di quello di altre specie viventi.

Metteremo in luce come, una volta morto Marx, sia subito iniziata una qualche deformazione del suo pensiero. Tuttavia, questa nasceva da una esigenza realistica che illustreremo. E si può dire che anche nel XX secolo, a lungo, le rielaborazioni di tale pensiero (che certamente non seguiremo passo dopo passo) sono state nell’insieme comprensibili, spesso accettabili (almeno parzialmente) e non cervellotiche. Ad un certo punto però – e ritengo che uno dei peggiori tornanti si sia verificato con il fatidico ’68 – Marx è stato ridotto ad una specie di invasato utopista, il che ha facilitato i compiti degli avversari della sua prospettiva anticapitalistica. In certi casi, io stesso mi sono ritrovato tra i piedi – nel racconto di sprovveduti commentatori – una specie di rimbambito, di “mal invecchiato”, ecc. ecc. Ho perso una vita a polemizzare, sempre però ignorato e silenziato, con una serie di ebeti, assai tipici di quest’epoca di progressivo disfacimento culturale, sociale e via dicendo. Sia chiaro; quando dico ebeti non voglio affermare che tutti i commentatori di Marx siano stati e siano stupidi. Per carità, ci sono anche gli intelligenti, ma hanno fatto a gara – e buona parte di loro sarà stata magari in buona fede – nel rendere questo pensatore effettivamente rivoluzionario (per la sua epoca) una sorta di sognatore o, ancor peggio, di consapevole falsificatore dell’effettivo sviluppo storico.

Secondo il punto di vista che sarà illustrato, Marx è stato una sorta di Galileo della scienza sociale. E verrà quindi trattato come il fondatore di una visione d’insieme di grande livello. Dopo aver illustrato e coerentizzato il suo modello teorico, si cercherà di porre in luce dove sembrano situarsi, alla luce del successivo sviluppo storico del modo di produzione capitalistico, i limiti della sua analisi e la non realizzazione delle sue previsioni di massima. Desidero porre in luce un problema centrale, su cui poco si è riflettuto e su cui si insisterà quando riusciremo a procurarci dei mezzi un po’ decenti per ottenere dei buoni video nell’esposizione del pensiero marxiano e della necessità del suo superamento. Citerò un passo fondamentale dalla Prefazione alla PRIMA edizione del I libro de “Il Capitale”, l’unico testo altamente scientifico elaborato e pubblicato da Marx; e che quindi è successivo alla marea di appunti e note poi pubblicati dopo la sua morte (e sistemati da Engels, Kautsky e altri) e che molti hanno voluto spesso opporre alla effettiva sistemazione teorica operata dall’autore. Si pensi come solo esempio ai “Grundrisse” (di cui si è preso come “oracolo” soprattutto il “frammento sulle macchine”). Ecco l’illuminante passo:

 

<<Il fisico osserva i processi naturali nel luogo dove essi si presentano nella forma più pregnante e meno offuscata da influssi perturbatori, oppure, quando è possibile, fa esperimenti in condizioni tali da garantire lo svolgersi del processo allo stato puro. In quest’opera debbo indagare il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono. Fino a questo momento, loro sede classica è l’Inghilterra. Per questa ragione è l’Inghilterra principalmente che serve a illustrare lo svolgimento della mia teoria [grassetto mio; ndr]. Ma nel caso che il lettore tedesco si stringesse farisaicamente nelle spalle a proposito delle condizioni degli operai inglesi dell’industria e dell’agricoltura o si acquietasse ottimisticamente al pensiero che in Germania ci manca ancora molto che le cose vadano così male, gli debbo gridare: de te fabula narratur!>>.

 

Si è capito il discorso? Marx non analizza il capitalismo come società complessiva, bensì il modo di produzione di tale società e i rapporti di produzione e di scambio corrispondenti. Questo è per lui lo “scheletro” della società (o, se volete, la “base economica”), che decide dell’articolazione di tutti gli altri organi e apparati del “corpo sociale” complessivo (per ogni determinata epoca storica: schiavismo, feudalesimo, capitalismo, ecc.). L’Inghilterra, ormai alla fine della prima “rivoluzione industriale” (circa 1760-1840), è il “laboratorio” dell’analisi marxiana; e da questo paese sono dunque tratte le indicazioni relative alla prevista dinamica storico-sociale che Marx pensava avrebbe condotto al modo di produzione socialista e poi comunista (e vedremo compiutamente il perché nella nostra esposizione sistematica). Inoltre, Marx era convinto che lo sviluppo del modo di produzione in Inghilterra si sarebbe espanso, con le stesse caratteristiche, in ogni dove; dato che egli vedeva in questa forma di società quella vincente su scala globale.

In realtà, oggi capiamo che l’Inghilterra è stata solo il laboratorio del “capitalismo borghese”, che si pensava foriero della “rivoluzione proletaria”, man mano che questa forma capitalistica si fosse estesa al mondo. A questa “specie” capitalistica ne è seguita invece un’altra, quella “esplosa” negli Stati Uniti e che non è servita da laboratorio ad alcun scienziato per scrivere un nuovo libro de “Il Capitale” (siamo restati a “Galileo”, nemmeno in vista un “Newton” e un “Einstein”). I marxisti si sono così deliziati nell’“adorare” (quasi religiosamente) le profezie del pensatore di Treviri; i liberal-liberisti si sono limitati a sviluppare una “teoria delle scelte” degli individui umani, una volta che questi fossero vissuti nella società capitalistica, “ubriacandosi” della sua cultura dominante.

Noi siamo troppo pregni di categorie marxiane – però almeno conosciute e non inventate come hanno fatto schiere di invasati “grundrissisti” – e non pretendiamo quindi altro che di ripristinare infine il loro alto valore scientifico, collocandolo però in un’epoca sociale del capitalismo che risale a un secolo e mezzo fa. Cercheremo di indicare alcune possibili vie d’uscita, consci però che si tratta solo di spunti da rielaborare abbondantemente. E ciò avverrà solo se verrà superato questo netto “spostamento” dell’intelletto di nuove generazioni, tutto dedito alla “prontezza di riflessi” per impadronirsi di tecnologie in accelerata evoluzione; e non invece alla “riflessione” con i suoi ritmi lenti come quelli della storia, che non corre all’impazzata. E se s’insisterà a non riflettere, si finirà ben male.

 

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