Massimo D’Alema, alias lider Massimo, alias Spezzaferro, alias Conte Max, alias Baffino, alias Bombardino, è il capo più sopravvalutato della sinistra italiana, sin dai tempi in cui la sinistra italiana era già americana, cioè, più o meno, da quando lui è entrato in politica, insieme a Walter Nando Veltriconi, un altro figlio d’arte (settore giornalistico), che è nato americano in un ospedale romano. Ma con loro il cambio d’identità e discendenza, da mamma Roma allo Zio Sam, sarà definitivo. Di padre comunista e deputato, D’Alema ha ricevuto in eredità la carriera parlamentare e, forse, anche per un attaccamento sentimentale al lascito genitoriale ha preso molto male la rottamazione di Renzi, la porti un bacione ai Finanzieri dei biechi poteri. Massimo non ha mai concluso nulla di buono nell’esistenza e i suoi unici successi sono stati più che altro personali, intrighi tra compagni, complotti di cordata, accoltellamenti tra consanguinei per la guida del partito e per qualche posticino nelle istituzioni. Di danni combinati da costui, invece, non se ne contano più, sia per la vita politica del Paese che per il portafoglio dei cittadini. Il suo nome doveva entrare nella storia per la vicenda della bicamerale, tentativo di riforma costituzionale, ma, come tutte le sue cose, anche questa finì male e ce lo ricordiamo soltanto per un plurilocale a 600 euro al mese in pieno centro nella Capitale. Costretto a sloggiare controvoglia si rifarà dal trasloco qualche anno dopo divenendo inquilino di Palazzo Chigi, grazie ad una manovra di palazzo orchestrata da Francesco Cossiga e dagli statunitensi che avevano deciso di sfrattare Milosevic da Belgrado. Il prezzo di tutta la faccenda fu salato ma a pagare, more solito, non fu lui ma 3500 serbi uccisi dai raid della Nato. Con il consueto colpo di genio Max, dopo aver rotto la testa agli uomini della regione balcanica provò a portare loro i cerotti con la famigerata missione arcobaleno. L’iniziativa fu l’ennesimo disastro ed un altro esempio di come non si fanno le cose o, meglio, di come si fanno le cose in Italia tra sprechi, ruberie e truffe varie. D’Alema venne pure ascoltato quale testimone dall’allora giudice di Bari Michele Emiliano che voleva vederci più chiaro. Fu oscuramento totale. Come si dice in questi casi se non puoi batterli fatteli amici ed Emiliano da pubblico ministero si ritrovò in mano un ministero da sindaco del capoluogo pugliese, sospinto proprio da D’Alema. Nel frattempo arrivò anche la ciliegina sulla torta che tolse ogni dubbio sull’avventura oscena di D’Alema premier. L’OCSE, in un dettagliato rapporto, smentì la menzogna integrale in base alla quale Baffino aveva autorizzato i bombardamenti e l’uso delle basi italiane per bersagliare la Serbia, ovvero lì non era in corso alcuna pulizia etnica che potesse giustificare qualsivoglia intervento umanitario. L’operazione però era già riuscita e l’impaziente comunista aveva avuto i suoi giorni di gloria, per la patria (americana) e per la panza (sua).
In Puglia, dove si dice che D’Alema abbia il suo feudo sicuro la situazione non è tutta felce e mirtilli, si trova ormai assediato dagli eserciti del Signore degli anelli al pollice, e poi non è assolutamente vero che laggiù (o quaggiù visto che scrivo da qui) tutti lo amano ancora. I miei corregionali non riescono a dimenticare la brutta vicenda della Banca 121. Ad della banca salentina era Vincenzo de Bustis, protetto di D’Alema, infatti non era difficile trovare il banchiere ai comizi e alle iniziative nella zona tenuti dall’esponente democratico, per questo costui era soprannominato il maximo banchiere, cioè il banchiere di Massimo. Ebbene, il delfino dalemiano mandò sul lastrico centinaia di famiglie le quali videro evaporare i loro soldi dopo aver acquistato prodotti finanziari spazzatura dai nomi molto simili ai titoli di Stato affinché l’inganno fosse perfezionato. A salvare il salvabile ci pensò il tempio della finanza rossa, il Monte dei Paschi di Siena, che garantì anche un salvacondotto, si dice su pressione dello stesso D’Alema, a De Bustis il quale da presunto ladro si ritrovò prima DG di MPS e poi amministratore delegato di Deutsche Bank. Dell’incombenza si occupò la procura di Trani, quella che oggi manda strali contro le agenzie di rating, ma non se ne cavò un ragno dal buco. Probabilmente, all’epoca la lotta dura contro la fregatura finanziaria non era in voga e vogare contro la corrente dalemiana non era conveniente per la carriera.
Infine, arriviamo ai nostri giorni e alla motivazione che ci ha spinto a scrivere questo pezzo poco agiografico di Massimo D’Alema. Ora che il trapiantato gallipolino rischia di finire i suoi giorni al mare, rotta(mato) verso il pensionamento, viene fuori che lui questo PD proprio non lo voleva fare. Ecco il video del 1999 (https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=CZ_88LC169o) dove il nostro scherza su quell’accozzaglia di elementi eterogenei con i quali si sarebbe confezionato un P(rodotto) D(emocratico) apparentemente perfetto ma politicamente ridicolo. Lo confesso, ciò mi ha reso più simpatico D’Alema e sapete perché? Massimo proprio non riesce a fare a meno di provocare cazzate anche quando ne prevede gli esiti infausti. L’uomo è fatto così, non lo possiamo scagionare né perdonare ma, forse, non tutto quel che ha causato lo ha fatto di proposito.
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