IL VALORE DI UNA STORIA – OVVERO LA PACE PER FARE QUELLO CHE VOI VOLETE”
https://www.quirinale.it/elementi/110740
(…)La guerra di aggressione lanciata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina, la condizione di instabilità nel Mediterraneo allargato, hanno fatto, purtroppo, declinare quella stagione.
(…)La funzione deterrente dell’Alleanza Atlantica è stato elemento di garanzia della pace in Europa e, alle donne e agli uomini, civili e militari, di straordinaria professionalità e dedizione, che, in questi 75 anni, sono “stati” la Nato, presidiandone il perimetro di libertà, va rivolto un pensiero di apprezzamento e la riconoscenza della Repubblica, oltre che dei cittadini dei Paesi che compongono l’Alleanza.
L’esperienza dell’Alleanza Atlantica ci conferma il valore di una storia che, in 75 anni, non ha mai tradito l’impegno di garanzia a beneficio dei 32 Paesi che ne fanno parte: uniti nella difesa della libertà e della democrazia.
Un valore che conferma l’importanza del multilateralismo fatto proprio dalla nostra Repubblica. (…)
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Ci vorrebbe di certo un grande, grandissimocoraggio, o, meglio ancora, servirebbe un assassinio della memoria per definire elemento di garanzia e pace quella donata dall’Alleanza Atlantica all’Europa per 75 anni.
In quale ameno luogo avrà vissuto il nostro Presidente in questi 75 anni? Mi scusi Presidente, non avrei mai potuto immaginare che Lei fosse un cultore di Paolo Pietrangeli! Mi perdoni, allora, per non aver compreso subito che la “pace” cui lei fa riferimento dev’essere, senza dubbio alcuno, quella a cui si allude in “Contessa”, canzone da medimenticata (ahi la memoria, la memoria), perché dev’essere proprio tanto, tanto tempo che non la canticchio:
“Voi gente per bene che pace cercate
La pace per fare quello che voi volete
Ma se questo è il prezzo, vogliamo la guerra”.
https://www.youtube.com/watch?v=1WOIfjPY5tc
Paolo Pietrangeli – Contessa
E mi creda Presidente, non pensavo che pure ai Presidenti potessero scappare dei “motti spirito”! Iquali nella complessa fenomenologia del motto di spirito vengono definiti “innocenti” o “tendenziosi”,con l’accostamento di elementi dissimili, con la rivelazione di ciò che è celato, con il senso nell’assurdo. E certamente tutti i motti, in misura maggiore o minore contengono un elemento di verità illustrabile con esempi. E questi motti restanocomunque uno dei linguaggi dell’inconscio, che sono praticamente quattro (il sogno, il lapsus, il sintomo nevrotico e il motto di spirito), con tutte le incertezze che ne conseguono.
Certo, quanto ai 75 anni di “pace” in Europa Lei potrebbe addirittura invocare quella “invisibilità dell’evidenza”, di cui Dupin discorre nel racconto di E. Allan Poe “La lettera rubata”. Oppure Leipotrebbe sostenere che il suo discorso è in realtà il frutto d’un lapsus freudiano, o è, molto semplicemente, un Suo sogno di una notte di mezza estate. Sia come sia, purtroppo, non possedendo il sottoscritto una valida strategia di lettura basata sul “paradigma indiziario”, interessata a sciogliere tutte le presunte incongruenze del Suo discorso su quella pace lunga 75 anni, di cui Lei ha parlato, e sulla quale io non potrei affatto aprir bocca perché quella pace non l’ho proprio vista.
Ed allora, ben conscio di non essere Dupin, e sebbene sprovvisto di quel fare ieratico con le sue usate ed abusate litanie, vorrei comunque provare a dare un aiutino che metta sulla retta via, quella della “verità”, non dico Lei Presidente (non mi permetterei mai!) perché Lei, com’è noto al colto e all’inclita, della verità rappresenta l’incarnazione, quanto un bel po’ di miei scapestrati compagni. Sì, sembra sia abbastanza vero che siamo usciti dalle brutalità fasciste, ma per approdare alle sciropposità pseudodemocratiche che ci succhiano il cervello. Insomma ci saremmo stracciati di dosso una camicia nera che però ci ricresce addosso irrimediabilmente, un giorno dopo l’altro. E intanto custodiamo, come fosse un codice prezioso, un alfabeto di odio che fa ammutolire, con sullo sfondo affinché si veda e non si veda, una grande massa di esiliati dai diritti minimi che tace incredula.
Pensi, Presidente, che, benedetta memoria, avevo pure dimenticato quel che ebbe a dire nel 2009 Il P.d.C. nell’epoca della guerra dei Balcani, ovvero Massimo D’Alema. Lei si ricorderà di quel comunista “ex, s’intende” (Il Riformista 24/3/2009- “Fu un errore bombardare Belgrado”).“bombardare”: ovvero Colpire con tiro di artiglierie o con lancio di bombe da aerei le postazioni nemiche. A volerla dire tutta, però, a me è sembrato,quello del 1999, davvero uno strano modo di “presidiare il perimetro di libertà” (per usare le Sue parole), facendo esplodere il cielo e la terra della sfortunata Jugoslavia. Parola del Presidente del Consiglio pro-tempore, Massimo D’Alema. Maquello sui Balcani è stato un presidio di morte o di morte apparente? Ricorda Presidente l’incubo, ormai lontano, dell’uranio impoverito con il quale la NATO concimò il mare Adriatico e la terra europea?
Quanto poi alla coerenza della nostra guerra sui Balcani con i principi ispiratori contenuti nellanostra Carta costituzionale, beh, qui preferisco passare la mano, perché qui i piazzisti della corruzione semantica sono purtroppo vincenti e del diritto nazionale e di quello internazionale se ne fanno un bel mucchietto di cenere. E questo, sia ben chiaro, non vuole essere affatto un motto di spirito, né Santo, né innocente, né tendenzioso, né aggressivo o ostile all’autorità o critico verso le istituzioni o le ideologie “ufficiali”, ci mancherebbe!
Ho letto del suo rimando al nobile discorso pronunciato da Alcide De Gasperi alla Conferenza di pace, del 10 agosto 1946, e al suo lavoro di sensibilizzazione nei confronti degli Alleati. E così mi sono ricordato di alcune mie vecchie letture chequi metto di seguito:
(tratto da Orazio Barrese e Massimo Caprara “l’Anonima DC” – Feltrinelli 1977- pag. 30-31)
“Di qui nasce e durerà per vari anni quello che è stato definito “l’asse De Gasperi-Costa”, ossia DC–Confindustria della quale Angelo Costa è il presidente. È chiaro che nei propositi di De Gasperitale alleanza deve coprirgli le spalle a destra, ma resta il fatto che quella che doveva forse essere soltanto un’azione tattica diventa una scelta strategica, proprio per la grettezza degli interessi di cui Costa si fa portatore. Quest’uomo che anni più tardi quale produttore dell’olio Dante sarà al centro dello scandalo dell’ “asino in bottiglia” (Una clamorosa frode alimentare ai danni dell’olio insabbiata per anni dietro una rete di silenzi e complicità. Lo scandalo rivelava che il 90 per cento dell’olio d’oliva venduto in Italia sin dal dopoguerra, conteneva grassi di animali morti, cavalli, buoi, asini e montoni).
In realtà congrui “anticipi ” vengono accordati fino dall’estate 1947 dopo la costituzione del primo governo centrista, sulla base di un “ordine di servizio” che Angelo Costa trasmette a De Gasperie che prevede tra l’altro la libertà di licenziamento nelle fabbriche, l’aumento graduale ma rapido dei prezzi del pane, della pasta, dei servizi pubblici, degli affitti, l’abolizione dell’imposta sugli utili di speculazione, sui dividendi, la riduzione della tassa sugli scambi, la piena disponibilità della valuta per gli esportatori.
L’attuazione di taluni di questi punti, viene effettuata col massiccio impiego della forza pubblica. Dure repressioni ad esempio vengono programmate dal governo per impedire a Milano il 28 novembre 1947 uno sciopero di protesta contro decine di migliaia di licenziamenti. E poiché De Gasperi e Scelbadubitano che il prefetto Ettore Troilo, uomo della resistenza, dia corso al piano repressivo, decidono di rimuoverlo. Ciò inasprisce la reazione degli operai che occupano non solo numerose fabbriche ma anche la prefettura. Il governo allora proclama lo stato d’assedio che il comandante militare della piazza non esegue. Preferisce essere sostituito, come sarà sostituito Troilo, piuttosto che diventare un nuovo Bava Beccaris.
Non c’è alcun dubbio che trattasi di fulgidi esempi di pacifismo, oltre che di buon governo,democratico-cristiano s’intende.
(tratto da Massimo Caprara “Ritratti in Rosso”- Rubbettino ed. 1989)
IL SEDATIVO TOGLIATTI (P. 94-95)
“Io fui casuale testimone di uno dei tanti episodi di autentico disprezzo per le soluzioni piazzaiole nutrite da Togliatti. Durante il grande comizio delle sinistre unite organizzato la sera del 27 novembre 1947 a Milano per protestare contro la destituzione, realizzata dall’allora ministro dell’Interno Scelba, dell’ultimo dei prefetti politici imposti dal Comitato di Liberazione Alta Italia, Troilo, Paietta telefonò al capo del partito.
“Passami Togliatti, mi disse con eccitazione al telefono. Trasferitosi di malavoglia all’apparecchio (sul tavolo non ne aveva, né mai lo usava di propria iniziativa), Togliatti ascoltò, apparentemente interessato, la telefonata da Milano. “Scelba ha una prefettura in meno” urlò Paietta. “Davvero?” replicò Togliatti. “Siamo in tanti e tutti decisi a tutto”. Al microfono si udivano voci scomposte di consenso e di incitamento. “Abbiamo occupato e teniamo la Prefettura di Milano”, concluse Paietta. “E adesso che vene fate?”. Lo gelò Togliatti. Da Milano si fece un silenzio improvviso corposo come un muro, traumatico. La conversazione telefonica cadde, folgorata da quella domanda.
Il giorno dopo, la protesta si spense, l’eccitazione gradatamente s’acquetò e nella riunione della Direzione del PCI convocata nella settimana, non proprio a caldo, Paietta subì un attacco sarcastico e sferzante da parte di Togliatti. “Credevi che la Bastiglia o il Palazzo d’Inverno fossero a tua disposizione a Milano per venire rovesciati od occupati alla baionetta? Bell’impresa. Quanti giorni o quante ore avresti resistito come un garibaldino fuori tempo? So bene che ti chiami Nullo (era infatti il nome di battaglia che Paietta aveva assunto durante la guerra partigiana ripetendo quello di un eroe garibaldino). “Ma nulla avresti concluso” infierì Togliatti.
In quella riunione, caro direttore, anche Togliattibarò. Non citò, infatti, un altro, il vero protagonista che non accettò le spallate violente, eversive in un’Italia che era, invece, tutta da ricostruire. Questo protagonista tuttora si chiama, in nome collettivo, corpo elettorale.
Fu lui, fornendo consensi ai partiti della borghesia e arginando quelli al PCI, a decidere in ultima analisi e senz’appello che la rivoluzione non stava di casa in Italia. (Il Giornale, 12 agosto 1987)
(De Gasperi e l’America – Nico Perrone-p. 217-218 ed. Sellerio 1995)
La DC di De Gasperi, nelle vicende di trasformazione del paese ha un ruolo in buona parte – ma non interamente – negativo. Negativo per il prevalere di una linea politica estera subordinata, ipotecata su un lungo periodo e gestita da un’alta burocrazia assai povera. Negativo per l’uso di parte degli organi dello stato: la polizia in funzione repressiva delle opposizioni, con fatti sanguinosi ripetuti; la magistratura, anch’essa in funzione repressiva e di classe, con una colpevole e sostanziale rinuncia alla propria autonomia costituzionale; gli enti pubblici economici e le banche, spesso istituiti in funzione puramente elettoralistica, clientelare e di programmato dissesto. Negativo soprattutto per avere fatto prevalere, la vecchia Italia della conservazione, della destra, della provincia e perfino della mafia – verso la quale la DC ebbe tolleranza – in un momento nel quale esistevano, invece, corali premesse per un cambiamento profondo.
Dei governi De Gasperi si deve ricordare anche la resistenza a dare attuazione piena alla costituzione, momento di compromesso fra istanze cattoliche, socialiste e liberali, dal quale De Gasperi si volle distanziare, una volta infranta la collaborazione politica che ne era alla base. Ma ancora si debbono ricordare, alcune sue misure antidemocratiche, come la riforma del sistema elettorale – mediante la cosiddetta “legge truffa”, che assegnava un premio di maggioranza del 65 per cento al “gruppo di liste collegate” che raggiungesse la metà più uno dei voti validi – e i provvedimenti deliberati dal consiglio dei ministri il 18 marzo 1950. In base a questi provvedimenti – che il settimanale del PCI definì “incostituzionali” – i prefetti e il ministero degli interni potevano disporre il divieto, fino a tre mesi, di comizi e cortei in singoli comuni e in un’intera provincia, tutte le volte che si verificassero gravi atti di violenza o di intolleranza. Si preveniva inoltre lo strillonaggio e la vendita a domicilio dei giornali: una disposizione diretta contro la diffusione del quotidiano del PCI, “L’Unità, che avveniva normalmente con quella modalità. Ma sono soltantoesempi, in un quadro ben più vasto.
Sarà soltanto dopo De Gasperi, che la DC , recuperata una dialettica interna ed un rapporto – non più di collaborazione governativa, ma consociativo – con la sinistra, potrà impegnarsi in una stagione di riforme.
In ultimo ma non per ultimo, una domanda per l’ipotetico lettore: chi pensa sia più simile al bieco tiranno Putin, il De Gasperi dai nobili discorsi o il sedativo Togliatti?
19 aprile 2024
Oronzo Mario Schena
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