Azerbaigian: parla agli Usa ma negozia con Mosca a cura di G. Amodio

Riporto un intervento di Sergio Romano, ex diplomatico molto versato nelle questioni storiche ed in quelle di politica inernazionale. Il suo scritto si intitola "Azerbaigian: parla agli Usa ma negozia con Mosca". E’ apparso sul Corriere della Sera del 21 Novembre, dunque non si tratta proprio di una notizia dell’ultim’ora; tuttavia, ritengo che leggerlo (o eventualmene rileggerlo), sempre cum grano salis, sia cosa molto utile, da porre in relazione con le riflessioni prodotte dal blog circa le dinamiche geopolitiche ed il delinearsi di una tendenza al policentrismo nell’ampia formazione capitalistica mondiale.

 

                           

 Azerbaigian: parla agli Usa ma negozia con Mosca (di Sergio Romano)

 

"…l’Azerbaigian e il suo rapporto con le grandi potenze. L’indifferenza con cui la presidenza Bush ha assistito ai metodi elettorali in vigore nella repubblica azera [ n.d.r. le elezioni presidenziali azere sono state vinte dal presidente uscente Illham Aliyev con quasi il 90%] può sorprendere soltanto chi abbia davvero creduto alle sue preoccupazioni per il futuro democratico della Georgia e delle repubbliche caucasiche. Per ragioni petrolifere e strategiche gli Stati Uniti vogliono estendere al Caucaso la loro zona d’influenza. Hanno bisogno di pupilli e ne hanno trovato uno, anche se troppo imprevedibile e capriccioso, nella persona di Saakashvili. Ma il vero hub petrolifero della regione è Baku, capitale dell’Azerbaigian, produttore di petrolio, capolinea di un oleodotto che attraversa Tbilisi per arrivare, attraverso il Mar Nero, sino al porto di Ceyan, sulla costa turca del Mediterraneo. E’ questa la ragione per cui il vicepresidente Dick Cheney, agli inizi di settembre, incluse l’Azerbaigian nel suo periplo caucasico e ucraino. Voleva assicurare i due alleati dell’America nella regione (Ucraina e Georgia) che Washigton avrebbe continuato a occuparsi del loro futuro, e soprattutto incoraggiare l’Azerbaigian a fare una scelta nettamente pro-americana.

Ma l’accordo sul Nagorno Karabach, raggiunto a Mosca nelle scorse settimane, sembra dimostrare che Illham Aliyev, figlio del generale del Kgb che ha fondato la repubblica azera, non ha alcuna intenzione di schierarsi irrevoabilmente da una parte o dall’altra. Il negoziato sul Nagorno Karabach ne è una eccellente dimostrazione. Questo territorio montano, abitato da una maggioranza armena, fu assegnato da Stalin all’Azerbaigian per compiacere la Turchia (gli azeri sono un popolo di origine turca) e per ragioni non troppo diverse da quelle che giustificarono l’inclusione di Abkhazia e Ossezia del sud nella Repubblica Sovietica della Georgia. Stalin non voleva che le repubbliche fossero troppo omogenee e preferiva confezionare entità miste in cui Mosca avrebbe potuto esercitare un ruolo arbitrale. Durante la crisi dell’Urss, agli inizi degli anni novanta, il Nagorno Karabach insorse contro Baku, sconfisse le forze dell’Azerbaigian e cacciò la minoranza azera dal territorio. Fu una brutta guerra di cu gli Stati Uniti e l’Europa, impegnati in Somalia e nei Balcani, quasi non si accorsero. I negoziati per la soluzione della vertenza cominciarono dopo la tregua del 1994 con la partecipazione della Russia, degli Stati Uniti e della Francia. Oggi, dopo quattordici anni di trattative, l’accordo, grazie alla mediazione russa, sembra a portata di mano. Il Nagorno Karabach continuerebbe a fare parte dell’Azerbaigian ma godrebbe di larga autonomia e verebbe ricostruito, in buona misura, a spese di Baku. Si potrebbe sostenere che questa intesa, se confermata dal seguito delle trattative, sia una indiretta conseguenza del conflitto georgiano. Mentre gli Stati Uniti protestavano contro la guerra russa, gli azeri, amoniti da quanto stava accadendo in Ossezia e in Abkhazia, sono giunti alla conclusione che era meglio trattare con l’Armenia sotto l’egida di Mosca. Hanno accolto cordialmente Cheney, ma hanno dato la sensazione di aver capito che il Caucaso è più vicino a Mosca che a Washington."