BAGLIORI DI AUTONOMIA? di G. Gabellini

Nel suo ultimo articolo, Alfredo Musto ha presentato una dettagliata disamina della situazione relativa alla realizzazione del fondamentale progetto eurasiatico di costruzione del gasdotto "South Stream". I motivi che spingono a considerare fondamentale la riuscita di questo progetto sono stati più volte analizzati in questo blog, ma, repetita iuvant, cogliamo l'occasione per proporre un realistico quadro della situazione.
La Russia è il secondo produttore mondiale di petrolio, con circa 10 milioni di barili al giorno, e il primo di gas naturale , con oltre 600 miliardi di metri cubi all'anno. Le sue riserve di petrolio sono le ottave al mondo (circa 80.000 milioni di barili), mentre quelle di gas naturale sono le più ampie (44.650 miliardi di metri cubi, 32% del totale). La Russia si colloca inoltre in una posizione geografica assai vantaggiosa, in quanto i vecchi gasdotti e oleodotti costruiti all'epoca dell'Unione Sovietica e diretti verso l'Europa solcano tutti il suo territorio. Questa posizione le conferisce un ruolo cruciale nella determinazione degli equilibri energetici, in quanto le consente di mediare tra i paesi produttori dell'Asia Centrale e quelli importatori dell'Unione Europea. La sua forza politica e militare le permette anche di fare la voce grossa quando si sente tagliata fuori dalle trattative. Sotto questa luce va letta, ad esempio, la recente decisione russa di votare a favore dell'applicazione di ulteriori sanzioni all'Iran (malgrado si trattasse di un alleato decisamente importante), che stava contrattando direttamente con il Venezuela guidato da Hugo Chavez. L'Unione Europea produce complessivamente 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno e circa 200 miliardi di metri cubi di gas all'anno, ma consuma 15 milioni di barili di petrolio al giorno e circa 520 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Il principale partner energetico dell'Unione Europea non può che essere, alla luce di queste cifre e delle vantaggiose condizioni geografiche, la Russia. Come ha brillantemente fatto notare l'acuto Daniele Scalea, redattore della rivista Eurasia, "Tra Europa, Russia e Asia Centrale si è creato un rapporto di solida interdipendenza (l'Europa dipende dalla Russia e dall'Asia Centrale per le forniture; la Russia dipende dall'Europa per la vendita e dall'Asia Centrale per la non concorrenza in campo energetico; l'Asia Centrale dipende dall'Europa per l'acquisto e dalla Russia per il transito) che suggerirebbe una politica reciprocamente amichevole". Una politica di distensione tra Russia e Unione Europea è effettivamente estremamente auspicabile, in quanto una sua adozione porterebbe cospicui vantaggi ad entrambe. Non è certo un caso che un uomo politico della stoffa di Vladimir Putin abbia fatto, nel coraggioso discorso di Monaco del 10 febbraio 2007, espresso riferimento a questa prospettiva. Dal canto suo, Washington non è stata certo a guardare, e ha immediatamente tentato di interrompere la catena di interdipendenze indicata da Scalea, mettendo a punto una serie di progetti volti alla costruzione di nuovi gasdotti ed oleodotti, collegando direttamente i paesi produttori dell'Asia Centrale con l'Europa bypassando il suolo russo. Tuttavia molti dei progetti in questione non hanno sortito l'effetto destabilizzante voluto. La creazione dell'oleodotto "BTC" (Baku – Tbilisi – Ceyhan) si è rivelata poco più che un fiasco. Un progetto credibile e potenzialmente pericoloso per gli interessi della Russia, è (o meglio, era) quello relativo alla costruzione del gasdotto "TAP" (Trans – Afghanistan Pipeline), ratificato dai governi afghano (guidato dal burattino ed ex consulente della "Unocal" Hamid Karzai), pakistano e turcomanno nel 2002 e finalizzato a collegare il Turkmenistan (settimo paese al mondo quanto a estrazione di gas) all'Oceano Indiano. Non è affatto campata per aria l'ipotesi secondo cui esista un collegamento stretto tra la messa a punto di tale progetto e l'occupazione militare dell'Afghanistan. In Afghanistan le forze Nato stanno però, inesorabilmente a quanto pare, perdendo la partita, dissanguate dalla strenua resistenza talebana. E' forse superfluo sottolineare il fatto che la riuscita del progetto in questione è strettamente legata alle sorti di questo conflitto. La costruzione del gasdotto "Nabucco" è stata quella su cui Unione Europea e Stati Uniti hanno concentrato congiuntamente i maggiori sforzi, ma ha presentato diverse difficoltà (una su tutte, l'impossibilità, data dai grossi dissidi politici, di servirsi delle acque territoriali iraniane sul Caspio, necessarie per far transitare il gas turcomanno per l'Azerbaigian e poi, tramite la Georgia, alla Turchia) che hanno drasticamente ridimensionato le ambizioni dei progettisti. I tentativi di destabilizzazione diretta delle interdipendenze presenti all'interno della massa continentale euroasiatica perpetrati dagli Stati Uniti hanno fatto finora un buco nell'acqua, malgrado il consistente supporto fornito loro dai parassitari burocrati di Bruxelles. Le argomentazioni portate da Alfredo Musto a supporto della tesi possibilista sullo "Scacco matto" che il possente "South Stream" sarebbe in grado di rifilare al "Nabucco" paiono effettivamente assai robuste. La riuscita del progetto "South Stream" (con l'uscita di scena della compagnia tedesca "RWE" dal novero dei costruttori del "Nabucco") coronerebbe l'abile strategia portata avanti finora da Gazprom e dai vertici del Cremilino, e costituirebbe un importante passo avanti dell'Europa sulla via dell'autonomia. C'è da augurarsi che l'Eni sappia mettere da parte i dissidi spiccioli nati con Gazprom non molto tempo fa e concentrare tutte le sue (non poche) forze per la realizzazione di questo progetto, assolutamente determinante per l'instaurazione dei futuri equilibri geopolitici e geostrategici.

NABUCCO

SOUTH STREAM