BANCHE E FINANZA (parte seconda)
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E’ suggestiva l’interpretazione che dà Hilferding, già ministro economico della Repubblica tedesca di Weimer prima dell’avvento del nazismo, nel famoso testo del “Il Capitale Finanziario” pubblicato nel 1910 : “ Capitale finanziario significa capitale unificato. I settori del capitale industriale, commerciale e bancario, un tempo divisi, vengono posti sotto la direzione comune dell’alta finanza, nella quale i signori delle industrie e delle banche sono uniti da intimi legami personali.” Il Capitale Finanziario ha l’apparenza fenomenica del capitale monetario… Come capitale monetario esso viene messo a disposizione dei produttori nelle due forme di Capitale creditizio e di Capitale Fittizio. Alla mediazione pensano le banche, le quali cercano di trasformare questo capitale in capitale proprio, conferendo al Capitale Finanziario la forma di Capitale Bancario.Tale Capitale Bancario diventa sempre più forma denaro del capitale realmente in funzione, vale a dire Capitale Industriale…….. Successivamente, durante la depressione, il capitale monetario invece di essere trasformato in capitale di investimento, verrebbe accumulato, ipotesi assurda giacchè macchine, magazzini, ferrovie, non si fanno con l’oro”
Mi sono permesso questo richiamo ad un classico dei primi del Novecento, per misurare le distanze che sussistono tra le capacità che avevano i primi grandi marxisti, nelle loro interpretazioni più generali delle forze e variabili economiche in campo e le risibili versioni di un ministro dell’economia di oggi Tommaso Padoan Schioppa (TPS) nell’intervista del Corriere della Sera del 7/01/07 che interviene con il linguaggio tra il familiare-schietto e la pretesa culturale del grande uomo di scienza, sul dilemma: come uscire dalla crisi economica?
Quesito posto con retorica da TPS che disegna in un affresco storico la miseria della popolazione italiana del dopoguerra con ansia però di crescita economica e con una certa disposizione a positivi sacrifici.
Ma come uscire dalla crisi, se l’economia non ha ancora risposto alla domanda primaria di come si determina la crescita: semplice, TPS rileva che la crisi và ricercata nelle soluzioni delle tesi delle poche nascite, della paura di cambiare,del rifiuto del rischio, della flessibilità e vivere di rendita.
Il richiamo fatto a Hilferding non è peregrino in quanto assume la connotazione di un rigore dei tempi andati che può essere attualizzato ai giorni nostri .
Hilferding pose un tema ricorrente nei periodi di crisi: da un lato, l’accentuazione della recessione nella inoperosità finanziaria e nella decrescita industriale e dall’altro, parimente antitetico ai teorici dei giorni nostri, che trovano invece nella finanziarizzazione del capitale, l’uscita dalla crisi; una visione di segno opposto al marxismo d’antan.
Come se l’accumulo di finanza inoperosa delle banche fosse lo stimolo più forte all’allargamento della produzione delle industrie e dei servizi e potesse d’incanto trasformare la ricchezza accumulata in settori produttivi e magari in innovazioni di prodotti.
Quello che viene totalmente obnubilato è che il Capitale Finanziario accentua le caratteristiche di puro parassitismo nelle fasi recessive nel mentre può svolgere funzioni anche propulsive nei momenti di andamento positivo dello sviluppo economico.
Un’ analisi finanziaria, minimamente strutturale, non può non fare riferimento ad un percorso della storia della finanza in Italia avendo presente che la collocazione del Capitale finanziario è non solo un aspetto fenomenico dei mutamenti di forma in funzione dei rapporti sociali di produzione, ma anche parte del conflitto strategico nell’ insieme della potenza complessiva che dispiega la frazione di capitale nel conflitto intercapitalistico.
Nella ricostruzione delle molteplici lunghe trame della finanza del nostro paese, non si può intanto prescindere dai cosiddetti mandanti finanziari-politici , interpreti e attori non visibili di un teatro dove si odono alle volte soltanto dialoghi e voci narranti.
La lunga trama finanziaria in Italia dal dopoguerra ad oggi, si interpone nei due periodi decisivi del capitalismo italiano: prima e dopo mani pulite.
Il dopo mani pulite rappresenta il punto di svolta di un aperto conflitto di frazioni capitalistiche nazionali in stretta dipendenza da quelle americane ed europee , dove la finanziarizzazione è solo l’aspetto fenomenico dell’ irreversibile fase di periodo di stagnazione economica-produttiva.
La storia della finanza è anche la storia degli inganni sviluppatisi in Italia con una certa duttilità politica esplosa a volte in congiure di palazzo consumate nell’insipienza e nel decadimento sociale e culturale da ‘fine d’epoca”. Dietro ogni eco di cronaca finanziaria c’è sempre un sottinteso per lasciare intuire ciò che si vuole smentire o confermare , anche se ogni sommovimento finanziario ha sempre un mandante o un dominus più o meno nascosto.
TPS meriterebbe una considerazione attenta ed a parte, perché rappresenta la storia emblematica di come un grande Commis d’Etat, tecnico con una certa visibilità politica di colorazione diessina abbia svolto ruoli di primaria importanza dentro la lunga trama finanziaria, in particolare da mani pulite in poi
La sua ascesa alla vita pubblica si realizzò all’ombra degli incarichi istituzionali di Ciampi.
Pupillo e successivamente protagonista insieme a quest’ultimo diventò componente del direttorio della B.I. e direttore generale del Comitato Monetario della Cee tra gli anni ’80 e inizio anni ’90 Il protagonismo di TPS iniziò con il governo Amato .
In quel periodo la lira era sopravalutata , tanto è vero che gli italiani che si recavano all’estero, trovavano convenienti prodotti, servizi ed alberghi. Ma il potere della lira era superiore all’economia reale e tenuto in vita da una politica dissennata della Banca D’Italia che con tassi di rendimento sui prestiti obbligazionari dello Stato elevatissimi fino al 15% faceva affluire ingenti capitali speculativi stranieri sulla moneta italiana.
Si arrivò al momento che il desiderio degli speculatori di mezzo mondo era uno solo: svalutare la lira.
La spinta più forte per il crollo della Lira arrivò dalla banca d’affari americana Goldmann Sachs che fece un rapporto ufficiale su tale necessità approfittando forse dell’incipiente -periodo dell’oro- di “mani pulite” per gli speculatori di tutto il mondo.
Prima della svalutazione della lira fatta dal governo Amato (’92), si tentò una difesa ad oltranza della moneta sostenuta dal governatore Ciampi della Banca d’Italia (B.I.), Ciampi accoglieva la linea convinta di Tommaso Padoan Schioppa, molto legata alla tecnocrazia europea per la salvaguardia del mercato monetario europeo ( Sme).
La difesa monetaria della B.I. fu una “Caporetto” e furono bruciati nello spazio di pochi giorni 50 mila miliardi di riserve valutarie ed esposti ingenti debiti dalle banche italiane nei confronti delle Banche Centrali di paesi europei, in particolare nei confronti della tedesca Bundsbank, , con il solo risultato di passare da una sopravalutazione della lira sull’economia reale ad una sottovalutazione derivata dalla svalutazione della moneta fatta dal governo Amato per un valore pari al 35% .
Più di un dubbio sulle difesa ad oltranza della lira fatta dai nostri tecnocrati rimase, non solo per gli effetti catastrofici prodotti ma anche per il contesto internazionale in cui si operava: erano in azione speculatori finanziari e banche d’affari americane prima fra tutte la Goldmann Sachs.
Quello che lascia perplessi è la permanenza ai governi italiani di un personale politico-tecnocrate di tal fatta fino ai giorni nostri, dove le sciagurate scelte finanziarie-politiche venivano fatte passare per semplici errori di valutazioni con l’unica conclusione paradossale di accrescerne il peso politico.
Ma il paradosso potrebbe nel tempo non reggere più ed imporre una riflessione: i complicati giochi dei movimenti complessivi della finanza internazionale posero la finanza italiana in stretta dipendenza ed in modo speculare alle banche d’affari americane e d’oltralpe.
Il profilo culturale di T.P.S. ricorda la parabola evangelica “dell’operaio laborioso nella vigna del Signore “ quando nel 1998 divenuto Presidente della Consob si interrogò, in parallelo alla Riforma Draghi delle società spa sull’azionariato diffuso, su come utilizzare 750 mila miliardi di liquidità degli italiani investiti in titoli di Stato, per dirottarli verso i mercati azionari o obbligazioni non pubbliche e creare così un mercato nazionale più allargato per la patrimonializzazione delle imprese italiane.
Era un dato di fatto che gli italiani in quel periodo erano il popolo più liquido del mondo avendo circa 3 milioni di miliardi di lire in risparmi di cui 2,1 milioni di miliardi investiti in titoli di stato. Gli “operai laboriosi” che intervennero furono più di uno. Prodi al governo con la riforma fiscale concesse privilegi con detassazione più bassa (con l’aiuto di Visco che in quel periodo teorizzava la detassazione) a chi affidava i propri risparmi ai gestori di fondi di investimento o patrimoniali. Di lì a poco, la caduta dei tassi di rendimento delle obbligazioni di stato (con Fazio governatore della B.I.) rese facile spostare i risparmi verso rendimenti più alti, in Azioni americane o di Hong Kong o Obbligazioni non di stato; parte di questi risparmi furono investiti in Bond argentini, Cirio e Parmalat con le conclusioni drammatiche della volatizzazione ed azzeramento di valore dei titoli e con le gravi ripercussioni sociali per centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori italiani. Investimenti comunque coadiuvati e dirottati in modo decisivo dagli ‘enfant prodige’ delle finanza italiana in rampante carriera tra Londra e New York che, in rappresentanza in Italia delle grandi banche d’affari americane, la Lehmann brothers la Morgan Stanley e la Goldman Sachs, offrivano tramite istituti bancari italiani, titoli italiani e stranieri, pianificazioni di fusioni tra banche e loro acquisizioni e di tutte le piccole e grandi operazioni del mercato finanziario.
Il concerto di TPS con la Riforma Draghi delle società per azioni si realizzò per prosciugare la liquidità dei piccoli risparmiatori e delle imprese e per l’apertura ad un modello societario di azionariato diffuso in una estensione di un mercato di azionisti-risparmiatori: due tipi di interventi che si autoalimentavano in una coincidenza di prospettive ed interessi reciproci.
La riforma Draghi sull’azionarato diffuso era finalizzata a rompere il monopolio creatosi con Mediobanca che rappresentava maggiormente il capitalismo familiare italiano ed aprire a nuovi soggetti economici aiutati da nuove rappresentanze politiche di colorazione prevalentemente diessina aperte al centro.
Il modello Draghi, nato comunque da mediazioni politiche in osservanza di più forti mandanti, ha dato l’impulso ad una prima messa in discussione del modello di capitalismo familiare che comunque resistette con una certa posizione di monopolio dal dopoguerra a mani pulite .
L’impulso dato al cambiamento ebbe resistenze e mediazioni con decisivi arroccamenti da parte della frazione capitalistica di tipo familiare nei confronti degli estensori del nuovo modello societario dell’azionariato diffuso che rappresentava la frazione di capitale alternativa.
Una ulteriore riflessione può scaturire in questo periodo , anche alla luce della discussione sul “sistema societario duale” nella cosiddetta governance
Le forze finanziarie-politiche si interrogano come mantenere il nucleo di potere creatosi all’interno delle fusioni delle banche, nella distinzione tra consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione e quale organo debba prevalere per il sacro principio di garantire e mantenere l’ equilibrio di potere creatosi, in particolare all’interno San-Intesa.
Il diritto giuridico sancisce e difende ma non garantisce le condizioni sociali di un reale dominio nato da un conflitto.
La centralizzazione dei capitali nelle fasi recessive o di stagnazione economica, si avvale di un potere diffuso con pervasività sociale al fine di creare le condizioni necessarie al drenaggio di liquidità e mettere in questo modo combustibile al conflitto tra imprese. La parola d’ordine diventa quella di bruciare tanto più denaro possibile necessario ed alimentare in questo modo le frazioni in lotta dei gruppi di potere al comando delle imprese.