Banche e Finanze ( quarta parte)
Un certo ricordo su Prodi mi sovviene quando lavorai per un breve periodo al Cespe (Centro Studi di Politica ed Economia) del Pci, all’inizio degli anni ’70. Conservo ancora l’immagine di Prodi con valigetta che arrivava al Centro Studi con annessa omonima rivista , quale ambasciatore di un personaggio di ben altra stoffa di formazione culturale ed economica, quale era Beniamino Andreatta professore e Ministro dell’economia dell’epoca. Il Cespe di allora era stato creato come organismo economico esterno al Pci, per interloquire con tutte le forze politiche finanziarie ed economiche per organizzare convegni economici e attraverso essi iniziare quel “Compromesso Storico”, costituito da una sua partecipazione al governo che comprendesse tutte quelle forze politiche disposte a collaborare.
Il convegno del ’70 indetto dall’Istituto Gramsci-Cespe sul “Capitalismo Italiano e L’Economia Internazionale” anticipava questa nuova fase politica, nella relazione introduttiva di Giorgio Amendola, sulla necessità di orientare l’economia nazionale verso l’internazionalizzazione e quindi verso la “libera” interazione con le varie economie, difendendo queste dalle crisi tramite un deciso intervento dello Stato (la spesa pubblica), secondo la principale impostazione, quella keynesiana, delle varie scuole economiche universitarie dopo la “Grande crisi del Capitalismo” (1929-33). Nella relazione si dava atto che durante gli anni ’60 si era realizzata una penetrazione consistente del capitale americano, in Europa ed in particolare in Italia, con numerose affiliate di società Usa che acquistando prodotti nella madre patria ne stimolavano esportazioni e finanziamenti; il riconoscimento del dollaro come moneta base mondiale garantiva gli Usa nella funzione prevalente di guida imperialistica mondiale nel confronto con l’area socialista acuendone l’instabilità internazionale. In particolare, i costi della guerra americana in Vietnam, scaricati con una forte inflazione sull’economia europea, accentuavano una instabilità economica internazionale da “Grande Crisi”.
La Relazione poneva la necessità della “Programmazione Democratica” con il controllo delle Imprese di Stato, e con l’estensione della loro base industriale, come barriera alla “Grande Crisi”, con il reperimento di nuovi capitali internazionali di investimento; esigenza finanziaria motivata dal boom economico degli anni ’60 che, con il reddito nazionale in crescita annua del 6% , alimentava nuove esigenze di capitali finanziari, difficile da reperire in un mercato azionario italiano asfittico incapace di garantire i finanziamenti per una nuova patrimonializzazione industriale.
Il “Compromesso Storico” si innestò in quella esigenza di governo e di gestione dell’economia, realizzabile soltanto con il contenimento sempre maggiore delle lotte sindacali. La conseguenza di questa nuova fase storica si delineò nel cambio generazionale in quel “passaggio del testimone” realizzata dal gruppo storico del Pci, che mise insieme un raccogliticcio personale politico costituito da figli e figliastri, una genìa di personaggi quali manager industriali e finanziari e professori universitari fioriti all’ombra dello Stato che, dopo mani pulite, formarono il giusto “humus politico” poi diventato diessino.
Prodi all’Iri come Presidente, durante tutti gli anni ‘80 e quindi prima di mani pulite, anticipava questo “humus politico” con l’importante ruolo di mediatore politico nello snodo di intreccio finanziario di interessi contrapposti ma uniti nelle apparenti conflittualità, nelle stesse complicità comuni che venivano ricomposti nell’impresa pubblica, allora rappresentata da grandi industrie, da banche di interesse nazionale, da aziende di telecomunicazioni e assicurative. Ripescato con lo stesso incarico dopo mani pulite, nel biennio ’93-’94 come riconoscimento per i buoni servigi resi, s’impegnò in una missione a più ampio raggio anche internazionale, sempre sullo sfondo di interessi americani. In tale azione sostenuto in prevalenza dalla parte politica diessina rimasta in piedi dopo mani pulite, coadiuvato da una fidata compagnia politica di ex fuoriusciti dei partiti non colpiti dalle procure.
Prodi, in cima alla grande piramide delle imprese di Stato riuscì a gestire fino a mani pulite una struttura industriale malconcia nella competizione, ma sostanzialmente intatta nel patrimonio e di
conseguenza pronta alla vendita; mancava l’occasione che si realizzò nell’incontro di Prodi con Draghi (al Tesoro), già consulente della banca d’affari americana Goldman-Sachs, nel famoso convegno economico indetto da Assolombarda nel ’92 sul piroscafo “Britannia”; lì egli siglò l’accordo per la vendita a prezzi stracciati di tutto il patrimonio industriale e bancario pubblico , in concomitanza alla svalutazione della lira effettuata dal governo Amato.
Più di un dubbio avrebbe dovuto sorgere nel popolo, non solo della sinistra, su queste vendite scellerate per l’economia nazionale, privata di così importanti industrie e banche di interesse nazionale, essenziali al funzionamento dell’economia di un paese. Vendite realizzate da due compari: uno Presidente di un vasto agglomerato di imprese pubbliche, che decide di vendere un patrimonio industriale nazionale, l’altro già Vicepresidente della più grande banca d’affari americana diventato Governatore della Banca d’Italia. Quello che viene da chiedersi come è potuto succedere tutto questo senza uno straccio di dibattito politico; sicuramente la spessa coltre ideologica mass-mediatica è da ricercarsi nel triangolo giornalistico del gruppo Rcs, con in testa “Corriere della Sera”, che ha soffocato in un silenzio tombale tutte le possibilità di ricerca e di indagine minimamente rigorosa e critica.
Misurare la caratura politica di Prodi significa affondare anche nel giudizio sull’uomo, nei suoi fervorini parrocchiali che diventano risorse quando vengono accompagnate da sussieghi e furbizie tipiche della medietà di un politico che vuole trasmettere in linguaggio criptico il mondo della politica. E’ altrettanto ovvio che la caratura di questo personale politico che ci governa è la mistura perfetta del risultato di alchimie politiche nate in “Salotti-Buoni” finanziari nazionali in dipendenza di quelli internazionali. I Mandanti “Pupari” della finanza americana agiscono per interposti agenti mandatari finanziari che a loro volta interagiscono in perfetta dipendenza nei confronti dei propri mandanti, attraverso la creazione di “Comitati d’Affari” nazionali, veri laboratori finanziari-politici con l’unico scopo di controllare che le misture di politica-economica nelle alchimie finanziarie restino entro valori di riferimento compatibili nei confronti della finanza internazionale.
Manca una indagine seria, nella ricostruzione storica delle vicende di questo paese, atta a delineare quel passaggio fondamentale che ha segnato in modo profondo ed ha marcato con “discontinuità storica” quel mutamento “dal prima al dopo mani pulite”. Conosciamo soltanto i Pupari nazionali di oggi : uno tra gli altri risponde al nome di Bazoli, alla testa del più grande gruppo italiano bancario formato da San-Intesa con referente politico nel maestro di casa Prodi. Quello che si può ricostruire in modo del tutto empirico è che la caduta del muro di Berlino ha segnato certamente la storia dell’Europa con più forte incidenza su quella italiana se non altro per la presenza del grande partito comunista che contribuì alla creazione in Occidente della più grande struttura delle Imprese Pubbliche che coniugasse l’idea del Capitalismo di Stato con il “ Socialismo Reale “ dell’ Unione Sovietica.
L’implosione dei paesi dell’Est è stata per certi aspetti anche l’implosione in Italia di quell’idea di socialismo che nella pratica ha portato al dissolvimento del Capitalismo di Stato. Manca all’indagine quell’elemento di passaggio strutturale finanziario ed economico che ha segnato tale discontinuità storica: il perché oltre atlantico si decise quel dissolvimento di un patrimonio industriale nazionale e perché alcuni gruppi finanziari nostrani in accordo a forze politiche in prevalenza della sinistra si assunsero quel compito di responsabilità storica nazionale nei confronti di un intero paese.
Nella ricostruzione del puzzle finanziario mancano ancora molte caselle vuote, si può tentare di ricomporre nel periodo successivo a mani pulite quello che rimane del lavoro di pulizia effettuato nelle dismissioni industriali. L’unica cosa certa è che furono prevalentemente le forze politiche della sinistra a partecipare con il ruolo di guastatori, operando la cancellazione di un sistema industriale. Manca il grande movente internazionale: quale posto l’Italia deve occupare nella periferia dell’impero e nella fattispecie in Europa. Bisogna aggiungere che i mandanti finanziari, con sempre sullo sfondo quelli americani, si trovavano in Europa anche con radici lontane fin dall’inizio degli anni ’70. Il Compromesso Storico segna per certi aspetti uno spartiacque, in modo del tutto grossolano, tra i due periodi già considerati del prima e del dopo mani pulite: nel primo, ha garantito la
pace sociale e l’apertura ai capitali finanziari internazionali, realizzando sia l’ingresso a pieno titolo del Pci nelle imprese pubbliche a livello di alto management con compartecipazione agli interessi finanziari assieme alle altre forze politiche, sia il consolidarsi di settori pubblici dell’industria di base (produzione dell’acciaio) in funzione complementare o integrata al Capitalismo familiare. Nel secondo, dopo mani pulite, tale “compromesso” (tra DC e PCI) segnò la fine di quel periodo di convivenza tra impresa pubblica e Capitalismo familiare, entrambi comunque con qualche settore industriale ancora in competizione. Nella svendita dell’impresa pubblica e nella contemporanea apertura alla finanza internazionale (soprattutto americana), il Capitalismo Familiare Italiano ha subito un grave arretramento nell’incidenza della sua competizione e nella dimensione economica-finanziaria. Si pensi alla fine dell’impero della chimica di Gardini nella metà anni Novanta, ed il recente ridimensionamento subito da Tronchetti Provera con la Telecom.
La cosa sorprendente è la coincidenza di periodo storico tra l’inizio del “Compromesso Storico del Pci con la sua entrata al governo e l’ingresso della finanza internazionale; certo è che l’implosione del socialismo reale e il dopo mani pulite hanno segnato il passaggio ad un controllo finanziario diretto, questa volta pilotato per il tramite di agenti mandatari con incarichi istituzionali italiani per conto della solita della banca d’affari Goldman-Sachs, potenziata nella sua azione da almeno altre due banche d’affari americane, con il supporto degli “enfant prodige” della finanza italiana, pargoli quest’ultimi di grandi Manager di Stato e non, inviati nelle grandi scuole finanziarie delle Banche d’affari Americane e là promossi come consulenti con delega di rappresentanza nei confronti delle banche italiane per svolgere tutte le operazioni necessarie alle fusioni delle banche, quotazioni in borsa.., tra questi quello più interessante per importanza di incarico nella qualità di amministratore delegato di Capitalia, è Matteo Arpe figlio di Fabio Arpe della “Caboto holding”.
Prodi è stato dentro a tutti questi passaggi storici fondamentali che hanno segnato profondamente il capitalismo italiano almeno negli ultimi vent’anni: prima, alla guida delle imprese pubbliche (che, nell’ideologia del veteromarxismo del Pci, sarebbero state un primo gradino di passaggio alla “socializzazione dei mezzi di produzione”); successivamente, in osservanza della stessa sinistra formatasi in famiglia con il gruppo storico del Pci, con un cambiamento su se stesso di circa 360°, ha contribuito alla svendita di interi pezzi di Capitalismo di Stato con la compartecipazione ed il plauso di chi inneggiava fino a ieri all’embrione del socialismo di Stato, aprendo al tempo stesso all’ingresso prepotente ed esaustivo del Capitale Finanziario, secondo la sperimentata ideologia del capitalismo manageriale americano; ripescato più volte per i buoni servigi resi è diventato nel tempo quasi insostituibile per l’intera sinistra e, soprattutto per essere diventato nel tempo nella sua consolidata esperienza trentennale, il fiduciario politico dei poteri attualmente più forti e genuinamente americani.