Barbarie o indipendenza nazionale?

list

Quando una ciurmaglia politica di tromboni, allenatasi tutta la vita a preannunciare temporali mondiali se solo non si fosse seguita la corrente dei tempi moderni da essa incarnata pedissequamente – della globalizzazione, dell’integrazione internazionale, della libera concorrenza – continua a sostenere, insostenibilmente, che abbandonando l’attuale direzione si finisce in una tempesta epocale ancor più tremenda, proprio mentre siamo nel bel mezzo di un diluvio universale, vuol dire che l’acqua ha invaso le sue cabine cerebrali.

I nostri politicanti pluviali, la cui intelligenza strategica è circumnavigabile con un canotto, sostengono che un’uscita dall’euro sarebbe la catastrofe mentre ancora non riescono a dimostrarci che invece l’entrata sia stata un’estasi. Probabilmente, l’attracco alla Lira non sarebbe sufficiente come scialuppa di salvataggio ma costituirebbe, ad ogni modo, un segnale della reversibilità di questo naufragio che ha origini geopolitiche prima ancora che economiche.  Insomma, un atto di piccolo cabotaggio monetario al quale dovrebbe seguire un vero e proprio sabotaggio politico degli attuali assetti europei.

Tale è infatti il senso da dare ad un eventuale rientro nel porto più sicuro della vecchia moneta, ovvero che il bastimento Italiano non accetta di affondare contro i suoi stessi interessi, che non si fa imporre dalle compagnie atlantiche rotte e mappe per attraversare il mare ingrossato di questa fase per colare a picco sui fondali della Storia. L’Italia non ha alcuna intenzione di farsi saccheggiare dai corsari della finanza e dai pirati industriali della nazioni concorrenti esclusivamente per tenere fede alle ideologie internazionali e ai dogmi professorali.

Proprio dalla Germania e dai suoi pensatori possiamo ancora imparare molto, anche se ultimamente il tiro al tedesco pare sia diventato lo sport più praticato in Italia, secondo soltanto al calcio alla nostra dignità nazionale. Ci dispiace che in questa trappola del crauto avvelenato siano caduti anche economisti non conformisti come Emiliano Brancaccio, pure lui convinto, erroneamente, che sia in corso una “egemonizzazione tedesca attraverso la quale si vorrebbe fare dell’Unione europea una sorta di ‘grande Germania’ “. Il citato progetto è, purtroppo, più velleitario che fattibile poiché sarebbe comunque da preferire all’attuale sottomissione di tutta l’area continentale europea agli Usa. Sarebbe ora di piantarla di paventare imminenti pericoli crucchi per nascondere alla vista i concreti rapporti di sudditanza, effettivamente realizzati ed operanti, favorevoli non a Berlino ma a Washington.  Fossi teutonico e valutate le forze in campo mi comporterei da panzer con i partners viciniori che non accettano la mia leadership preferendo quella di una Amministrazione d’oltreoceano estranea e prepotente, la quale fa unicamente i suoi interessi benché accompagnandoli con un linguaggio d’inclusione universale.  Per questo gli italiani, che non riescono mai ad essere loro stessi, se proprio devono vestire gli altrui panni, siano più tedeschi che americani, poichè in questa specifica congiuntura risulterebbe meno deleterio per noi.

La Germania non è un paese di M…erkel (le cui scelte sono spesso discutibili e sbagliate), poiché esiste ancora in essa una forte dialettica geopolitica che, anche grazie ai socialdemocratici, garantisce il confronto delle posizioni sulle alleanze internazionali, mai univoche o unidirezionali come, ad esempio, accade all’Italia, il vero paese di M. (che in questo caso non sta per Monti). Dicevo che dai tedeschi possiamo prendere ed apprendere molto, a cominciare dalle teorie economiche di uno di loro,  Friederich List (Reutlingen, 6 agosto 1789 – Kufstein, 30 novembre 1846). Quest’ultimo viene solitamente ricordato per il contributo teorico in tema di “industria nascente” e per avere invocato il protezionismo in difesa degli interessi nazionali contro l’ideologia del libero scambio, all’epoca propugnata da un’Inghilterra dominante per mare e per terra. Il merito principale di List (andarsi a leggere il libro di La Grassa, Finanza e Poteri, edito dal Manifesto) è quello di avere elaborato una teoria relativa ad una specifica fase dello sviluppo capitalistico. La sua concettualizzazione fu in grado di rappresentare efficacemente la contraddizione di quel particolare periodo, e cioè l’asimmetria nella distribuzione del potere tra i Paesi già nel pieno della loro rivoluzione industriale e quelli che invece l’avevano da meno tempo avviata. List individuerà nel processo di unificazione per mezzo del commercio internazionale un’opportunità ed un pericolo. Proprio come per la globalizzazione di oggi. Per l’economista tedesco è l’indipendenza dell’industria avanzata che garantisce ad un popolo la possibilità d’inserirsi da protagonista, respingendo le imposizioni esterne, nei meccanismi della produzione della ricchezza del commercio internazionale. Nella nostra epoca globalizzata la protezione delle prerogative nazionali è di vitale importanza nelle contrapposizioni tra stati e aree che si confrontano per l’egemonia mondiale. Traslando List nell’attualità della nostra situazione possiamo affermare che la prosperità di un paese dipende dalla sua capacità di garantirsi quell’autonomia, politica ed economica, che lo mette al livello delle altre potenze mondiali. Naturalmente, in questo contesto le alleanze tra entità statuali che condividono obiettivi simili e convergenti sono fondamentali, soprattutto in un periodo di accesa rivalità geopolitica (multipolarismo, policentrismo) sulla scacchiera mondiale. Sotto questo aspetto non si può dire che sia la Germania quella potenza predominante che schiaccia le varie potenze regionali e le diverse potenzialità europee.  Per dette ragioni l’insegnamento di List, mutatis mutandis, torna attualissimo, occorre infatti:  “Conservare, sviluppare e perfezionare la nazionalità: questo, perciò, è l’obbiettivo principale cui devono essere indirizzati gli sforzi di una nazione: una tendenza del genere non è errata, né egoistica, ma sensata…”. E a chi parla acriticamente di globalizzazione, quasi si trattasse di un processo oramai realizzato, perfetto ed equilibrato, laddove emergono vieppiù antinomie irrimediabili, sotto forma di crisi economiche E di attriti politico-militari, tuttavia coperti dalla soggezione e dalla menzogna di classi dirigenti deboli come la nostra, risponderemo con List che: “Un’unione universale originata dalla potenza politica e dalla ricchezza preponderante di una sola nazione, basata cioè sulla sottomissione e sulla dipendenza di tutte le altre, avrebbe per risultato l’annientamento di tutte le particolarità nazionali e di ogni emulazione fra i popoli. Una unificazione su queste basi sarebbe contraria agli interessi ed ai sentimenti di tutte quelle nazioni che si sentono chiamate all’indipendenza ed al raggiungimento di un alto grado di ricchezza e di importanza politica; non sarebbe che la ripetizione di quanto è già avvenuto nella storia con l’Impero romano; con la differenza che questa volta accadrebbe con l’aiuto del commercio e dell’industria, invece che delle armi; ciò non di meno, ricondurrebbe i popoli alla barbarie”.

Barbarie o indipendenza nazionale? E’ questa dunque la domanda del secolo.