Basta con Piketty. È sempre la solita solfa!

Karl-Marx

 

Ci vuole una dose di vanità non indifferente per dare ad un libro il titolo “Il Capitale” con sottotitolo “nel XXI secolo”. I più sapranno di chi stiamo parlando. Ovviamente, si tratta di una trovata editoriale perché, nonostante la fine dei sogni di gloria del proletariato, la testa leonina di Treviri continua a “tirare”. Le teste di… invece proseguono nel travisarlo, semplicemente evocandolo, o rifacendosi in qualche modo a lui, per meglio seppellirlo. Già a vederlo in faccia, questo Piketty, non promette nulla di buono però non possiamo certo limitarci ai giudizi fisiognomici. Infatti, andando un po’ più a fondo nelle tesi dell’economista francese le cose vanno anche peggio. Il Capitale di Piketty non ha nulla a che vedere con il Capitale di Marx, non ci offre nessuna teoria scientifica innovativa e non aggiunge praticamente niente allo studio di un capitalismo profondamento mutato dai tempi del Moro. Solo una inutile mole di dati a supporto di conclusioni ideologiche insite nelle premesse. La disuguaglianza cresce e fa male, questo è il riassunto del libro di Piketty. Un sempiterno economicismo “straccione” che tante volte abbiamo criticato su queste pagine. Ora si capisce perché un simile personaggio venga così pompato dai media. Sono idee che non disturbano poteri dominanti e intellettuali di sistema, i quali, grazie a questi finti antagonisti sembrano ancora più intelligenti di quello che sono. I ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e i critici critici sempre gli stessi inutili chiacchieroni. Che l’opera di Piketty e quella di Marx siano agli antipodi lo dice direttamente il primo che tratta il Capitale come cosa non come rapporto sociale. Marx sarebbe inorridito. «Io parlo di capitale, non solo di capitalismo. Il capitale – nel senso di fortuna, ricchezza, patrimonio più o meno consistente, pubblico o privato – precede il capitalismo. Ed eventualmente continuerà a esistere anche dopo di lui». Potremmo già fermarci qui e passare a qualcosa di più interessante. Invece, vogliamo dimostrare che anche questo preconcetto sulla disuguaglianza, che riempie la bocca di tanti finti contestatori del mondo, non coglie lo “spirito dell’epoca”, non è, insomma, un fatto veramente essenziale. Anziché perdere tempo con questa solfa, consiglio un libro più stimolante sulla questione, quello del filosofo statunitense Fankfurt. Non sono d’accordo al 100% con lui ma almeno sfata questo mito della diseguaglianza crescente dietro il quale si perde un certo tipo di intellettuale che strizza l’occhio al popolo. Dice, per esempio, Frankfurt:

“A me sembra, invece, che la sfida fondamentale per noi non sia costituita dal fatto che i redditi degli americani sono ampiamente disuguali, ma dal fatto che troppe persone sono povere… “di per sé la riduzione della disuguaglianza non può costituire la nostra ambizione primaria… “Il principale obiettivo dei nostri sforzi deve essere quello di rimediare ai difetti di una società in cui molti hanno troppo poco, mentre altri hanno le comodità e il potere che si accompagnano al possedere più del necessario… “L’uguaglianza economica non è di per sé moralmente importante e, allo stesso modo, la disuguaglianza economica non è in sé moralmente riprovevole. Da un punto di vista morale, non è importante che tutti abbiano lo stesso, ma che ciascuno abbia abbastanza.Se tutti avessero abbastanza denaro, non dovrebbe suscitare alcuna particolare preoccupazione o curiosità che certe persone abbiano più denaro di altri… “Mostrare che la povertà è intimamente indesiderabile non contribuisce in alcun modo a mostrare che lo è anche la disuguaglianza economica. Ciò che rende una persona povera nel senso moralmente rilevante del termine, in cui la povertà viene interpretata come condizione di grave privazione economica, non è il fatto di avere meno soldi di altri. Le situazioni che implicano qualche forma di disuguaglianza sono moralmente inquietanti, credo, solo nella misura in cui violano l’ideale della sufficienza.” (Sulla disuguaglianza, Harry G. Frankfurt).

Piketty è molto più banale di Frakfurt nei suoi ragionamenti. Cerchiamo almeno di non cadere sempre nelle trappole di questi intellettuali che sembrano benefattori dell’umanità ma solo a parole. Nei fatti ci nascondono più di altri le reali dinamiche sistemiche o le ammantano di un comodo moralismo scientificamente inconsistente.