BREVI NOTE SULLE POSIZIONI POLITICHE DEL NOSTRO BLOG E SU UN ARTICOLO DI PARAG KHANNA
di M. Tozzato
Quello che fa imbestialire alcuni pseudo-critici strenui difensori delle masse lavoratrici è la natura rivoluzionaria del pensiero di La Grassa. La Grassa ha sempre come primo obiettivo delle sue analisi la ricerca delle condizioni di una possibile trasformazione sociale. La difesa delle condizioni e del tenore di vita dei lavoratori deve essere (non può non essere) opera delle lotte dei lavoratori stessi. Dico questo prima di tutto a me stesso in qualità di dipendente pubblico di medio-basso livello. Ma questa sacrosanta nostra “resistenza” non ha quasi nulla a che fare con il processo di trasformazione sociale.
Si tratta, come diceva Lenin, di puro tradeunionismo; le condizioni per la trasformazione sociale nascono a partire dalle transizioni intracapitalistiche come quella, in Italia parzialmente incompiuta, dal capitalismo borghese e semiborghese a quello dei funzionari del capitale. La fase multipolare che sta avanzando costringerà alcuni paesi a completare la transizione a quest’ultimo tipo di formazione sociale capitalistica mentre in altre aree e in altri Stati-nazione si consolideranno sistemi con nuove caratteristiche, certamente enfatizzate dal progressivo avanzare di un ordine mondiale policentrico, ma altrettanto sicuramente prefiguranti nuove strutture economico-sociali. L’accentuarsi dei conflitti, globali e regionali, dello sviluppo ineguale tra paesi e aree diverse ed infine di un processo intenso e doloroso di distruzione creatrice – che rappresenta la “reazione” fisiologica delle strutture sociali ed economiche di fronte a crisi acute e prolungate come quella che ci sta investendo – creeranno le condizioni per la formazione di “crepe” e “smottamenti” nel tessuto sociale alimentando processi di dis-integrazione e di distruzione dei modelli consolidati di convivenza tra strati e gruppi sociali. In queste tempestose congiunture i rivoluzionari “dentro il capitale” e quelli “contro il capitale” potranno nuovamente affrontarsi e confrontarsi non solo in termini di “forza” ma anche riguardo alla loro “creatività” e alla validità dei loro progetti storico-sociali. Gli interessi del movimento complessivo che si svolge nella direzione della trasformazione sociale – anche intesa come una ripresa in maniera nuova dell’eredità dei comunismi e socialismi del passato – può benissimo trovarsi in contrasto con gli interessi contingenti e momentanei degli strati dominati e non decisori. Ciò non significa, però, che il disagio, e quindi i comportamenti e le lotte, dei gruppi sociali subordinati verrà condizionato da ipotetici sviluppi futuri: tutti si muoveranno in base alle motivazioni dettate dai propri interessi materiali del momento ma, come sempre, il “meccanismo” impersonale che determina l’eterogenesi dei fini costringerà, volta a volta, gli attori sociali a riorganizzare le proprie analisi e il proprio agire politico. Attraverso le modificazioni strutturali oggettive prodotte dalla cristallizzazione di nuovi rapporti sociali dovuti alla reiterazione di comportamenti “forzati” – a causa di interessi materiali, dinamiche strategiche di potere ed economico-strumentali di sviluppo – si andranno formando nella complessa transizione, culminante nel conflitto globale policentrico, le premesse di un’epoca e di un modo di vita nuovo.
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In una recensione al libro di Parag Khanna, I tre imperi – nuovi equilibri globali del XXI secolo, (Roma 2009) si traccia un breve profilo dell’autore:
<<un sorprendente giovanotto indiano inserito da Esquire nella lista dei 75 personaggi più influenti del mondo (nonché da Wired nell’elenco dei quindici globalizzati più emergenti) ha studiato in Germania, UAE e Stati Uniti finendo per diventare una specie di “ragazzo prodigio della saggistica geopolitica internazionale”, come scrive il New York Times . E’ stato frequentatore di Davos (sette volte prima dei trent’anni, come ha affermato sconsolato l’autore, che forse pensava all’omonima risposta di un trentenne cattolico reduce da una notte brava alla richiesta del suo confessore…), consulente del US Special Forces Command in Iraq, esperto di affari internazionali della squadra elettorale di Obama, direttore della Global Governance Initiaitive presso la New America Foundation.>>
Sul Sole 24 ore del 30.12.2010 è apparso un articolo di questo autentico “pezzo da novanta”. Nella specifica occasione l’autore dà sfoggio della sua erudizione e della sua conoscenza “sul campo” di molti paesi del mondo globalizzato proponendo una suggestiva serie di analogie storiche tra il panorama medioevale pre-rinascimentale e la situazione odierna. Così scrive infatti Khanna:
<<Di fatto, il mondo nel quale stiamo per entrare con il 2011 è un mondo che non soltanto ha molte più nazioni influenti e importanti che in passato, ma è oltretutto un mondo con molteplici centri di potere. In sintesi, si tratta di un mondo che potremmo definire neo-medievale. Il XXI secolo, in pratica, assomiglierà né più né meno al XII secolo. Occorre tornare indietro di mille anni, infatti, per trovare un'epoca nella quale il mondo era occidentale ed orientale allo stesso tempo. A quel tempo la dinastia cinese Song governava le più grandi città del pianeta, sapeva usare la polvere da sparo, utilizzava carta moneta stampata. Più o meno nello stesso periodo, l'impero indiano Chola dominava i mari fino all'Indonesia, e il califfato degli Abbasidi si estendeva dall'Africa alla Persia. Bisanzio barcollava e si cullava nella propria debolezza, dovuta alla sua estensione e forse malgrado essa. Soltanto in Europa questo scenario medioevale è considerato in modo negativo. Quello, di fatto, fu effettivamente un mondo multipolare. Entrambe le opposte estremità dell'Eurasia e le potenze nel mezzo comandavano ed esercitavano la loro autorità, proprio come ai nostri tempi fanno sempre più di frequente Cina, India e comunità arabo-islamica.[Passo evidenziato da me in grassetto. N.d.r.] Ma vi è un altro motivo ancora per il quale la metafora si presta bene al nostro caso: in epoca medioevale le Crociate e la Via della Seta instaurarono in Eurasia quel groviglio di collegamenti che formò il primo sistema commerciale globale – come avviene oggi per le rotte globali commerciali. Le società mercantili di Bruges e Venezia finanziarono grandi imprese transcontinentali, finalizzate alla scoperta di territori fonti di spezie e altre ricchezze. Marco Polo raggiunse la corte di Kublai Khan in Cina, ma vi arrivò soltanto dopo aver ammirato le vigne di Kashgar ed essere rimasto impressionato dall'abbondanza delle ricchezze di Xi'an. Il pellegrino arabo Ibm Battuta effettuò un viaggio parallelo ancora più lungo, spingendosi dal Marocco all'Estremo Oriente, e visitando lungo tutto il tragitto le fiorenti civiltà dell'India meridionale e di Sumatra.>>
Nel libro tradotto in italiano nel 2009 Khanna presentava l’ordine globale attuale a partire da tre “imperi” predominanti, ossia tre “superpotenze”, le quali gestirebbero congiuntamente la supremazia globale – in maniera competitiva ma non apertamente ostile tra loro. Tali tre superpotenze sarebbero USA, Cina e Unione Europea. Gli altri paesi emergenti assieme alla Russia e al Giappone apparterrebbero ad una sorta di “secondo mondo”, p
er recuperare una analogia riferita al periodo precedente al crollo del comunismo storico novecentesco. Nell’articolo di cui sopra, invece, il saggista nota che l’Europa sarebbe “afflitta da molteplici crisi di legittimità”, ammette che le prospettive, per la Ue, sono quelle di tirare “avanti alla meno peggio”, per poi riproporre una analogia “consolatoria” quanto fantasiosa con il Sacro Romano Impero del XII° secolo; gli Usa per Khanna, invece,
<<sono la nuova Bisanzio, alle prese con Occidente e Oriente insieme, pur trovandosi in uno stato di relativo declino. I bizantini resistettero per molti secoli al di là delle loro effettive possibilità grazie a un'astuta diplomazia e all'inganno, più che con la forza. Questo nuovo mondo comporterà sfide incommensurabili, in particolare per l'Occidente. Se tuttavia gli Stati Uniti sapranno adottare sapientemente la strategia di Bisanzio, avranno una buona possibilità di arrestare la loro caduta.>>
Per quanto riguarda, invece, la Cina e la Russia, è probabile che le sue posizioni non siano mutate: e se la prima gli appare veramente come il nuovo “impero” emergente, per la seconda ricordiamo che, nel libro sopra citato, il giudizio dell’eminente studioso era tale da mettere in dubbio la stessa sopravvivenza della sua sovranità autonoma e della sua unità statuale. Come risposta a questa valutazione, probabilmente” interessata”, può valere ancora quanto osservato da Daniele Scalea sul sito della rivista Eurasia:
<< Nel caso della Russia, Khanna ignora che: a) ha una posizione geografica del massimo valore strategico, come insegna la scienza geopolitica da Mackinder a Spykman a Brzezinski; b) è di gran lunga la maggiore potenza energetica del mondo; c) possiede ancora un forte strumento militare e, in particolare, ha un arsenale strategico pari a quello statunitense; d) dall’ascesa di Putin alla presidenza riesce a rispondere efficacemente ai tentativi d’erosione del suo “spazio vitale”, l’area postsovietica che i Russi chiamano “estero vicino”; e) con un’accorta condotta strategica, la Russia di Putin non solo riesce a difendere la sua influenza su buona parte dell’estero vicino, ma sta rinsaldando l’interdipendenza energetica russo-europea a dispetto degli ormai ventennali tentativi di Washington di creare rotte alternative per gl’idrocarburi centroasiatici.>>
In conclusione ci sembra di notare che il giovane “guru” della geopolitica, americano originario dell’India, abbia le idee un poco confuse e sia tormentato da numerosi dubbi. Forse nel suo prossimo saggio, atteso tra non molto, ci aiuterà a comprendere meglio la situazione. Altrimenti ci dovremo arrangiare, anche senza tutto l’apparato di supporto marcato Usa di cui egli – al contrario di noi poveri “cristi” – può usufruire.
P.S. C’è un passo dell’articolo di Khanna che penso debba essere approfondito a parte per la sua interessante problematicità:
<<Oggi la popolazione mondiale si rivolge sempre più alle aziende che forniscono servizi essenziali, che si tratti di sicurezza o di assistenza sanitaria. Perfino nell'India in espansione, buona parte del "welfare" pubblico è garantito da grosse famiglie di industriali quali Tata e Ambani, le cui aziende di famiglia amministrano anche intere città-fabbriche.
Queste famiglie si stanno trasformando negli emuli moderni della Famiglia Medici che dominò Firenze a partire dal XIV secolo. Il mondo islamico oggi pullula di quella medesima filantropia politica; in Egitto la Fratellanza musulmana, in Libano gli Hezbollah fungono da partiti politici, ma anche da forze sociali che forniscono servizi sanitari e istruzione.>>
Lasciando perdere la balla della “filantropia” sarebbe utile ricavare informazioni ulteriori su questa presunta nuova forma di welfare.
Mauro Tozzato 02.01.2011