BREZINSKI NEGA L’EVIDENZA MA GLI USA TEMONO LA RUSSIA PIU’ DELLA CINA
Le relazioni diplomatiche tra Russia ed Usa sono ad un livello bassissimo, forse il più basso da quando Mosca ha ripreso a conquistare posizioni di rilievo sullo scacchiere internazionale. Tuttavia, la situazione non precipiterà e non volgerà in scontro militare diretto. Almeno per un lungo arco temporale. Proseguiranno le schermaglie e le disfide geopolitiche, più o meno sottotraccia, a seconda delle fasi storiche e degli obiettivi di ciascun attore, ma il mondo non sprofonderà in una guerra generale. Né ora e, probabilmente, nemmeno tra cinque o dieci anni. Certamente, la deflagrazione non avverrà intorno alle intricate situazioni della crisi ucraina. Forse, più significativa è la gestione delle relazioni tra gli ex membri europei del Patto di Varsavia e gli Usa, dove la presenza di quest’ultimi diventa sempre più ingombrante. Senza stare a dare i numeri o a fare le sibille è facile intuire che la corsa multipolare è ormai avviata, stanno mutando gli equilibri che per vent’anni hanno retto i rapporti tra i paesi. Lo scostamento dei rapporti di forza risulta inevitabile per una serie di circostanze storiche e politiche che solo parzialmente potranno essere rallentate e non fermate. L’instabilità in numerosi palcoscenici regionali deriva da ciò e dal fatto che la nazione egemone (il centro regolatore intorno al quale si è retto il sistema predominante occidentale) non può più arrogarsi il ruolo di poliziotto mondiale ma deve tornare a trattare con le varie controparti in ogni angolo del pianeta, per ripensare la sua sfera egemonica immediata e ridefinire il suo ruolo nelle aree periferiche e semi-periferiche. Sotto questo profilo, è’ interessante quello che ha dichiarato Brezinski recentemente. L’analista statunitense ha detto che gli Stati Uniti aumenteranno la collaborazione con le entità statali (e le pressioni su queste), facendo intendere, per opposizione concettuale, che diminuiranno, invece, il sostegno ai gruppi non inquadrabili all’interno di fissate strutture statuali (rivelatisi meno controllabili), alla base dei molti errori commessi dagli Usa su diversi scenari in ebollizione (Iraq, Afghanistan, Africa del nord), dove hanno agito in maniera non sempre razionale e sostenendo incoerentemente soggetti settari di innumerevoli tipi, anche in contrasto tra loro. Insomma, anche per avviare processi d’infiltrazione e di destabilizzazione sarà meglio rivolgersi a drappelli istituzionalizzati ma disponibili ai tradimenti per ragioni di opportunismo corporativo.
La strategia del caos è un po’ sfuggita di mano agli yankees, benché non abbia comunque permesso a nessun concorrente di approfittarne. E’ ora di rivedere qualcosa, lasciar cadere la retorica sulla globalizzazione e contribuire al rafforzamento (o indebolimento) dei parter (e nemici) pubblici. Resta, in ogni caso, intatta la sfida che questi competitors hanno lanciato al sistema occidentale. Brezinski non vede tra questi la Russia e pensa più che altro alla Cina. Sta commettendo un errore di valutazione oppure prova volutamente a minimizzare il pericolo e a nascondere le carte. Dubito che lo stratega Usa sia vittima di una propaganda economicistica molto in voga negli ultimi anni, ergo propenderei per la seconda opzione. Se il problema non è la Russia, infatti, perché gli Usa si stanno muovendo, anche piuttosto incautamente, nell’Est Europa e con un eccesso di soft power nell’UE? Se l’area di maggior interesse fosse effettivamente il pacifico e l’Asia, dove cresce la Cina, perché non li vediamo più attivi su quel teatro? Perché la rivoluzione non è scoppiata nel Xinjiang o in Tibet anziché a Kiev? (Risentite l’ultima intervista a La Grassa su questo sito dove si parla chiaramente di manovre “asiatiche” degli Usa molto “diversive” e non intensive). Per noi sono domande abbastanza retoriche, per molti altri espertoni no.