BUROCRAZIA E CONFLITTO di M. Tozzato
Ho letto molto poco di Zygmunt Baumann, forse perché quando un teorico e saggista, in questo caso un sociologo, raggiunge certi livelli di popolarità – paragonabili solo a quella di autori di romanzi particolarmente in auge che sanno sfruttare i momenti in cui predominano determinate tendenze culturali – divento un poco diffidente e penso che, in questi studiosi, possa prevalere un discorso di tipo “politicamente corretto” e sostanzialmente divulgativo. Ad ogni modo sul Corriere del 25.09.2010 è apparso un articolo di Baumann che dovrebbe essere la sintesi di una conferenza da lui tenuta in Italia il giorno successivo. All’inizio dell’articolo il famoso sociologo cita Michel Crozier e il suo saggio del 1963 intitolato Il fenomeno burocratico; in particolare, la posizione di Crozier rispetto a quella di Weber evidenzierebbe una contrapposizione tra la tipizzazione ideale weberiana – per la quale la burocrazia moderna sarebbe una specie di “fabbrica del comportamento razionale” – e la realtà empirica del modello delle organizzazioni burocratiche francesi studiate dallo stesso Crozier. Baumann può così affermare che il sociologo francese ha
<<scoperto che in base al modello weberiano, da lui stesso dichiarato fedele ma riconosciuto astratto, la prassi della burocrazia nelle organizzazioni francesi generava molteplici “disfunzioni”. Crozier ha infatti osservato che, invece di concentrare tempo ed energie sullo svolgimento del compito dichiarato, il personale d’ufficio ne dedicava gran parte ad attività irrilevanti ai fini di quel compito, oppure a iniziative che ne ostacolavano lo svolgimento o lo rendevano addirittura impossibile. La principale disfunzione scoperta e ampiamente registrata da Crozier è stata la lotta tra gruppi diversi che si contendevano potere, influenze e privilegi.>>
Così Crozier ha scoperto che dentro le organizzazioni – siano queste finalizzate a scopi economici, politici, culturali o “sociali” (terzo settore ecc.) – non esiste un funzionamento “armonioso”, finalizzato poi allo scontro/competizione con le organizzazioni concorrenti, perché – come più volte ricordato da La Grassa nelle sue riflessioni sulla natura e struttura dell’impresa – si rileva anche un conflitto interno in cui ogni “parte” (dipartimento, settore, insieme di “elementi” funzionalmente omogenei) porta avanti e cerca di far prevalere i propri interessi, assumere la direzione strategica dell’organizzazione o comunque esercitare “pressione” su questa stessa direzione al fine di spostare gli equilibri della struttura. Secondo Baumann in questa maniera Crozier avrebbe definito
<<la strategia universale di ogni lotta di potere, il processo in cui si genera e istituzionalizza la disuguaglianza di potere […]. Questa strategia, come ho appreso allora, consiste nella manipolazione dell’insicurezza.>>
E se, come afferma il sociologo polacco, la causa principale dell’insicurezza è l’incertezza, allora chiunque sia destinato a subire quest’ultima si trova in realtà di fronte a un avversario le cui mosse non si possono prevedere e sfidano ogni aspettativa, paralizzando e disarmando
<<i gruppi che possono scegliere fra opzioni limitate o che non hanno opzioni, e pertanto sono costretti a seguire una routine monotona e prevedibile, non hanno chance nella loro lotta di potere contro avversari mobili, liberi di scegliere, ricchi di opzioni e quindi essenzialmente imprevedibili.>>
In termini lagrassiani si può dire che la supremazia nelle organizzazioni appartiene a coloro che applicano la razionalità strategica in quanto hanno occupato i ruoli che servono a coordinare la lotta verso “l’esterno”, verso le altre organizzazioni; in posizione subordinata agiscono “i gruppi che possono scegliere fra opzioni limitate”, ovverosia le direzioni tecniche, e coloro che occupano ruoli prevalentemente esecutivi e che, in quanto tali, “non hanno opzioni”, nella misura in cui non possono operare delle scelte autonomamente. A questo punto mi sarei aspettato che Baumann fosse passato dall’ambito che riguarda le organizzazioni (specialmente aziende e imprese) a quello concernente la sua interpretazione dell’ “insieme” (o sistema) sociale mentre, invece, la conclusione dell’articolo accenna brevemente al passaggio – sempre però nell’ambito dei sistemi “organizzativi” – dall’età moderna classica , “solida”, alla nuova modernità caratterizzata dalla liquidità. La vecchia scienza gestionale, con regole di comportamento permanenti e stabili, non serve più
<<in un mondo liquido come il nostro, ogni sapere e know-how non può che invecchiare rapidamente e altrettanto rapidamente consumare i vantaggi che offriva un tempo. I manager preferiscono “analizzare la rete di possibilità”[…]. Non vedono l’ora di giocare al gioco dell’incertezza; preferiscono il caos all’ordine.>>
In un prossimo intervento spero di poter dire qualcosa sulla nozione di “società liquida” nel senso in cui la intende Baumann; da quel poco che so ad ogni modo si tratta di un discorso teorico che concerne prevalentemente la “condizione umana”, ovverosia le problematiche dell’individuo nella società contemporanea partendo dal suo “disagio” e dalle difficoltà di adattamento in una nuova dimensione spaziale, temporale e “comunitaria”, in cui l’incertezza e la rapidità dei cambiamenti ci costringono ad un nuovo tipo di lotta per la sopravvivenza. Nessuna seria analisi strutturale dunque, nessuna specifica comprensione dei gruppi sociali e del loro ruolo, nessuna capacità di comprensione dei conflitti fondamentali che muovono la formazione sociale globale contemporanea, sembrano essere presenti nelle analisi di Baumann; tutt’ al più un richiamo all’”utilità” dei legami comunitari – identitari da coniugare, seppure con difficoltà, con il rispetto dei diritti e delle “libertà” dell’”Altro”.
Mauro Tozzato 27.09.2010