Caos internazionale e intellettuale
Gianfranco la Grassa ha pienamente ragione a definire i giornalisti che commentano la politica internazionale dei perfetti imbecilli o dei mascalzoni. Ne sentiamo di ogni a giustificazione di eventi che segnalano profonde trasformazioni geopolitiche ma che costoro interpretano come fatti brutali, se commessi dai nemici dell’Occidente, oppure, come atti necessari se attuati dalla Casa Bianca e dagli amici subordinati a questa. Tutto viene ridotto a squallido moralismo per giunta ipocrita. Purtroppo, anche esperti che si occupano di materia estera, in simili frangenti, profferiscono assurde banalità che non fanno onore alla loro caratura e carriera. La dichiarazione facile per apparire sulla stampa può essere utile alla visibilità ma getta oscurità su matasse di per loro molte intricate a causa dell’incipiente multipolarismo. A domanda dell’intervistatore, sull’uccisione Soulemani, così risponde Lucio Caracciolo su Il Giornale: Quale strategia c’ è dietro la mossa di Trump?
«Purtroppo partiamo da un dato che può sembrare sconcertante: il presidente americano non ha alcuna strategia. Ci sono piuttosto delle ragioni emotive che lo hanno spinto a dare l’ ordine di uccidere Soleimani. Sta cavalcando l’ odio profondo radicato nell’ establishment militare contro l’ Iran, condivisa dalla maggioranza dell’ opinione pubblica».
Chiose come queste sono inaccettabili, soprattutto per chi dirige una rivista nella quale è stato spiegato tante volte che i poteri dei presidenti negli USA sono più apparenti che reali. Mi immagino che Caracciolo legga ciò che viene pubblicato sulla sua rivista e, in ogni caso, a me pare umorale la sua affermazione che la decisione statunitense di far fuori un nemico sia stata dettata dai capricci di un capo di Stato. Probabilmente, come crede La Grassa, l’opzione è stata adottata da certi apparati a stelle strisce all’improvviso ma con una sicura ponderazione dei risvolti, altro che paturnie di Trump! Piuttosto, la pur minima reazione iraniana, con il lancio di missili sulle basi degli yankee, che sarebbe comunque stata impensabile nel breve periodo di monocentrismo americano seguito all’implosione dell’Urss, indica ora che gli egemoni possono permettersi azioni unilaterali ugualmente ridotte avverso le quali i nemici non restano comunque inermi. Simbolismi diversi ma pur sempre contrari. L’Iran è una importante potenza dell’area mediorientale che accelera le sue sintonie con Russia e Cina. In primo luogo, difficilmente Soulemani sarebbe stato colpito su territorio iraniano (non è questa una valutazione che già esclude l’atto emotivo?), in secondo, gli Usa prima di operare devono elaborare formule di intervento che evitino di coinvolgere direttamente le superpotenze non incluse nel suo “consensus”, almeno se ciò non è strettamente necessario. Questo perché il loro superdominio è ancora dominio ma, in prospettiva, non eternamente insuperabile. Inoltre, mai dare ai competitori troppe motivazioni per fare squadra. Sono principi strategici basilari. Attualmente gli USA sono i più forti ma non al punto di potersi mettere contro chiunque. Dunque, perché compattare i nemici in una situazione di difficoltà storica?
Ps.
Il valore dei nostri giornalisti, che sono o finti moralisti o sciocchi forcaioli, è riassunto nell’estratto che pubblico subito sotto di Marco Travaglio su Craxi. Premetto che quest’ultimo non mi piaceva, tuttavia il defunto segretario socialista era un vero uomo di stato mentre le figurine politiche odierne sponsorizzate da il Fatto sono una banda di cretini e servi. E certi pennivendoli sono più cretini dei cretini e più servi dei servi.
“Nel 1985 Craxi si sarebbe opposto intrepido alla tracotanza di Reagan. In realtà sottrasse al blitz Usa i terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi segreti recapitandolo prima nella Jugoslavia di Tito e poi in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein. Fu l’ acme di una politica filoaraba e levantina che portò all’ appoggio acritico all’ Olp di Arafat (ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi addirittura a Mazzini in pieno Parlamento.
Quanto all’ europeismo craxiano, basta ricordare l’ appoggio dato a regimi sanguinari e corrotti come quelli del tagliagole somalo Siad Barre in cambio di leggendarie ruberie sulla “cooperazione”. E il capolavoro della guerra delle Falkland, nel 1982, quando Bettino si schierò col regime dei generali argentini (quelli che avevano fatto sparire migliaia di oppositori) contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto l’ Occidente. Ecco quel che resta, al netto delle mazzette, di Craxi. Lasciatelo riposare in pace, ché è meglio”.