Capitalismo delle piattaforme, capitalismo della sorveglianza. Altre stupidaggini ne abbiamo?

Karl-Marx

 

“il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale fra persone mediato da cose. ”

“Un negro è un negro. Soltanto in determinate condizioni egli diventa uno schiavo. Una macchina filatrice di Cotone è una macchina per filare il cotone. Soltanto in determinate condizioni essa diventa capitale. Sottratta a queste condizioni essa non è capitale, allo stesso modo che l’oro in sè e per sè non è denaro e lo zucchero non è il prezzo dello zucchero.., Il capitale è un rapporto sociale di produzione. È un rapporto Storico di produzione» ”

Per Marx, come si evince dalle sue stesse affermazioni, il Capitale non è una cosa ma un rapporto sociale, affermatosi storicamente. Ciò significa, in primo luogo, che questo rapporto sociale oggettivo si erge in tutta la sua potenza di fronte all’individuo il quale è attore agito da questa “automaticità”, conseguenza di processi storico-sociali. Per questo Marx aggiunge che non dipingeva: “affatto in luce rosea le figure del capitalista e dei proprietario fondiario. Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classi…Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi.”

Si sia o meno marxisti è indubitabile che la dinamica di una società così evoluta, ma anche meno sviluppata, non può dipendere dal volere dei singoli, quest’ultimi si trovano invece incastonati in caselle definite dal vivere collettivo che limitano e indirizzano le loro possibilità di azione. Anche se i soggetti sono certi di agire nella massima indipendenza (o libero arbitrio, come direbbero quegli ingenui dei liberali) il carattere storico del mondo da loro abitato ha già plasmato le loro menti, per cui quel che viene da loro percepito come movimento autonomo o persino forma di un habitat naturale contiene in sé quei condizionamenti sociali dai quali è quasi impossibile sfuggire. On n’échappe pas de la machine, direbbe Deleuze, ed anche se la macchina muta nelle epoche i singoli resteranno nuovamente invischiati nelle sue trasformazioni.

Questa prospettiva marxiana, è un vero antidoto contro quelle interpretazioni sciocche, ancora oggi tanto in voga, che attribuiscono a pochi illuminati la capacità di consorziarsi per soggiogare l’umanità con piani predeterminati a tavolino. Abbiamo visto che anche un critico di Marx come Popper riconosceva a costui il merito di aver compreso questo aspetto fondamentale della teoria sociale:

“Bisogna riconoscere che la struttura del nostro ambiente sociale è, in un certo senso, fatta dall’uomo; che le sue istituzioni e tradizioni non sono il lavoro né di Dio né della natura, ma i risultati di azioni e decisioni umane, ed alterabili da azioni e decisioni umane. Ma ciò non significa che esse siano tutte coscientemente progettate e spiegabili in termini di bisogni, speranze e moventi. Al contrario, anche quelle che sorgono come risultato di azioni umane coscienti e intenzionali sono, di regola, i sottoprodotti indiretti, inintenzionali e spesso non voluti di tali azioni. «Soltanto un piccolo numero di istituzioni sociali sono coscientemente progettate, mentre la stragrande maggioranza di esse è semplicemente “cresciuta”, come risultato imprevisto di azioni umane», come ho precedentemente affermato; e possiamo aggiungere che anche la maggior parte delle poche istituzioni che sono state progettate coscientemente ed hanno avuto successo (per esempio un’Università di nuova fondazione o un sindacato) non risultano pienamente conformi al progetto: anche in questo caso a causa delle inintenzionali ripercussioni sociali risultanti dalla loro creazione intenzionale” e di aver così allontanato dalle teste dei più intelligenti quelle teoresi cospirative consistenti “nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno (talvolta si tratta di un interesse nascosto che dev’essere prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo”.

Purtroppo, sedicenti marxisti, immemori degli sforzi marxiani, tutti volti a comprendere il rapporto sociale capitalistico dei suoi tempi, così rigorosi e scientifici, subiscono l’influenza delle “robinsonate tecnologiche” attuali. Non siamo ancora riusciti a penetrare la presente società dei funzionari (privati) del capitale di matrice americana con le sue specificità, seguendo l’esempio del pensatore tedesco che studiò a fondo quella inglese, e questi superficiali blaterano di capitalismo delle piattaforme o, peggio mi sento, di capitalismo della sorveglianza, che, “ovviamente” sono questioni centrali in questa fase. Chissà come mai queste grandi scoperte del secolo sono annunciate immancabilmente da una fumosità verbale che puzza di muffa pre-marxista:

“Se l’economia della condivisione veniva annunciata come un possibile approdo postcapitalista nella produzione della ricchezza post-capitalista, attraverso la diffusione virale di esperienze autogestite, mutualistiche, il platform capitalism segnala che tale possibilità è una variante di una tecnoutopia da archiviare rapidamente, un sogno cioè di inveterati libertari colpiti da una sindrome di Peter pan che impedisce a loro di crescere…la riconfigurazione del rapporto tra uomo e macchina, che non va visto come una relazione duale, bensì come l’emergere di una realtà postumana, dove l’animale umano non è più distinto dalla macchina”. Benedetto Vecchi.

Costui non distingue tra animali e macchine, esattamente come prima di Marx non si distingueva tra lavoro ed erogazione di forza-lavoro o meglio tra vendita del corpo e vendita dell’energia dei muscoli. Quante inutili incomprensioni ne sono derivate? C’è gente che ancora si arrovella sull’alienazione per sostenere che il capitalismo sia un vampiro di natura umana. Quale natura umana? La società , in cui l’uomo vive, sgorga dalla terra come una pianta o cresce come un frutto dagli alberi? E non è il capitalismo un prodotto umano oppure viene dallo spazio? Il post-umano è un umano con qualcosa di posticcio nel cranio, non so spiegarmi diversamente la cosa.

E che dire di quest’altra ubbia chiamata capitalismo della sorveglianza? Mi salta immediatamente la mosca al naso quando leggo: «Il capitalismo della sorveglianza è intimamente parassitico e autoreferenziale. Rimanda alla vecchia immagine di Karl Marx del capitalismo come un vampiro che si ciba di lavoro. C’è però una svolta inattesa. Il capitalismo della sorveglianza non si ciba di lavoro, ma di ogni aspetto della vita umana.»

Abbiamo chiarito poco sopra l’importante distinzione che fa Marx tra lavoro e forza-lavoro e questi parolai lo tirano di nuovo in mezzo per i loro deliri sconclusionati. Il capitalismo, o quello che è diventato, non si ciba di vita, non è parassitico e nemmeno autoreferenziale, almeno non tanto quanto quelli che scrivono simili stupidaggini. Basterebbe semplicemente, con un po’ di pragmatismo, guardare al grado di sviluppo a cui siamo giunti per rintuzzare tali vaneggiamenti distanti dalla realtà e dal buon senso.
Vedo persone che si cibano del proprio cervello e danno la colpa al capitalismo.