Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’ Di O. M. Schena
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Un mio caro amico, di nome Franco P., a proposito del ministro Salvini che, con uno straordinario, sbalorditivo, eroico gesto, nonché con rarissimo sprezzo del pericolo, ha raccontato da mane a sera, a destra e a manca come sia incredibilmente riuscito a salvare gli italiani da un’invasione in atto?) (di alieni?) si è chiesto e mi ha chiesto:
“Ma come è stato possibile arrivare a tutto questo? Forse lo meritiamo?”
Ed è giunta infine la sentenza d’assoluzione per il ministro Salvini, e così il salvatore dei nostri confini potrà rilucere ora in tutto il suo splendore, rigonfio di carisma e debitamente portato a spalla nonchéaccompagnato dalla celebrativa fanfara. E nessuno potrà mettere mai più nel chiappolo il suo nobile e intrepido salvataggio da narrare ai posteri, con l’accompagnamento di fanfare s’intende!
Non saprei che cosa rispondere al mio amico Franco. Proverei allora ad aprire una parentesi. Davanti alle vicende del 1989/91 in molti (tra i quali il sottoscritto) decisero di contribuire con il proprio impegno e la propria militanza alla scommessa lanciata da Rifondazione Comunista. Forse non tutti erano coscienti, anzi forse in pochissimi erano consapevoli di quanto potesse essere controcorrente l’impresa titanica d’una rifondazione comunista, perché “rifondare” l’ “irrifondabile” è proprio impossibile.
Parentesi:
La “Critica al programma di Gotha” è in buona parte venuta giù per “colpa” di F. Lassalle. Nella “Critica” Marx delinea due fasi per il passaggio al comunismo ma, nonostante i buoni propositi intorno alle osterie dell’avvenire, il Moro stavolta avrà voluto giocare d’azzardo e spargere, in giro per il mondo, alcune massicce dosi di metafisica consolatoria. Tanto che si può forse trovare più capacità veritativa nel Manzoni della straordinaria“Storia della Colonna Infame” e nella sua visione della “natura umana”, che non nel Marx di “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” Senza togliere nulla, però, alla grandezza di Marx , che è di un altro pianeta.
Sia come sia, il tempo passa e si giunge al 2.11.2003, allorché Bertinotti così risponde ad una domanda del giornalista Carlo Bonini:
“Le racconto un episodio che credo significativo non solo del mio percorso, ma di quello del mio partito e del suo approdo. Conosce “la Battaglia di Algeri” di Pontecorvo? Bene, ho visto quel film almeno dieci volte. Ne conosco a memoria le sequenze. Ora, per una vita mi sono riconosciuto, di più, mi sono immedesimato nella bellissima algerina che si fa saltare in un bar affollato di vita di civili nella parte francese di Algeri, durante l’operazione di insurrezione – anzi no, chiamiamo le cose con il loro nome – durante l’operazione terroristica contro le truppe francesi (insomma, Bertinotti forse non ha il coraggio di dirlo, ma chissà, avrà avuto appena appena il coraggio di pensarlo: … anche la storia della liberazione dell’Italia dal nazifascismo sarebbestata, in fondo, in fondo e magari anche in superfice, un insieme di operazioni terroristiche?)
“Istintivamente, politicamente ero con lei. Sarei voluto essere lei, se soltanto ne avessi avuto il coraggio. Ero, lo dico senza timori, corresponsabile politico di quel massacro. Oggi, mi capita di rivedere quella sequenza e quella complicità si è dissolta”.
Chissà perché F. Bertinotti si è immedesimato solo nella bellissima algerina e non anche nelle altre due donne, forse perché meno belle, ma portatrici del medesimo carico di morte. Chissà mai perché, pur dopo almeno dieci visioni del film “la Battaglia di Algeri”, Bertinotti ha memorizzato una sequenza che in quel film proprio non c’è, neppure a volerla cercare col lanternino: infatti la bellissima algerina (come le altre due donne) lascia(no) la borsa/bomba in un bar, ma non “si fanno saltare”. Ad essersi dissolto è forse molto di più che un’antica complicità.
Freud, probabilmente, avrebbe incastonato Bertinotti con la sua amnesia nella Psicopatologia della vita quotidiana magari accanto alla figura del giovane viaggiatore austriaco, ebreo, incontrato in treno. Ma qui, a digiuno di tecnica psicoanalitica e di qualsivoglia regola euristica, non si vogliono stabilire, con le buone o con le cattive, arditi rapporti causali tra “omissioni” e “sostituzioni” di immagini. Molto semplicemente il senso dell’immagine mancante e sostituita potrebbe dipendere dal quotidiano impilarsi delle immagini degli attentati suicidi, l’una sull’altra appunto. E’ la furia devastatrice del tempo presente o forse di ogni tempo. Si vuole qui segnalare soltanto che la trasfigurazione del passato (come o più della sua cancellazione) può essere usata per addomesticare il tempo presente. E’ un rischio, non piccolo, da cui nessuno può dirsi immune.
Ed ora, con un pizzico di non chalance, vediamo come si possa traslocare in un baleno, con un autentico furore catechistico, dal coraggio all’amnesia e dall’amnesia all’eutanasia del comunismo e ritorniamo, per il tempo strettamente necessario, alle dichiarazioni di Bertinotti:
Ed ecco, dunque, Bertinotti al convegno di Venezia il 13.12.2003: a)“… Noi non possiamo pensare di battere questa violenza monopolizzata con la guerra. La violenza, in ogni sua variante, quale che sia il giudizio morale, risulta inefficace perché viene riassorbita dalla guerra o viene riassorbita dal terrorismo mettendo fuori gioco la politica,”
E a proposito della resistenza Bertinotti aggiunge):“… sulla resistenza abbiamo preferito fare un’operazione di “angelizzazione” della nostra parte. Non sto dicendo che in quel momento, in quei momenti così terribili, non si doveva premere il grilletto. Sto dicendo un’altra cosa. Sto dicendo che non dobbiamo mettere sullo stesso piano quello che è e che si sente come dovere di fronte alla storia e il tuo essere umano, la tua umanità, politica culturale. Che una distanza critica va presa, con coraggio. Che la tua umanità va salvaguardata. Quasi per anticipare, in quell’atto di resistenza, una liberazione che nel momento di premere il grilletto è impossibile, ma domani può avverarsi.”
Bertinotti è così intento a salvaguardare la sua umanità, così attento a non premere il grilletto, da sembrare la reincarnazione di Danilo Dolci, che pure le regole le infrangeva, e dimentico pure del buon senso di De Andrè: “e imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia”, così il Fausto prosegue impavido, ma sconsiderato”… Ma perché la periferia diventi il centro bisogna che la radicalità sia iscritta in una pratica di non violenza. Il massimo di radicalità oggi si può esprimere solo con la non violenza, altrimenti retrocede immediatamente a braccio armato e si inserisce nella dialettica guerra-terrorismo. Diventa la fine della politica.”
Insomma, con un maestro di “vita politica”- modello Bertinotti- come cavolo volevate che andasse a finire R.C.?
Sarebbe, dunque, nelle parole di Bertinotti la risposta alla domanda postami dall’amico Franco?
Non è ancora finita, servono, infatti, alcune precisazioni utili ad una memoria zoppa (dico della mia naturalmente):
Senza il lancio delle bombe, su Hiroshima e Nagasaki, l’America avrebbe visto le armate sovietiche impegnare in battaglia la maggior parte dell’esercito giapponese, invadere la Manciuria e fare mezzo milione di prigionieri. E tutto questo sarebbe accaduto mentre l’esercito americano si trovava lontano dal territorio nipponico, a Iwojima e Okinawa. Ecco perché in tutta fretta le due bombe atomiche – le uniche esistenti – furono trasportate attraverso il Pacifico per essere sganciate su Hiroshima e Nagasaki, appena in tempo per ottenere che il governo giapponese si arrendesse unicamente alle forze americane”.
Nulla di nuovo, in verità. Già il 7 dicembre 1941 a Pearl Harbor era scattata una trappola perfetta, sotto la regia di Roosevelt, alla quale abboccarono i giapponesi regalando le necessarie vittime sacrificali americane. E il 7 maggio 1915 i 1201 passeggeri, tra i quali numerosi americani, del transatlantico Lusitania furono mandati a fondo dai sommergibili germanici. Il Lusitania era un incrociatore ausiliario armato che trasportava materiale bellico, “travestito” da transatlantico perché …. serviva in fondo al mare.
Potremmo dire, dunque, che esiste qualche dubbio sulla legittimità di Hiroshima come modo terribile di opporsi ad Auschwitz? Si badi che la parola legittimazione è parola pesante e impegnativa. Bertinotti, infatti, la nega al terrorismo (come al solito Bertinotti mette sempre troppe erbe nello stesso fascio, nella dimensione dello spazio e del tempo e, come si sa, in una notte senza luna tutte le vacche sono nere) quel terrorismo che tenta di opporsi alla guerra infinita perché … ma perché lo dice Bertinotti: “ …il terrorismo è espressione di una strategia che si contrappone, in questo caso, alla guerra o a chi occupa un paese in nome della guerra, attraverso le manifestazioni di ciò che viene definito terrore. Organizza il conflitto e la distruzione su obiettivi sociali e civili del paese. Questo è il terrorismo …”.
Bertinotti tiene la sua “lectio magistralis” sul terrorismo e non ha dubbi, non ha incertezze. Ma noi impavidi, vorremmo domandargli: che cosa sarà mai andato distrutto a Hiroshima, a Bagdad, a Belgrado, forse obiettivi asociali ed incivili? Non sarà per caso, s‘intende, che il requisito della legittimazione sia indissolubilmente legato alla natura del soggetto che infligge l’apocalisse, che sia legato insomma alla dignità istituzionale del massacratore di turno?
Si potrebbe forse spiegare in questo modo perché, tra gulag, foibe e Kronstad nelle parole di Bertinottinon trovi posto, neppure su di uno strapuntino, la resistenza del popolo iracheno interamente sussunta, vale a dire subordinata, inglobata, riassorbita e messa a tacere, soffocata nella spirale guerra/terrorismo.
“...nell’Irak di S. Hussein nessuno potrà mai dire che c’era una Auschwitz in corso. Ed allora la si è inventata (inventando anche i neonati del Kuwait bruciati nelle loro culle dai baffuti nazisti iracheni), perché l’invenzione di inesistenti Auschwitz (al di là invece della Auschwitz vera, che è veramente esistita) permette simbolicamente di attivare il modello Hiroshima.
Ed ora basti dire che la connotazione come “importanti” rispetto a questi due eventi (la Guerra del golfo del 1991 e la guerra della NATO contro la Jugoslavia del 1999) non solo non è adeguata, ma è addirittura fuorviante. Chi li qualifica, anche in perfetta buona fede, come “importanti”, di fatto nasconde che questi due eventi siano decisivi per orientarsi nel mondo in cui viviamo. Ma andiamo! Non si vorrà mica sostenere che il Golfo ed il Kosovo siano decisivi come Auschwitz ed Hiroshima? Non si vorrà mica sovvertire una gerarchia d’importanza conosciuta intuitivamente anche dai bambini dell’ asilo?
Una simile domanda merita una risposta. Certo, da un punto di vista quantitativo, ed anche simbolico, Auschwitz ed Hiroshima, il campo di sterminio e la bomba atomica restano più significativi. Non si intende negarlo. Ma Auschwitz ed Hiroshima, o più esattamente la triade infetta costituita dal loro trattamento differenziato, dal pentimento amministrato ed infine dalla doppia destoricizzazione, restano a tutti gli effetti la premessa diretta del Bombardamento Etico-Imperiale sull’Irak e sulla Jugoslavia … come sui bombardamenti a venire (donati ai popoli del pianeta dalla Democrazia Occidentale). Ci sembraquesto, in estrema sintesi, il cuore del problema”.
Ad essersi dissolta in Bertinotti potrebbe essere, allora, forse molto di più che un’antica complicità, forse, chissà, ad essersi dissolto sarebbe il tentativo della rifondazione del comunismo!
Ed ora saltiamo (all’indietro) nell’anno 1951, avvertendo che, quel che segue, non è affatto un racconto parodico di quegli anni. Non si tratterebbe, infatti, di una critica né tanto meno di una messa in ridicolo di quel tempo, bensì sarebbe, semmai, il frutto marcio d’una memoria strabica e incompleta (che sarebbe la mia!).
(Tratto da “Storia del movimento antimafia di Umberto Santino – Editori Riuniti 2000 p.209):
L’istituzione della commissione d’inchiesta veniva riproposta nel maggio 1951 da una mozione di alcuni senatori tra cui Scoccimarro, Pertini, Li Causi, Morandi e Lussu. Su proposta di De Gasperila discussione della mozione veniva rinviata per l’inopportunità di discuterla mentre era in atto il processo di Viterbo per la strage di Portella della Ginestra. Nell’ottobre dello stesso anno tornavano alla carica i parlamentari Basso e Gullo. Bassososteneva che tutti i principali esponenti della banda Giuliano erano in rapporti stretti con personaggi altolocati e che occorreva una commissione d’inchiesta per accertare i rapporti tra polizia e banditi di cui il processo di Viterbo non si occupava. Gullo affermava che solo una commissione d’inchiesta avrebbe potuto far luce su vicende gravissime come quelle riguardanti l’attività e la fine del bandito Giuliano. Solita replica di Scelba cherespingeva la tesi che voleva far credere che i mandanti di Portella si dovessero cercare tra gli uomini della Dc o addirittura tra uomini investiti di responsabilità di governo (il riferimento era a Bernardo Mattarella). Basso e altri presentano una proposta in tre articoli di istituzione di una commissione di inchiesta.
Nel corso della seconda legislatura, nel marzo del ’54 i deputati Gullo, Giancarlo Paietta, Amendola, Ingrao e altri presentano una proposta di “inchiesta parlamentare sulle responsabilità del Governo e della pubblica amministrazione, in relazione ai recenti clamorosi fatti, che hanno vivamente commosso la pubblica opinione”: il riferimento era a “interferenze del potere esecutivo sulle indagini della polizia giudiziaria e sui procedimenti istruttori”, alle cause e responsabilità per connivenze e collusioni di organi dello Stato nel traffico degli stupefacenti”.
(Tratto da “Storia del movimento antimafia di Umberto Santino – Editori Riuniti 2000 p.246):
Il 6 gennaio 1980, intanto, viene ucciso il presidente della Regione Piersanti Mattarella, figlio di Bernardo da varie fonti indicato come colluso con la mafia. Ma il figlio … il figlio da qualche tempo è avviato su altre strade che lo portano a scontrarsi con gli interessi mafiosi. Egli vorrebbe interrompere il circuito degli appalti, controllato dai gruppi mafiosi, e aprire il quadro politico al Pci sulle orme di Moro.
Tale orientamento viene ritenuto troppo pericoloso dalla mafia e dalle forze conservatrici e, nel caso Moro, da brigatisti autonomi o strumentalizzati, ed è brutalmente arrestato con il ricorso alla violenza.
Il 4 maggio a Monreale, durante la festa del santo patrono, viene ucciso il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Aveva in braccio la figlia di pochi anni. Era impegnato in indagini sulla mafia nella zona e in particolare in indagini patrimoniali.
(…)Si parla di 1000 morti, compresi casi di lupara bianca, difficili da conteggiare. In una ricerca del Centro Impastato sull’omicidio a Palermo e provincia dal 1978 al 1984 sono stati contati 332 omicidi di matrice mafiosa, di cui 203 interni.
(Tratto da “Storia del movimento antimafia di Umberto Santino – Editori Riuniti 2000 p. 365):
Sui legami di Mattarella con il bandito Giuliano cfr.la documentazione raccolta da D. Dolci (Chi gioca solo- Torino Einaudi 1966- Dolci viene processato e condannato a due anni di reclusione per diffamazione, anche se le dichiarazioni raccolte erano molto precise e circostanziate – Umberto Santino “Storia del movimento antimafia . Ed. Riuniti 2000).
(Tratto da “Storia del movimento antimafia di Umberto Santino – Rubbettino 1997p. 160):
(…) Quanto al rapporto tra mafia e politica questa era la ricostruzione di Mannino: “La mafia fin dall’epoca di Bernardo Mattarella e di Gioia è stato un potere in connessione con altri. Poi la crescita dei proventi ne ha fatto un’organizzazione feroce che non deve più mediare e spartire con nessuno. Al maxiprocesso fu raggiunta una specie di intesa con il potere politico. Voi disse Cosa nostra, ingabbiate la mafia perdente e alcuni elementi marginali della mafia vincente. L’accordo è che alla fine la Cassazione annulla tutto e rimette i nostri amici in libertà. Noi assicurano i mafiosi, ce ne stiamo buoni e calmi continuando a fare i nostri affari. Ma il governo non ha rispettato i patti. Andreotti ha fatto approvare una serie di leggi repressive. Lima, uomo di confine, aveva garantito sulle “buone intenzioni” di Andreotti. Non ha potuto mantenere gli impegni e per questo è stato ucciso. Anche l’assassinio di Falcone fa parte di questa vendetta.
Sulla sua posizione personale diceva:
“Io, Mannino sono stato avvicinato e ho ricevuto pressioni affinché mi battessi in favore di misure meno restrittive. Mi considerano potente e “intelligente”. “Non ho voluto cedere: perciò sono sulla lista nera. Sono rimasto solo. Neanche una telefonata di Scotti (allora ministro degli interni). In Sicilia non è più possibile fare politica”.
Le forze dell’ordine non sono in grado di proteggere chi è in pericolo e lui più che paura di morire ha orrore della sua condizione di condannato a morte. Le parole assumono il tono di una lamentazione biblica sul destino del politico siciliano e più in generale sulla maledizione che grava sull’isola: “Maledico il giorno in cui ho cominciato a fare politica. Potevo fare il professore universitario a Torino o a Milano. La Sicilia è una terra maledetta. Mi hanno fatto capire che o cedo o è meglio che mi ritiro dalla politica. I carabinieri vogliono che non mi esponga. Dicono che sono troppo nel mirino. Ma io ho una gran voglia di raccontare molte cose. E penso che lo farò”.
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Per quello che si sa, Mannino non ha raccontato nulla. E più che ritirarsi dalla politica ha cercato di restarci fino all’ultimo. Nelle elezioni politiche del 1994, vistosi escluso dalle liste del partito popolare, ha pensato di correre da solo con una lista “fai da te” e non è riuscito a farsi eleggere. I suoi elettori lo hanno abbandonato, come uno straccio vecchio. E invece del ritorno in Parlamento si sono schiuse per lui le porte del carcere dove si è ridotto così male da diventare irriconoscibile e ottenere, dopo mesi dalla richiesta, gli arresti domiciliari. Quando si è presentato nell’aula del Tribunale di Palermo sembrava un altro: magrissimo, con lo sguardo stralunato e i capelli lunghi.
Il capo di imputazione del processo in corso all’ex ministro è concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’ordinanza di custodia cautelare si dice che Mannino “si avvaleva del potere personale e delle relazioni derivanti dalla sua qualità di esponente politico di un’importante corrente del partito in Sicilia, di segretario regionale, di membro del consiglio nazionale” della Dc e ha contribuito sistematicamente e consapevolmente all’attività di raggiungimento degli scopi criminali di Cosa nostra mediante la strumentalizzazione della propria attività politica, nonché dell’attività politica e amministrativa di esponenti della stessa area collocati in centri di potere e istituzioni (amministrazioni comunali, provinciali e regionali e subistituzionali, enti pubblici e privati) onde agevolare l’attribuzione di appalti, concessioni, licenze, finanziamenti, posti di lavoro e altre utilità in favore di membri di organizzazioni criminali di stampo, mafioso, nelle province di Palermo, Trapani ed Agrigento”.
(Tratto da “Storia del movimento antimafia di Umberto Santino – Rubbettino 1997p. 245):
Sui contadini dei Fasci siciliani hanno sparato insieme mafiosi e guardie regie inviate da Francesco Crispi, che dietro l’assassinio di Notarbartolo ci fosse l’onorevole Palizzolo è arcinoto, da chi fossero eletti nel collegio di Partinico uomini come Vittorio Emanuele Orlando e più tardi Savarino è altrettanto noto, come note pure le “amicizie” di Bernardo Mattarella e di Calogero Volpe non avevano niente di occulto e di misterioso.
Sui “fanfaniani” di Palermo e su altri la Commissione antimafia ha raccolto in tredici lunghissimi anni (dal 1963 al 1976) montagne di documenti da cui risultano evidenti legami d’interesse, scambi di “favori”, amicizie tenaci e fruttuose. Tutto con nomi, cognomi e indirizzi. Purtroppo la Commissione decise di sotterrare molti di quei nomi e di non pubblicare le “schede” dei politici collusi con la mafia. Un atto di omertà in cui Stato e mafia si trovarono d’accordo nel dichiarare occulto per legge quello che era palese di fatto, preludio a nuove più profonde compromissioni e identificazioni. Ancora oggi quelle “schede” sono segrete, gli “omissis” abbondano nei documenti della Commissione pubblicati con esasperante lentezza, le richieste di mettere fine all’omertà di Stato sono rimaste e rimangono lettera morta. Eppure nonostante tutto, tante cose che si definiscono occulte sono chiare come il sole.
Oronzo mario Schena 22/12/2024