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Si stava meglio quando si stava peggio? E’ vero che in tempi più arcaici i rapporti umani erano migliori, più veri e non così mediati dagli egoismi personali o dal “dio denaro”? Il capitalismo ed il consumismo hanno determinato una mutazione antropologica della specie, come dicono i filosofi?
Gli esseri umani cambiano ma mantenendo un sostrato di caratteristiche quasi immutabili. Pregi e difetti si riproducono in ogni epoca, in fogge sempre nuove, vizi e virtù sono connaturati all’animo umano e non c’è modo di separarli da esso, anche perché il confine tra bene e male è sempre molto sfumato, soprattutto negli uomini. Da Mandeville a Zola le lezioni da apprendere sono molte ma noi preferiamo stare a sentire i pauperisti odierni che lanciano anatemi contro il progresso lucrando sull’ignoranza della gente.
Da quando c’è il capitalismo poi è tutta colpa del capitalismo che ha distrutto la famiglia tradizionale, i legami sentimentali, la solidarietà collettiva e, persino, la corrispondenza di amorosi sensi, per cui vi è sempre il patrimonio alla base di una relazione di coppia, di un matrimonio o unione civile. Come se l’oro non corrompesse dagli albori del mondo. Leggere Shakespeare aiuterebbe. Chi afferma ciò non conosce la Storia e la storia degli uomini, da quando essi si sono uniti nella “social catena” per affrontare un ambiente avverso, romanza un passato che non è mai esistito per fuggire da un presente che è il suo unico tempo, non dissimile dai tempi che l’hanno preceduto, eccetto per le comodità conquistate nei millenni. Magari approfitta abbondantemente di queste narrazioni false scrivendo libri e facendosi invitare in televisione a straparlare contro l’abbondanza che ci ha resi insensibili all’altro mentre infila il cachet nella tasca, deridendo sotto i baffi (o gli occhialini da intellettuale) i turlupinati. Che siano però i marxisti a cadere in tale trappola è veramente inaccettabile. Marx sul punto è stato chiaro. Il principio della razionalità strumentale (minimo sforzo massimo risultato), introdotto dal capitalismo, sarebbe stato preservato anche sotto il comunismo. Il capitalismo aveva reso possibile l’abbondanza produttiva che il comunismo avrebbe esteso a tutti, abolendo la proprietà privata dei mezzi di produzione. Nessun ritorno indietro ad epoche incontaminate ma scarse di beni dei secoli andati. La socializzazione delle forze produttive, innescata dal capitalismo, avrebbe rotto l’involucro dei rapporti di produzione dominanti, favorendo l’ascesa di un nuovo modo della produzione basato sul principio : “da ognuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”, passando per un breve intermezzo socialistico in cui ognuno avrebbe preso secondo il lavoro offerto. A Marx non viene minimamente in mente di mettersi a fare prediche contro il consumismo o contro lo spreco. Egli è per l’opulenza produttiva che affranca l’uomo dal lavoro, da uno sforzo prolungato che lo distoglie da attività maggiormente creative per raggiungere un individualismo concreto e non solo apparente come quello liberale.
In ogni caso, prima delle varie rivoluzioni industriali e tecnologiche, la vita era sicuramente più dura ed anche più breve. Spesso era meglio morire piuttosto che vivere tra stenti e patimenti. Se non si era ricchi l’esistenza era quasi una condanna, certamente una jattura. Chi per combattere il capitalismo propone di sostituirlo con forme di rapporti sociali precedenti è un pazzo o un imbroglione. Quando sento dire, per esempio da uno come Massimo Fini (ce ne sono altri, troppi), che il capitalismo schiavizza più dello schiavismo d’antan mi cascano le braccia. Oppure che, antecedentemente alla rivoluzione delle macchine capitalistiche, si viveva in armonia con la natura mentre adesso barbarizziamo l’habitat in nome del profitto. In realtà, nei periodi di cui parla Fini si era in balia della natura e dei suoi capricci. L’unica cosa che la natura vuole è farci fuori per rinnovare il suo ciclo. Combattiamo ogni giorno contro la natura per sopravvivere ed abbiamo affinato di molto i nostri sistemi di lotta. Per fortuna. Nemmeno mi convincono i discorsi di quanti rimpiangono i giorni che non hanno mai vissuto, in cui i legami erano più saldi, sinceri e meno spersonalizzati. Sicuri che fosse proprio così? Chiedetelo ad una donna del medioevo o anche dei primi del ‘900. Senza voce in capitolo, costretta ad allevare figli e a tenere la bocca chiusa, con qualche dose di vergate quotidiane. Chiedetelo ai suoi figli, mandati a lavorare ancora bambini da un padre assolutista che dava ordini senza dialogare. Chiedetelo al medesimo padre assolutista schiacciato dalla gleba. Ecc. ecc.
Vivete oggi, hic et nunc, che c’è molto da fare e da lottare per cambiare ancora le cose. Come spiega brillantemente Woody Allen in Midnights in Paris, quella dell’epoca d’oro è solo una sindrome:
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