CAUCASO DEL SUD: UNA NUOVA GUERRA FREDDA
Fonte diploweb.com, trad. di G.P.
Il CAUCASO del Sud-Est è una nozione certamente geografica ma che resta difficilmente trasferibile sul piano politico, con i tre stati che lo compongono, l’Armenia,
Tensioni
Si evoca sempre più spesso la fine del riflusso russo, in particolare sul piano militare e strategico, caratterizzato in primo luogo da una certa ripresa del controllo sul proprio vicino prossimo, del suo cammino, mentre allo stesso tempo gli Stati Uniti sembrano riconsiderare il loro posizionamento tattico in Europa che guarda in particolare sempre più ad Est. Una nuova guerra fredda sta forse svolgendosi sotto i nostri occhi. Ma, i tre paesi del Caucaso del Sud sono snodi essenziali a questa stabilità regionale, per la loro storia singolare e nondimeno strettamente legata e la loro situazione geografica, tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, di fronte alla Turchia, all’Armenia, all’Azerbaigian, fiancheggiante
Un odore inebriante di petrolio
Questa geopolitica particolare ne fa uno degli snodi essenziali “del grande gioco” che sembra rinascere dalle sue ceneri, grazie ed a causa di un odore inebriante di petrolio e dei dividendi che sembrano scorrere a fiotti, senza che si sappia dire se ciò durerà… Ne sono testimonianza le numerose condutture che passano attraverso il territorio dei tre stati caucasici, in primo luogo quelli del progetto Bakou-Tbilissi-Ceyhan (BTC) inaugurato in pompa magna a Bakou, ma che sono soltanto i più visibili… In questo contesto esplosivo, il Caucaso del Sud può legittimamente rivendicare l’epiteto di linea di frattura, come l’intende Samuel Huntington.
E l’Unione europea?
D’altra parte, l’emergenza di un interesse europeo sempre più significativo, con l’impegno di pace e di stabilità regionale, su questo spazio centrale nelle relazioni internazionali, conferma a quale punto questa regione instabile è diventata una sfida fondamentale per la sicurezza internazionale. La politica di vicinanza (lanciata nel 2004 sulla scia dell’adesione dei nuovi Stati membri) che impegna l’UE a dialogare intensamente con i suoi vicini, suppone di determinare la gestione di eventuali nuove frontiere dell’Unione. Quest’ultima potrebbe domani trovarsi come vicini l’Iraq o l’Iran… È tuttavia utile circoscrivere le ambizioni di questa politica di buona vicinanza col metro della necessità della sicurezza ai confini dell’UE, come ha ricordato Javier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune (PESC), nel 2005, che insisteva sul fatto che “la politica di nuova vicinanza non si prefigge l’allargamento dell’UE; non lo implica, ma non lo esclude neppure”. Ciò è molto poco se si considera la necessità per l’UE di avere relazioni privilegiate con questa prima “cerchia di amici”. Tuttavia questo spazio di dialogo, che dispone di un budget di 15 milioni di euro nel periodo 2007-2013 (cioè il 10% del budget complessivo per l’azione estera dell’UE), che si voleva esemplare, interdipendente ed equilibrato, non ha ben pesato le preoccupazioni tattiche russe la cui nozione “di straniero prossimo” riveste un carattere molto più offensivo e nettamente meno cooperativo della dimensione di dialogo che l’UE intende intraprendere, domani con tutti i paesi del Caucaso e forse dopodomani con
La sicurezza del continente europeo: passaggi obbligati
Così, la sicurezza dell’insieme del continente europeo passerebbe necessariamente per la concretizzazione dei seguenti punti:
– il consolidamento della democrazia in tutto il Caucaso del Sud ed, al di là, nella sua parte nord, come pure il regolamento politico della questione cecena, per ciò che riguarda i conflitti più visibili. Non occorre tuttavia nicchiare su quelli meno mediatici (in primo luogo quello in Ossezia meridionale su una base “di pace armata” tra
– il mantenimento di un dialogo con
Conflitti congelati
Infine, il non regolamento dei conflitti detti “congelati” (Ossezia meridionale e Abhasia in Georgia, Nagorno-Karabah, spina nel fianco tra l’Azerbaigian e l’Armenia), la geopolitica del petrolio e del gas, accompagnata da una corsa al riarmo e la prossimità con i focolai di conflitto iraniani, iracheni e ceceni sembrano elementi sufficientemente perturbatori per rendere caduca, attualmente, l’espressione di una reale integrazione regionale, tuttavia rivendicata nei periodi successivi alle indipendenze del 1991 e che i forti tassi di crescita e lo scenario comune del divorzio con Mosca dovrebbero legittimare. Sedici anni più tardi, quest’opera elabora così un inizio d’inventario molto utile, per comprendere meglio perché e come il controllo del loro destino comune potrebbe permettere alla Transcaucasia, “labirinto della storia”, come ricorda l’autore, di diventare il laboratorio dell’Europa che potrebbe estendersi in futuro dall’Atlantico al Caucaso. La lettura di questo lavoro permette così di capire come il concetto “di Caucaso ai caucasici” è lungi dall’essere una realtà, anche se quello “dell’Europa agli europei” non è ugualmente scontato. Occorre meditare nel quadro di questa mondializzazione che non ha messo da parte il Caucaso, anche se l’ha coinvolto in vari modi, “con il mare per i georgiani, con la diaspora per gli Armeni e mediante il petrolio per gli Azéri come indica Gaïdz Minassian.