C’E’ UN’ARIA, UN’ARIA……
1. Si accresce la sensazione di trucco, ma ammetto di non capirne bene il reale motivo. Berlusconi è tranquillo come non mai. Apparentemente ha preso “le botte”, come si dice di un bambino. Tuttavia, ha perfino accresciuto la sua “maggioranza” (scusate ma non mi sento di scriverla se non virgolettata). Sempre più appare evidente che da un pezzo (almeno da quando si è salvato il 14 dicembre 2010, ma sapete che io penso addirittura al suo improvviso viaggio da Putin nell’ottobre del 2009) egli aveva iniziato il suo riallineamento agli Usa. Tuttavia, è sembrato proseguire in parte la sua politica estera fino almeno alle visite di Gheddafi in Italia (con la tenda a Villa Pamphili, ecc.). Poi il tradimento di questi mesi che non sembra per nulla giunto così all’improvviso; per di più lasciando l’iniziativa ad uno squallido ministro degli esteri (in minuscolo), facendo finte riserve e resistenze per pochi giorni e poi cedendo su tutta la linea fino al bisbiglio all’orecchio di Obama, alla rivelazione di quanto detto e di quanto rispostogli dal presidente americano (sempre in rigoroso minuscolo).
Avrebbe potuto regolare i conti con la “minoranza” alla fine dell’anno scorso, ma si è rifiutato di procedere alle mosse necessarie per arrivare a nuove elezioni; e si è messo a traccheggiare e condurre operazioni in stile ben più squallido di quanto si faceva nella cosiddetta prima repubblica (come se mai fossimo passati ad una seconda). Si è parlato del timore che Napolitano promuovesse un’ammucchiata di “sinistra” e “terzo polo”, più Fli, per fare un governo di “salvezza nazionale”. Ci sarà stata anche questa “spada di Damocle”, ma nulla che non fosse previsto nel gioco condotto con il “tradimento” di Fini, le polemiche acute tra questi e il premier, l’apparente fallimento dell’operazione dell’ex missino (che mai si è preoccupato dello stesso come fosse quanto meno messo in conto), mentre veniva avanti quello che oggi appare il vero rappresentante e garante di Obama in Italia, l’ex comunista, che già aveva “viaggiato” negli Usa oltre trent’anni fa preparando il graduale spostamento di campo del partito, rivelatosi “improvvisamente” (ma solo all’apparenza data la lunga gestazione) con il crollo dell’Urss.
Nessuno pensa ad un pieno gioco delle parti tra i vari protagonisti; anzi ognuno gioca per conto suo, ma sempre tenendo conto delle diverse possibilità e prospettive che si aprono di volta in volta di fronte alle mosse (“del caos”) compiute secondo la nuova strategia applicata da Washington; e che anch’essa sembra aver preso cautamente inizio con il cambio alla segreteria di Stato americana tra Rumsfeld e Gates (fine 2006). I vari protagonisti sulla scena nel teatrino italiano (che sono Fini e soprattutto Napolitano, Berlusconi, ma con pedine non di secondo piano quali Tremonti, Draghi e non so quanti altri) si muovono tra accordi e discordie con tensioni varie; tuttavia sempre tenute sul filo dello scorrimento degli avvenimenti secondo modalità che diano soddisfazione ad Obama (cioè alla nuova strategia di cui appena detto). L’opposizione, dopo il ventennale defatigante lavorio che non è riuscito a rendere pienamente manovrabile l’Italia, non è considerata del tutto affidabile dagli Usa (quelli “nuovi”); si preferisce tenere sotto pressione (e osservazione) il premier, lasciandogli ampi margini di manovra (l’“opposizione” cerca di logorarlo senza però affondare i colpi, anche perché non riuscirebbe a farlo essendo tanto scalcinata quanto la “maggioranza”) per condurre il paese ai lidi voluti dai “padroni (padrini) imperiali”.
Berlusconi sembra non mettere più in alcuna discussione il volere di questi ultimi, ma non è ancora nel sicuro porto della sua salvezza (comunque implicante, tutto lo lascia supporre, il suo allontanamento in tempi non lunghissimi), che deve soprattutto servire alla salvezza delle sue aziende per i suoi figli. Francia e Inghilterra hanno preso il sopravvento quali sicari più sicuri per i predominanti d’oltreatlantico, tuttavia l’Italia ha il compito di condurre bene in porto il suo “harakiri” (di cui il principale garante è in questo momento il presdelarep) per assicurare lo spostamento del baricentro della strategia globale degli Usa dal lontano oriente (“occidentale”) all’area mediterranea; da destabilizzare fortemente per ricondurre verso l’atlantismo la Turchia, giocare sulle divisioni interne all’Iran, e infine spostarsi sempre più ad est onde mettere stabilmente la Russia sulla difensiva.
2. Anche a tal proposito, è dall’anno scorso che si susseguono segnali vari. Ad es., la polemica dell’allora comandante delle truppe americane in Afghanistan (McChrystal) con Obama e la sua sostituzione con Petraeus, che oggi dovrebbe andare alla Cia. Poi, l’elezione di Karzai, messa in discussione per i soliti dichiarati brogli dai “centri” propulsori della vecchia strategia (che insisteva sulla centralità del Pakistan-Afghanistan per le mire globali statunitensi), e poi accettata (senza smentire i brogli; un po’ di ricatto verso Karzai va sempre bene) dai “centri” della nuova strategia di almeno parziale sganciamento da tale centralità e di suo spostamento verso ovest. E’ poi venuta l’uccisione di Bin Laden – realmente effettuata quando annunciato? Non ha grande importanza appurarlo, importante è l’annuncio – tranquillamente soggiornante da anni in un luogo che i Servizi, sia americani che pakistani, non potevano non conoscere. E’ evidente che anche questo è stato segnale della fine ufficiale dei servigi che il “terrorismo” di Al Qaeda aveva fornito dal “mitico” 11 settembre 2011, quando si pensò di mettere al passo tutti gli altri paesi – e in particolare la Russia, che aveva dato qualche segnale di “insofferenza” con Primakov (per la questione serba) dopo il totale servilismo eltsiniano – sfruttando appunto la collettiva idiosincrasia per il terrorismo islamico; i ceceni per la Russia, gli Uighuri in Cina, guarda caso alimentati e aiutati dagli Usa.
E’ ovvio che tale segnale non è stato ben accolto in Pakistan, i cui gruppi dirigenti sono forse più d’accordo con la vecchia strategia americana che assegna centralità ad una zona in cui è cruciale la posizione del loro paese. Mentre, probabilmente, la nuova strategia attribuisce maggiore rilevanza proprio a fazioni che in Afghanistan sono più favorevoli a Karzai (in grado di fingere una certa autonomia dagli Usa criticandoli per certi “errori collaterali” nei bombardamenti, critica mai osata nei confronti dei “centri” della vecchia strategia, che volevano appunto liquidarlo con la scusa dei suddetti “brogli”), il quale ha rapporti con alcuni settori talebani, magari di notevole rilievo, con cui poter stabilire contatti che rafforzerebbero le possibilità dei “nuovi centri” strategici americani. Perché non è detto che il nuovo abbia vinto stabilmente sul vecchio. Molte sono le contraddizioni. E si notano parecchi brontolii dalle parti del Pentagono. Non è detto che debbano tornare in auge i Rumsfeld e i McChrystal, ma certe linee di compromesso potrebbero aprirsi.
Anche perché in Libia – malgrado i mastini francesi e inglesi quali principali sicari statunitensi in Europa, ed una Nato ormai semplice cinghia di trasmissione degli ordini promananti dai “nuovi” Usa – la situazione sul campo, grazie alla totale incapacità dei mercenari e autentici banditi del “Consiglio di Bengasi”, è ancora molto intricata e sempre più vengono alla luce la barbarie e la subdola aggressività dell’amministrazione Obama; il che potrebbe comportare la necessità di qualche compromesso. Inoltre, l’instabilità della zona mediterranea – quale ponte verso cambiamenti in Iran e per esercitare pressioni sulla Russia – esige cambiamenti in Medio Oriente, dove Israele dovrebbe seguire linee di compromesso atte a favorire crepe più larghe nel fronte palestinese. Sarebbe inoltre importante cercare uno sfondamento verso la Siria. E lì cominciano i guai dei nuovi centri strategici Usa, almeno così sembra. Apparentemente sono stati guadagnati punti con la Turchia; mentre invece, per dividere il fronte interno islamico iraniano, occorre non spingere troppo sul pedale della “rivolta” in Siria. Anche perché pure in Russia i vantaggi, forse acquisiti dalla nuova strategia con Medvedev (cioè nei confronti dei gruppi dominanti russi che egli rappresenta e che sono più vicini a quelli eltsiniani), potrebbero andare persi se si “esagera” con Assad. E’ proprio il presidente russo ad annunciare la possibilità di veto all’Onu sulla Siria se la Francia, per il momento il sicario più assatanato e ottuso degli Usa, intendesse spingersi troppo oltre nei suoi servigi ai “nuovi” centri strategici obamiani.
3. Tornando all’Italia, essa è decisamente al centro dei flussi e contro-flussi provocati da queste spinte e contro-spinte. E’ necessaria inoltre l’accortezza di afferrare che, quando due linee (come potrebbero essere quelle dei “vecchi” e dei “nuovi” centri strategici americani) si scontrano, sorgono spesso terze e quarte, ecc. linee che tentano di porsi non semplicemente quale mediazione tra le due, ma talvolta addirittura come qualcosa che le batte e supera entrambe. Diamo per scontato che ormai Berlusconi pensa alla sua salvezza e ad uscirne nel modo meno peggiore. Già questo fatto crea grossi problemi a tutti quelli che hanno dimostrato la più totale incapacità politica negli ultimi vent’anni, impostando la polemica esclusivamente sulla sua persona. Adesso si trovano veramente nelle panie e non sanno come uscirne; il che, ne sono convinto, sta creando nervosismo e irritazione anche nei “nuovi” centri obamiani, che già hanno parecchie gatte da pelare negli Usa e nelle già considerate zone cruciali per la loro strategia globale.
Sintomatico il caso Fiat. Come scritto da GP quest’azienda è stata sopravvalutata per le sue funzioni, pur non avendo prodotto nulla di nuovo e di sostanziale sul piano industriale. In un primo tempo sembrò giocare la carta dell’essere direttamente la “quinta colonna” statunitense in Italia. Fallito l’obiettivo (non sappiamo però bene perché, dato che si deve evitare di ricorrere sempre ai fattori esclusivamente economici), gli Usa di Obama l’hanno di fatto annessa con la finzione della conquista della Chrysler. Sono stati ottenuti i due classici piccioni con una “fava” (rappresentata dai finanziamenti occulti dati alla Fiat): si è messa in scena la commedia del salvataggio dell’azienda americana da parte di una straniera, date le opposizioni sollevate negli Usa (con il loro debito strabiliante) dalla prospettiva di continuare ad assistere settori decotti. Nel contempo si è creata una vera “filiale” dei “nuovi” centri obamiani nel nostro paese.
In effetti, si è di fatto spostata negli Usa (ai fini del salvataggio della Chrysler) la Fiat Auto. Essa resta però legata alla parte finanziaria (ottimi i rapporti di connivenza tra un Marchionne ed un Elkann), saldamente ancorata in Italia. Resta da capire l’ormai sempre più scoperta tensione tra Fiat e il resto della Confindustria. Forse quest’ultima si sentiva più favorita dai “vecchi” centri strategici Usa? E per quali motivi? La situazione resterà la stessa o il cambio di presidenza confindustriale rappresenterà un tentativo di attenuare i contrasti con la Fiat, cioè con gli “obamiani”? Tutte cose che non sappiamo; ma sono centrali per afferrare il ruolo giocato dai vari “attori” (personificazione di gruppi dominanti fra loro in frizione): Berlusconi, Napolitano, Draghi, Tremonti, Monte(prez)zemolo e Della Valle con i “terzo-polisti” (in colloquio con il Tremonti), e via dicendo.
E’ questo complicato intreccio di collusioni tra gruppi di guitti di una meschinità politica agghiacciante, con una mentalità corrotta da Francia dell’epoca balzachiana o di quella dell’Impero di “Napoleone il piccolo”, a rendere l’aria mefitica e a creare questa sensazione di “gioco truccato”. Fra l’altro, siamo sotto continuo attacco per ormai demolire le nostre imprese strategiche. Il gioco di organismi alla Moody’s – due anni fa sputtanati da tutti per non aver nulla capito della crisi, per avere dato qualifiche strepitose di aziende in crac (si pensi, qualche anno prima, alla Parmalat, Cirio e altre) e oggi di nuovo ascoltati come oracoli – contro Enel, Eni, Finmeccanica, è ormai scoperto. E non lo si interpreti con la solita ristrettezza economicistica; non serve a farle acquistare a basso prezzo da imprese magari straniere, nemmeno si tratta della mera distruzione del “pubblico”, ancora mitizzato da alcuni imbonitori quale “il meglio”.
Tale obiettivo verrà perseguito solo in “ultima istanza”, come extrema ratio. L’obiettivo immediato è renderle docili alle imposizioni della UE, che a sua volta esegue ordini d’oltreatlantico. Se si riesce a farle restare “pubbliche” (così si ingannano meglio gli allocchi) e a renderle comunque pedine delle strategie obamiane, si realizza la migliore condizione possibile. Devono essere indebolite, il loro management (quello trinceratosi per circa un ventennio dietro Berlusconi e incapace di cambiare questo “cavallo bolso” che, infine, ha mostrato d’essere “sciancato”) deve essere impaurito e reso prono davanti ai vertici aziendali (gli ad e presidenti in primis) già al servizio dei “nuovi padroni (padrini)”. Si arrivi a capirlo, infine!
E quale ultimo tocco all’atmosfera asfissiante in cui dobbiamo vivere, ci si ricordi che ormai appare evidente quanto da me sostenuto da almeno tre anni (e più). Non siamo soltanto dentro una crisi, in quanto fase del ciclo economico (sempre questa ristrettezza mentale in azione per obnubilarci). Siamo entrati in una lunga fase di sostanziale stagnazione (depressione) che nasconde lo sviluppo, intendendo quest’ultimo non come crescita del Pil (ancora l’economicismo), bensì quale epoca di grande trasformazione: dei rapporti sociali, dei rapporti tra paesi, tra aree mondiali, ecc. In quest’epoca, l’Italia è il “vaso di coccio”, ha classi (non) dirigenti di una piccineria totale, di una corruzione spaventosa (e non parlo della corruzione sessuale né affaristica, ma di vero corrompimento dei cervelli, dei rapporti interpersonali, di quelli tra gruppi sociali). Non a caso, alcuni paesi, quelli meno avanzati tra i più avanzati, conoscono ancora ottimi ritmi di crescita, in genere a detrimento “nostro”, dei paesi più avanzati tra gli avanzati. Non sta qui la stagnazione, la depressione, la situazione di stallo, in cui si stanno giocando le sorti dei più “deboli” fra tali paesi, nel cui novero noi italiani siamo “ben” posizionati (cioè malissimo).
Dobbiamo muoverci con una simile consapevolezza. Basta interloquire con gruppettini di disperati, di gentucola che crede di fare “azione di massa” se passa da un seguito di cinquanta coglioni a duecento. Se possiamo, voliamo un po’ più alto. Prendiamo coscienza, appunto, che “c’è un’aria, ma un’aria, che manca l’aria”.