Che cos’è una nazione
Ormai ognuno deve dire la sua, possibilmente fuori dalle proprie competenze e fuori dai propri ambiti di conoscenza. Ma voi davvero credete, come il comico qui sotto, che Draghi sia un genio italico come Leonardo, Galilei o quanti altri ne abbiamo avuti? E seriamente pensate che sia tutta colpa dei tedeschi se i “coronabond” non siano stati adottati? Dopo questa sciocchezza, il signore qui sotto si è lasciato andare a tutti i luoghi comuni del caso: i tedeschi hanno provocato la I Guerra Mondiale, la II Guerra Mondiale, hanno sterminato le razze inferiori e ora iugulano gli italiani. Proprio loro che sono stati aiutati dall’Europa e dall’America a risollevarsi dopo aver perso due conflitti (il che ovviamente non è vero perché l’obiettivo di America, Inghilterra e Francia è stato sempre quello di limitare, per ragioni diverse, le potenzialità dell’unico Stato in grado prendere la leadership di questo Continente per farne un’entità realmente autonoma e libera dai condizionamenti statunitensi). Noi italiani ci lamentiamo di come ci trattano nel mondo ma siamo i primi a ricamare sui presunti difetti altrui per assolverci dalle nostre responsabilità. Il problema non è che Bruxelles rifiuta di aiutarci, il guaio è che ci siamo messi nelle condizioni di dover andare col cappello in mano dai farabutti mondiali per aver il consenso su ciò che possiamo o non possiamo fare. E la colpa di tanto non è dei tedeschi ma nostra che abbiamo svenduto l’Italia agli USA e all’Ue. Dobbiamo uscire dalla gabbia europeistica, da questo edificio di depressione e distruzione della nostra sovranità, per rinascere come nazione. Se siamo a tale disastroso punto le responsabilità sono di quelli come Draghi (che perorava l’ irreversibilità delle istituzioni europee) e di tutti quelli che negli anni hanno coltivato la sottomissione del popolo italiano descrivendola come un progresso mentre invece si eseguivano meramente gli ordini di smobilitazione pubblica provenienti da paesi stranieri. Draghi, come ricorda Cossiga, fu il liquidatore dell’industria strategica di Stato ma non concretò tali svendite per suo conto, le realizzò perché imbeccato dai suoi “comparuzzi” americani, inglesi, europei ed anche da quegli italiani marci, sottomessisi ai nemici. Mentre noi ci liberavamo dei tesori di famiglia gli altri Paesi li proteggevano, mentre noi rinunciavamo ai grandi affari internazionali gli altri li concludevano. Per esempio, quando gli USA e l’Ue ci imposero di chiudere il consorzio South Stream che ci avrebbe portato gas dalla Russia noi abbassammo la testa. Quando fu chiesto ai tedeschi di rinunciare al progetto di un gasdotto speculare al nostro, il North Stream, quelli non si piegarono e lo conclusero comunque. Di chi è la colpa di tanta debolezza?
Questo povero paese deve risollevarsi sulle sue gambe se vuole tornare a camminare. Prendersela coi vicini in maniera così dozzinale non serve a niente. Vorrei si rileggessero le parole di Renan che riporto, affinché ci si fissi nel cranio che qui o si rifà l’Italia o si muore, continuare ad esistere civilmente e fieramente dipende soltanto dai nostri sforzi e non dalla benevolenza altrui. Basta togliersi il cappello!
“L’uomo, Signori, non si improvvisa. La nazione, come l’individuo, è un punto di arrivo di un lungo passato di sforzi, di sacrifici e di dedizione. Il culto degli avi è di tutti il più legittimo; gli avi ci hanno fatto quelli che siamo. Un passato eroico, grandi uomini, gloria (intendo quella vera), ecco il capitale sociale sul quale poggia un’idea nazionale. Avere comuni glorie nel passato, una volontà comune nel presente; aver fatto grandi cose insieme, volerne fare ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo. Si ama in proporzione dei sacrifici che si sono accettati, dei mali che si sono sofferti. Si ama la casa che si è costruita e che si trasmette. Il canto spartano: «Siamo quel che voi foste; saremo quel che voi siete» è nella sua semplicità l’inno abbreviato di ogni patria. Nel passato, un’eredità di gloria e di rimpianti da condividere, nell’avvenire uno stesso programma da realizzare; aver sofferto, gioito, sperato insieme, ecco ciò che vale più che dogane comuni e frontiere conformi alle idee strategiche; ecco ciò che si comprende malgrado le diversità di razza e di lingua. Dicevo poco fa: «Aver sofferto insieme»; sì, la sofferenza in comune unisce più che la gioia. In fatto di ricordi nazionali, i lutti valgono più dei trionfi, perché impongono dei doveri, richiedono lo sforzo comune.
Una nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici che si sono fatti e di quelli che si è disposti a fare ancora. Suppone un passato; si compendia tuttavia nel presente con un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare la vita comune. L’esistenza di una nazione è (perdonatemi questa metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è una perpetua affermazione di vita… L’uomo non è schiavo né della sua razza, né della sua lingua, né della sua religione, né del corso dei fiumi, né della direzione seguita dalle catene dei monti. Un grande aggregato di uomini, sani di mente, caldi di cuore, crea una coscienza morale che si chiama nazione. Finché questa coscienza morale prova la sua forza con sacrifici che esigono l’abdicazione dell’individuo a profitto della comunità, essa è legittima, ha diritto di esistere.
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Che cos’è una nazione
Ernest Renan