Chi decide la politica estera italiana? di G.P.


In un articolo pubblicato sull'Unità di qualche giorno fa, a firma di U.D.G. (credo che l'acronimo stia per Umberto de Giovannangeli), è stata data ampia risonanza alle doglianze israeliane scaturenti dagli innumerevoli affari tra il nostro Paese e regimi poco raccomandabili del triangolo est-medioriente-nordafrica.Menachem Gantz, editorialista dello Yediot ha enumerato le discutibili prese di posizione del Governo Berlusconi in politica estera, le cosiddette liaisons dangereuses del nostro esecutivo con Stati considerati ai margini della democrazia o totalmente al di fuori dei crismi civili occidentali. Il giornalista israeliano dà conto, inoltre, di un certo antisionismo del Cavaliere che si esprime irrispettosamente con boutades di pessimo gusto sulla Shoa, nonché di una maniera spregiudicata e priva di moralità, con la quale l'Italia siglerebbe intese commerciali apparentandosi a nazioni inaffidabili sotto il profilo dei diritti umani e della libertà civili, vedi l'Iran, la Libia e la Russia. In particolare, i sionisti vedono come fumo negli occhi il raddoppiamento del volume degli scambi tra il Belpaese e la Repubblica degli ayatollah e questo nonostante la comunità internazionale avesse ultimamente decretato un inasprimento delle sanzioni internazionali contro l'Iran, al fine di accentuare l'isolamento mondiale di Ahmadinejad e soci (accusati di voler trasformare il suolo persiano in un arsenale nucleare per lo sterminio degli infedeli). De Giovannangeli attribuisce a Gantz anche la notizia secondo la quale “all'inizio dell'anno, l'amministratore delegato dell'Eni era stato convocato dal Dipartimento di Stato americano per spiegare le enormi dimensioni dell'interscambio tra i due paesi”. In realtà, nel pezzo dello Yediot non v'è traccia di questa informazione mentre si dice “soltanto” che “la compagnia energetica italiana Eni, immersa fino al collo a Teheran, investirà in un nuovo progetto di trivellazioni per il petrolio in Libia[sia benedetta per questo! Ndr] 25 mld di dollari fino al 2042. Probabilmente, l'indignata e zelante penna dell'Unità avrà letto tra le righe dell'intemerata israeliana più di quanto fosse effettivamente scritto grazie a notizie riservate a sua disposizione che noi non abbiamo. Tuttavia, laddove le cose stiano effettivamente come raccontate da U.D.G., si tratterebbe di un fatto gravissimo al quale qualcuno prima o poi dovrà dare delle risposte. A che titolo il Dipartimento di Stato americano convoca il capo di un'impresa italiana, partecipata dal Tesoro, per chiedere conto di iniziative economiche ad esso non gradite? E perché il governo italiano non ha protestato per questa iniziativa inusitata che scavalca e lede la sua sovranità politica su questioni di stretta pertinenza nazionale? Qui c'è materia per una interrogazione parlamentare o per un'audizione di Scaroni nelle sedi opportune. Se davvero l'AD di Eni si fosse sottoposto, come sostiene U.D.G., all'interrogatorio di un governo straniero, rivelando intenzioni o piani industriali di una nostra azienda strategica che opera in un settore delicatissimo come quello energetico (dove qualsiasi contatto tra partner privati è preceduto da intese tra alte sfere politiche), dovrebbe essere immediatamente defenestrato dal suo ruolo e poi, possibilmente, anche sentito da qualche magistrato italiano. Non siamo dei complottisti ma crediamo che determinati “ambienti”, statunitensi in particolare e dell'area atlantica in generale, stiano tentando di bloccare l'intraprendenza italiana sullo scacchiere mondiale perché questa comincia a dare molto fastidio a chi crede di avere il monopolio delle relazioni internazionali e del business nei settori più redditizi, come quello energetico o militare. La storia dei legami di Fini con questi “ambienti” statunitensi, rilanciata da alcuni giornali come Libero e da noi ripresa in queste ultime settimane, è solo il sintomo di qualcosa di ben più preoccupante che cova sotto le sabbie mobili che stanno inghiottendo il gabinetto del Cavaliere. E non dimentichiamo che adesso anche la Lega, rompendo le righe dell'alleanza con Berlusconi benchè le dichiarazioni ufficiali vadano in tutt'altra direzione, si è messa di traverso paventando un'invasione "beduino-bancaria", cioè una presunta quanto irrealistica scalata libica sull'Unicredit. Il Presidente del Consiglio ha, quindi, non una ma due serpi in seno, eppure non sente il pericolo del veleno che potrebbe presto paralizzarlo fino alla morte. Quando arriverà l'attacco definitivo? Crediamo molto presto.

 

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