CHIESA CATTOLICA, CRISI ECONOMICA E GOVERNO MONDIALE.

toz

Il 24.10.2011 è stata presentata dalla Chiesa cattolica romana una nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace intitolata: “Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica  a competenza universale“. In un passo di questa  nota si può leggere:

<<Un orientamento di stampo liberista — reticente rispetto ad interventi pubblici nei mercati — ha fatto propendere per il fallimento di un importante istituto finanziario internazionale, immaginando in tal modo di delimitare la crisi e i suoi effetti. Ne è derivata purtroppo una propagazione di sfiducia che ha spinto a mutare repentinamente atteggiamento, sollecitando interventi pubblici sotto varie forme, di enorme portata (oltre il 20 per cento del prodotto nazionale) al fine di tamponare gli effetti negativi che avrebbero travolto tutto il sistema finanziario internazionale>>.

La tesi esposta si è progressivamente imposta tra gli economisti e gli addetti ai lavori ma penso che si possa ritenere ancora controversa. Si ripete spesso che nel semestre successivo al fallimento della Lehman Brothers la produzione industriale si è ridotta del 25% e che questo dimostrerebbe la totale interdipendenza di ogni “frammento” dell’economia mondiale di fronte alle illusoria tesi del decoupling (disaccoppiamento). Si mette l’accento anche sul fatto che il prevalere della tesi «se fallisce Lehman, chiunque può fallire» ha paralizzato le transazioni finanziarie e bloccato in maniera catastrofica il sistema creditizio. Ma ripetere che «Too big to fail» doveva essere ritenuto un imperativo categorico per le grandi imprese dei settori bancario, assicurativo e della grande distribuzione perché la violazione di questo principio scatena il panico per la paura di un insolvenza generale delle famiglie, imprese e stati gravati da un forte indebitamento (con conseguente aumento degli spread ecc.) non appare sufficiente ad interpretare i fatti. Si può forse tentare una analogia  (mi arrischio a farlo) con le cause scatenanti la Prima Guerra Mondiale: l’attentato di Sarajevo fu la scintilla ma non la causa della guerra come il fallimento di Lehman fu certo un innesco per il propagarsi della crisi ma non la determinò in quanto tale. Nella nota del Vaticano, comunque, vengono anche rintracciate cause più “generali”:

<<Anzitutto un liberismo economico senza regole e senza controlli. Si tratta di una ideologia, di una forma di «apriorismo economico», che pretende di prendere dalla teoria le leggi di funzionamento del mercato e le cosiddette leggi dello sviluppo capitalistico esasperandone alcuni aspetti. Un’ideologia economica che stabilisca a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico, senza confrontarsi con la realtà, rischia di diventare uno strumento subordinato agli interessi dei Paesi che godono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario>>.

L’osservazione che il liberismo economico favorisce la potenza o le potenze dominanti è certamente valida – e se ne può trovare un’ ampia trattazione negli scritti di La Grassa su List, Ricardo e la teoria dei costi comparati – però più avanti vengono riportate critiche che sollevano altre problematiche e che appaiono sostanzialmente utopiche. Nel documento, infatti, si legge che appare deleteria per la società anche

<<l’ideologia utilitarista, ossia quella impostazione teorico-pratica per cui: «l’utile personale conduce al bene della comunità». È da notare che una simile «massima» contiene un’anima di verità, ma non si può ignorare che non sempre l’utile individuale, sebbene legittimo, favorisce il bene comune. In più di un caso è richiesto uno spirito di solidarietà che trascenda l’utile personale per il bene della comunità>>.

Si tratta della nota tesi propugnata da Bernard de Mandeville e Adam Smith e che è fatta propria anche da Kant, che sapeva ben distinguere ciò che apparteneva alla dimensione “noumenica” e a quella fenomenica, il quale scrive nell’Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico che i

<<singoli uomini, e perfino popoli interi riflettono poco al fatto che, ognuno perseguendo il proprio scopo […] e spesso l’uno perseguendolo contro l’altro, essi senza accorgersene seguono la linea della finalità naturale, a loro stessi sconosciuta, e lavorano  a un promuovimento  della medesima al quale, anche se diventasse loro noto, avrebbero ben poco interesse personale>>.

Ad ogni modo bisogna prendere atto che il meccanismo di mercato, piaccia o non piaccia, dopo il fallimento del comunismo storico novecentesco e dei vari tentativi di pianificazione economica appare tuttora insostituibile nella nostra epoca della “formazione economica della società”; si può discutere sull’ampiezza dell’intervento pubblico per correggerne i “fallimenti”, sulle possibilità delle politiche economiche, monetarie e creditizie di fornirne una sorta di “regolazione” ma l’”ordine esteso di mercato” (Hayek) come la forma-impresa caratterizzeranno ancora per molto, molto tempo le formazioni sociali particolari del sistema globale. Proseguendo la lettura della nota troviamo, ovviamente, un appello ai principi etico-religiosi della Chiesa con un richiamo ad un etica della solidarietà che abbracci la logica del bene comune “mondiale” per trascendere il mero interesse contingente e particolare. Nell’ultima parte del documento si tocca infine il tema della possibilità di un governo politico mondiale; rifacendosi all’ enciclica, di Giovanni XXIII, Pacem in terris del 1963 in cui si auspicava la creazione di «un’Autorità pubblica mondiale» dotata di autentica capacità di governo si citano le parole del papa attuale che paiono quasi un eufemismo quando afferma che, se non si cambia strada,

«il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti». 

La verità è che, a partire dal trattato di Westfalia del 1648, il “diritto degli Stati” è sempre stato effettualmente il risultato degli “equilibri di potere tra i più forti”. Verso la fine del documento del consiglio pontificio si trova anche l’occasione per criticare il panorama interstatuale attuale che ad una maggiore interdipendenza non ha saputo far corrispondere il superamento di una

<<forma deteriore di nazionalismo, secondo cui lo Stato ritiene di poter conseguire in maniera autarchica il bene dei suoi cittadini>>.

E più avanti si afferma che esistono  le condizioni per il definitivo superamento di un ordine internazionale «westphaliano», nel quale gli Stati sentono l’esigenza della cooperazione, ma non colgono l’opportunità di un’integrazione delle “rispettive sovranità per il bene comune dei popoli”. Questo implicherebbe, secondo la Chiesa, il trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni nazionali ad un’Autorità mondiale e alle Autorità regionali, resosi necessario in un momento in cui il “dinamismo della società umana e dell’economia e il progresso della tecnologia trascendono le frontiere, che nel mondo globalizzato sono di fatto già erose”. Il testo si conclude coerentemente con dei riferimenti biblici:

<<La Bibbia, con il racconto della Torre di Babele (Genesi 11, 1-9) avverte come la «diversità» dei popoli possa trasformarsi in veicolo di egoismo e strumento di divisione.[…] L’immagine della Torre di Babele ci avverte anche che bisogna guardarsi da una «unità» solo di facciata, nella quale non cessano egoismi e divisioni, poiché non sono stabili le fondamenta della società. In entrambi i casi, Babele è l’immagine di ciò che i popoli e gli individui possono divenire, quando non riconoscono la loro intrinseca dignità trascendente e la loro fraternità>>.

Così il “diritto degli stati” troverebbe il suo inveramento nella contrapposizione teologica tra lo Spirito di Babele e lo Spirito di Pentecoste. Dagli Atti 2, 1-5; 6:

<<1 Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti[gli apostoli:Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d’Alfeo, Simone Zelota, e Giuda di Giacomo più Mattia che aveva preso il posto di Giuda Iscariota assieme con le donne, e con Maria, madre di Gesù. N.d.r.] erano insieme nello stesso luogo. 2 Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dov’essi erano seduti. 3 Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. 4 Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi.[…] 6 Quando avvenne quel suono, la folla si raccolse e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua>>.

Qualcuno potrà affermare che la comunità cristiana primitiva aveva un carattere “comunistico” e che l’anelito alla società libera e giusta ha attraversato i secoli e  essa deve sopravvivere come “idea regolativa” della ragione pratica trascendentale, come kantiana prospettiva del “dover essere” corretta dall’hegeliano “necessario svolgimento dell’Idea”. Però riguardo alla filosofia il sottoscritto – fra le tante differenze che ci possono essere nella valutazione e visione di questa disciplina tra noi – condivide con gli altri membri del blog un assunto fondamentale: esiste un campo a carattere sostanzialmente  scientifico, anche se epistemologicamente controverso, occupato dalle scienze politiche, geografiche e geopolitiche che prescinde totalmente da quanto la filosofia politica tradizionale e moderna propone. La teoria della società e della politica deve mantenere e sviluppare un carattere scientifico e la filosofia deve arretrare per conservare un suo ambito autentico di competenza, che storicamente si riduce ma che rimane comunque sconfinato. In questo senso l’ipotesi teorica del conflitto strategico per la supremazia nella lotta tra potenze (statuali) all’interno della formazione sociale globale (mondiale) capitalistica prescinde da qualsiasi riferimento a principi morali, al bene comune come finalità da perseguire e altre pie aspirazioni prive di “realismo” e di qualsiasi capacità esplicativa e interpretativa. L’idea di un governo mondiale che porti alla pace e alla concordia non è quindi nemmeno criticabile scientificamente, perché privo di qualsiasi elemento che lo possa rendere fenomenicamente realizzabile e persino concretamente pensabile. Da parte di una istituzione come la Chiesa cattolica l’auspicio di una “Autorità pubblica a competenza universale” mi sembra voler riproporre uno schema analogo a quello medioevale, con le dovute differenze: se questa “Autorità” fosse possibile la Chiesa avrebbe  l’obiettivo di diventare il sole spirituale complementare a quello temporale-politico in una prospettiva universale e globale.

<<Cesare pertanto usi verso Pietro di quella reverenza che il figlio primogenito deve usare verso il padre, affinché, illuminato dalla luce della grazia paterna, possa illuminare con maggior efficacia la terra, al cui governo è stato preposto solo da Colui che è il reggitore di tutte le cose spirituali e temporali>>. Dante Alighieri – De Monarchia

Forse in un altro intervento potrebbe essere, però, utile approfondire i temi del diritto cosmopolitico e della federazione degli Stati nella prospettiva kantiana in connessione con l’attuale condizione di quella entità ibrida che è l’Unione europea socialmente, politicamente ed economicamente  perniciosa e inefficace e incapace di decidere se essere uno Stato federale, una federazione di Stati o altro.

Mauro T. 04.11.2012