CI INFORMANO, MA SEMPRE CON AMBIGUITA’, di GLG, 30 nov 13

gianfranco

http://www.ilgiornale.it/news/interni/urss-kissinger-massoneria-ecco-i-misteri-napolitano-971870.html

Probabilmente il libro di cui si parla in questo articolo è di un certo interesse. Tuttavia, non si sfugge alla sensazione di essere sempre informati in modo parziale e tutto sommato insufficiente a farsi una reale idea della storia del nostro paese negli ultimi decenni; o addirittura dal dopoguerra. Non so se si tratti di effettiva non conoscenza dei fatti riguardanti il Pci e i suoi dirigenti o, invece, della volontà di tacere i più eclatanti e significativi. A volte sembra che si avanzino alcune supposizioni (“quasi” esatte, quella quasi esattezza che consente di celare la verità) per sottintendere che si potrebbe dire molto di più; per cui conviene a chi ne è fatto oggetto correre in qualche modo ai ripari “corrispondendo” alle effettive intenzioni degli autori del testo “quasi informativo”.
E’ del tutto logico che si sorvoli sul problema dei natali del “Personaggio” protagonista (involontario) del libro; non sono mai sicuri e poi è inutile fare pettegolezzi, per di più pericolosi vista la suscettibilità di costui (Di Vittorio credo ne abbia saputo qualcosa all’epoca dei fatti d’Ungheria). Tuttavia, Napolitano fu nel Pci, “idealmente”, prima Ministro degli Interni (o di Polizia, come si preferisce), poi degli Esteri. Tuttavia, non tenne rapporti con Urss e Usa contemporaneamente o quasi. Negli anni ’50 e parte ’60 (ad es., appunto, nel ’56 quando ci fu l’Ungheria), era soprattutto in contatti con l’est (almeno ufficialmente, perché non è del tutto chiaro il suo avvicinamento al Pci né il motivo più vero per cui Togliatti lo accettò, immagino con lungimiranza e forse ben sapendo come poi sarebbe potuto divenire molto utile). A partire dagli anni ’70 (fin dall’inizio-inizio) si spostò con rapidità dalla corrente “migliorista” (amendoliana), appoggiando Berlinguer alla segreteria (presa nel 1972 dopo tre anni di vicesegreteria). Di fatto, quindi, abbandonò quella corrente che noi, “antirevisionisti” un po’ “ingenui”, credevamo ormai padrona del partito e intenzionata a farlo divenire socialdemocratico (ma sempre tenendosi, sia pure molto criticamente, più vicino all’Urss che agli Usa). Invece, il Pci (la sua direzione ormai definitivamente installatasi) iniziò – con molta furbizia e dietro il mascheramento della lotta per la “questione morale”, una delle più misere meschinità della tradizionale ipocrisia e trasformismo italiani – il cambiamento di campo e di “casacca”. Da quel momento, il personaggio in questione fu in sostanza filo-Usa e ambasciatore dei vertici del partito in quella direzione (viaggio del 1978 ecc.). Non lo capimmo subito (pur se io ebbi l’occasione per saperlo, ma fui confuso e ci arrivai qualche anno dopo, comunque un bel po’ prima degli eventi storicamente decisivi del 1989-91). E anche la concomitanza con il rapimento, ecc. di Moro va ritenuto, per prudenza, “del tutto casuale” (e così pure sorvoliamo su possibili supposizioni intorno a quanto stava scritto nelle carte che il diccì teneva in borsa e mai più ritrovate, almeno non quelle fondamentali). Quando si verificherà il “mutamento comune” – come per ogni mortale – magari si potrà fare qualche supposizione in più. In ogni caso, se il libro contiene ciò che l’articolo riporta (per sommi capi), mi sento di avanzare riserve sulla completezza delle informazioni che ci fornisce. Il “Nostro” ha fatto molto di più (e di “meglio”) di quanto colà scritto. Non so perché, ma mi ricorda l’8 settembre dei Savoia, che ha “salvato” l’Italia dalle grinfie del nazismo per consegnarla alla “grande democrazia” dei “liberatori” d’oltreatlantico, lasciando il paese nella più totale confusione, senza guida né direttive di alcun genere (vedersi il gran bel film di Comencini “Tutti a casa”, perfetta rappresentazione di quanto avvenne per merito di “gente per bene” in grado di imitare Fregoli). Parafrasando la famosissima frase pronunciata fa Humphrey Bogart in “L’ultima minaccia” (Richard Brooks, 1952), non ci resta che concludere mestamente: “E’ l’Italia, bellezza!”.