CI STIAMO AUTOFLAGELLANDO di G.P.
Noi italiani temiamo così tanto il giudizio degli altri da farci prendere da un'assurda ansia prestazionale ogni qual volta ci vediamo puntati i fari addosso, cosa che immancabilmente ci porta alla figuraccia anche laddove non sarebbe il caso di preoccuparsi o vergognarsi di alcunché.
Questo atteggiamento alimenta un circolo vizioso che fa risaltare le nostre tare e i nostri vizi agli occhi degli stranieri i quali ci deridono alle spalle. E se costoro non si erano accorti di nulla arriviamo perfino a sbracciarci come naufraghi disperati finiti su un'isola deserta con l'intento di segnalare ogni nostro difetto, cosicché i dubbi sulla maldestrezza o inettitudine nostrana possano trasformarsi in certezze. Per questo all'estero ci hanno preso gusto a far risaltare i nostri problemi, un po' per coprire i propri che non sono da meno, un po' per dipingerci ancor più incapaci ed inetti di quello che in realtà siamo. E' sufficiente che qualche giornale straniero batta una notizia su un evento casalingo più o meno ridicolo, grottesco o scandaloso che immediatamente i quotidiani peninsulari, soprattutto di sponda sinistrorsa, riprendano il fatto aggiungendovi dosi massicce di outing per aumentare il senso di depressione popolare e la disistima che il Paese nutre nei suoi stessi confronti. Se di mezzo c'è poi il bunga bunga è un vero e proprio invito a nozze poiché si può attribuire la completa corrosione dello spirito pubblico italico ad una sola persona che incarna tutto il male di questa parte di mondo. Ma il maligno soggettivizzato resta pur sempre una proiezione fantasmagorica di una decadenza oggettiva e generalizzata di fronte alla quale nessuno è innocente. Di questo dobbiamo innanzitutto ringraziare quei tromboni di una certaqualkultura di sinistra che per ogni minima disfunzione interna invocano il giudizio universale sul Paese dal quale ovviamente preferiscono andar via piuttosto che essere compartecipi della sua inesorabile degenerazione. Tuttavia, se non si è parte della soluzione, come diceva Malcolm X, si è parte del problema. Ed infatti il fantomatico e inconseguente espatrio liberatorio resta una pia invocazione che non viene mai doverosamente praticata, tanto che questi illuminati chiacchieroni ce li ritroviamo sempre tra i piedi a farci la predica e ad accusarci indebitamente di grettezza e provincialismo. Questo è il triste mestiere da iettatori grazie al quale lorsignori fanno denari ed ottengono fama, figurarsi se vi possano rinunciare volontariamente. Un ultimo episodio che ha illuminato a giorno siffatto autolesionismo patrio ha riguardato la vicenda Battisti, l'ex esponente dei Pac rifugiatosi in Brasile dopo anni di latitanza in Francia. Qualcuno ha aizzato la pubblica opinione e l'ha spinta a sollevarsi per reclamare la restituzione di un poco di buono accusato di aver compiuto alcuni omicidi negli anni '70, tra Milano e Mestre, in nome della rivoluzione proletaria. Sono avvenimenti vecchi sui quali non v'è ancora chiarezza ma fatto sta che sono partite missive di cittadini, organizzazioni e Istituzioni indirizzate alle autorità carioca per rivendicare l'estradizione di un criminale sfuggito troppe volte alla giustizia nazionale. Una vera e propria sciocchezza alla luce di alcuni retroscena che i nostri governanti conoscevano fin troppo bene. Abbiamo dato rifugio ad un bancarottiere di quei lidi che loro reclamavano da lunga pezza e non abbiamo mosso un dito per sciogliere alcuni comportamenti di Telecom in Brasile, in particolare in quella storia di superfatturazioni imposte alla controllata brasiliana da parte della compagnia italiana per l'acquisto di un'altra società telefonica, la CRT. In quell'occasione si volatilizzarono centinaia di mln di dollari, come riporta Giacalone su Libero, ma nonostante le denunce dei cittadini sudamericani alla magistratura milanese, nessuno ha mosso un dito per loro. Capiamo bene che con questi presupposti non avevamo alcun diritto di fare la voce grossa e di trattare il Governo di Brasilia come una tribù di indigeni con l'orecchino al naso che passa il tempo a ballare la samba. Inevitabile che da laggiù si facessero beffe di noi colpendoci proprio laddove siamo più sensibili, almeno da qualche decennio a questa parte. Ovvero, Battisti non ce lo ridanno perché la nostra giustizia non è seria né imparziale. Quale giustizia ed in quale luogo lo è? Ma come dargli torto dato che siamo proprio noi a rinfacciarcelo ogni giorno sui giornali, in televisione e pure in parlamento? Ebbene ecco come si conquista un'ennesima figura di merda internazionale agendo da novellini della diplomazia. Davvero non ce n'era bisogno perché il nostro Paese stava già provvedendo a risarcire il Brasile dei torti procuratigli proprio mentre fingeva di voler rimettere in causa le relazioni economiche con la presidenza di Dilma Rousseff. “Stranamente”, si fa per dire, Alitalia stava assegnando una commessa da 1,5 mld di dollari a Embraer per l'acquisto di venti jet destinati alle rotte brevi. La società brasiliana ha scalzato la concorrenza di Finmeccanica e Sukhoi con apparecchi più costosi e meno efficienti di quelli prodotti dalla joint-venture italo-russa. Commercialmente una scelta incomprensibile, politicamente un atto di distensione che serve a recuperare la benevolenza dello Stato carioca il quale può aprirci le porte di uno dei mercati più attivi ed in crescita del momento. Eravamo messi bene in Brasile ma adesso perdiamo terreno e la nostra presenza industriale tende alla decrescita a causa di comportamenti non del tutto saggi. Per vivere meglio e guadagnare di più dobbiamo imparare a tenere un profilo più basso. Soprattutto, dobbiamo smettere di autoflaggellarci per non far passare l'idea che essendo abituati alle percosse siamo disposti ad incassarle da tutti. Che tutto ciò ci serva di lezione per il futuro.