COME AL SOLITO di Giellegi

Qualcuno teme, ma io oserei dire che ne sono quasi sicuro, che le cose andranno come al solito in Palestina. I leader arabi “radicali” strepitano, ma non mi sembra abbiano l’intenzione, o la possibilità, di fare gran che (comunque, credo che anche l’intenzione non sia così forte come viene gridata). Sono poi piuttosto convinto della necessità di analisi condotte con realismo. Non a caso, sia pure con difficoltà data la situazione così arretrata esistente nel nostro paese, mi sforzo da tempo di pensare a possibili “alleanze impure” o a costituzione di blocchi sociali (per il momento assai lontani dal formarsi), che non sono esattamente quanto in realtà risponde ai miei “sentimenti”. Si tratta, come suol dirsi, di “far di necessità virtù”.

Starei però attento a non arrivare quasi a giustificare Israele con la scusa della “politica di potenza”, quindi della “realpolitik”, scomodando magari Machiavelli (che, per quanto ne ho letto, non penso avrebbe mai approvato stermini generalizzati). Se giustifichiamo la “politica di potenza”, dovremmo allora farlo anche per la Germania anni ‘30 (fra l’altro eccessivamente umiliata e schiacciata dopo la sconfitta nella Grande Guerra), almeno per le operazioni tipo annessione dell’Austria, invasione e spartizione della Polonia, e via dicendo; e non so se simile giustificazione sia ammissibile. In ogni caso, mai le abboneremmo gli eccidi di massa. Che tutta la storia sia costellata di questi ultimi, non è una buona ragione per far tacere la nostra indignazione e per non odiare i massacratori. Soprattutto quando si trincerano ipocritamente dietro le persecuzioni terribili subite in passato; cosa che avrebbe dovuto insegnare loro un ben diverso comportamento, non certo l’imitazione dei loro persecutori nell’opprimere e “assassinare” un altro popolo.

Del resto, pur non credendo che gli eventi evolveranno in questa direzione catastrofica, proviamo a pensare a tragedie non poi lontanissime nel tempo, e frutto della nostra (in)civiltà, quali lo sterminio degli indiani d’America, delle civiltà “precolombiane”, e tanti altri che non si saprebbe dove cominciare né dove finire. Difficile non comprendere che si è trattato di eventi pressoché inevitabili, tenuto conto però non della semplice “politica di potenza” ma anche di un “soprappiù” molto specifico degli “esseri umani”. Tuttavia, ci si vuol impedire una qualsiasi indignazione, ci si chiede di accettare tutto con olimpica serenità? Mi dispiace, ma ripudio con forza tale atteggiamento. Dobbiamo certo ragionare, ma non si pretenda di far credere che sia esclusivamente necessario sfoggiare un razionale (e cinico) realismo. Non si vinceranno mai battaglie, anche giuste, semplicemente con “er core”; con la sola testa, però, arriveremo sempre a giustificare e sopportare le peggiori soperchierie, sopraffazioni, il vile servaggio. Non saremmo uomini, ma poco più che vermi (e pure il “poco più” è in forse).

 

                                               *****

 

Vogliamo comunque ragionare? Benissimo, e allora facciamolo sul serio e senza sconti per gli assassini e i loro complici (di vario ordine e grado). Ho già citato Haaretz (giornale israeliano); oggi comunque pure sui nostri meschini giornali si scrive apertamente che Barak (ministro della Difesa) aveva in preparazione da almeno sei mesi il progetto di eliminare (si badi bene: non solo rovesciare il potere di) Hamas. Quindi, particolare schifo suscitano le dichiarazioni di personaggi come Abu Mazen e Mubarak quando dichiarano che “si poteva evitare il massacro con il dialogo”. Basta con le panzane!

Israele agisce sia in proprio sia come longa manus degli Usa, in declino quale paese specificamente “imperiale”, ma comunque teso a ritardare il più possibile tale processo; e con la speranza (a mio avviso vana ma sul lungo periodo) di poter risalire la china. L’entourage di Obama ha già fatto capire la “comprensione” di quest’ultimo per l’azione israeliana che mirerebbe alla “sicurezza dei propri cittadini”; colossale ipocrisia, come già appena sopra rilevato. Conosciamo inoltre l’intenzione del nuovo presidente Usa di inviare altri 20.000 soldati in Afghanistan. Per il momento, quindi, non si notano grandi cambiamenti né tattici né strategici nella politica estera del paese centrale. A questo si aggiungano le notizie di continue mene statunitensi in Sud America; in specie, al presente, contro Morales.

In Medio Oriente, non si è così sciocchi da pretendere di far occupare da Israele altri territori; non sarebbe una mossa azzeccata e tale da dare sicurezza. Più utile crearsi una bella cintura di paesi con Governi succubi. In Palestina, si deve eliminare Hamas per sostituirla con Al Fatah e il suo governo “Quisling”. Poi vi sono l’Egitto, la Giordania, l’Arabia saudita e via dicendo. Ascoltando le dichiarazioni, dure solo a parole, del presidente iraniano, del governo siriano, del capo degli Hezbollah, si capisce bene che il momento è favorevole per imporre, non per sempre, una pax americo-israeliana, eretta su un bel cumulo di morti; così da impartire la “solita lezione” dei “colonialisti” di tutti i tempi. Le nuove potenze in crescita, tipo Cina e Russia, fanno appunto i loro giochi di potenze in crescita; anch’esse si limitano a sostenere che Israele deve cessare le ostilità, ma sono dichiarazioni “a futura memoria”, per quando avranno una forza tale da entrare in conflitto più acuto e ravvicinato con la politica “imperiale” statunitense (logicamente per i propri interessi, non per amore dei popoli oppressi).

Parlare dell’Europa è “imbarazzante”, dato che i servi sollecitano sempre particolare disgusto. La Germania si è schierata toto corde con Israele, senza nemmeno un minimo distinguo. Le dichiarazioni, udite ieri al TG3, di Frattini e di Fassino (ministro degli esteri ombra; mai termine fu più appropriato) erano penose oltre che ricalcate perfettamente l’una sull’altra: bisogna riportare la pace, gli israeliani fermino le loro operazioni, ma soprattutto Hamas la smetta di provocare con i suoi missili (che finora hanno ammazzato tre israeliani; e tutti dopo l’aggressione assassina). Anche se va riconosciuto, per pura esattezza di cronaca, che nel dibattito parlamentare odierno, la sinistra ha operato un minimo di distinguo, mentre la destra (e la vergognosa An in primo piano) si è appiattita totalmente sull’aggressione israeliana. Mi piace, tuttavia, ricordare brevemente un precedente storico.

Nel 1914, mentre le maggiori potenze capitalistiche – in un’epoca di autentico policentrismo imperialistico – si scatenavano nel primo grande macello mondiale, la maggioranza delle socialdemocrazie abiurò gli impegni presi contro la guerra al Congresso straordinario dell’Internazionale a Basilea (1912), diventando patriottica e guerrafondaia. Alcune minoranze continuarono ad agitare il pacifismo, a battersi contro la guerra (ormai iniziata), soltanto per mettersi a posto la coscienza. In pochi mesi, questi pacifisti – irritanti come sempre lo sono gli ipocriti – tacquero e si adattarono, certamente con il “cuore che sanguinava”, agli eventi delittuosi provocati dalle varie “borghesie”. Solo le frazioni già di fatto comuniste – ed è per questo che, pur considerando finita una certa fase storica e tale movimento, continuerò ad elogiare la loro lucidità d’analisi e la loro prassi politica netta e dura – presero atto che la via non aveva più ritorno e lavorarono per la “trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione”. Grandi quei comunisti; rinnegati, nella loro essenza più profonda, i socialdemocratici guerrafondai, ipocriti e pilateschi quelli pacifisti.

La situazione odierna è profondamente diversa. Come ben si sa, sono convinto (ci scommetto) che siamo entrati in una nuova epoca che evolverà verso il policentrismo; non ci siamo però ancora, anzi ne siamo abbastanza lontani, e l’evoluzione non sarà lineare e scorrevole. Per questo, a mio avviso, è necessario mantenere una certa lucidità e perfino disincanto; senza affatto rinunciare però alle proprie scelte (anche, ma non solo, morali), e dunque condannando senza mezzi termini gli eccidi degli Usa e di Israele. Credo di interpretare pure i sentimenti degli altri redattori del blog, dicendo che aderiamo senza esitazioni alle manifestazioni di protesta contro l’imperialismo americano e il sionismo. L’importante è non farsi illusioni. La sordità e piattezza delle popolazioni dei capitalismi avanzati sono di alta levatura; chi protesta sarà a lungo ultraminoritario, in specie nell’attuale situazione di crisi, prima finanziaria e ora dell’economia “reale”.

Le potenze in crescita, oltre ad attraversare momenti di difficoltà nell’attuale contingenza internazionale di crisi, non sono interessate ad accentuare oltre certi limiti il conflitto con la potenza tuttora centrale, di cui in definitiva Israele è un braccio armato, e per il momento di particolare rilevanza. Va da sé che i gruppi dominanti in ogni potenza oggi esistente non sono interessate, come mai lo sono state, alle sorti dei “popoli”; solo il conflitto compiutamente policentrico potrà aprire varchi a questi ultimi nei loro movimenti effettivamente radicali, in grado di rovesciare il precedente assetto dei rapporti di forza a livello geopolitico. Del resto, ho scritto “popoli” tra virgolette, perché al loro interno esiste pur sempre una più o meno complessa stratificazione sociale; vi sono quindi gruppi di vertice, la cui unità d’azione, ai fini della lotta contro la dominazione esterna (“imperialistica” nei termini tradizionali), è sempre problematica. Tale lotta raggiunge quindi difficilmente la massa critica necessaria a sconfiggere il dominante esterno. Rari sono poi nella storia i momenti in cui si saldano, o comunque si intrecciano strettamente, la rivolta contro i dominanti interni e la “guerra di liberazione” contro gli oppressori esterni di tipo imperialistico; momenti cruciali per effettive svolte rivoluzionarie.

 

                                               *****

 

Congiunture del genere mi sembrano francamente piuttosto lontane. Per di più, appare anche problematica la riorganizzazione di forze politiche che si pongano come rappresentanti dei dominati, mantenendo una loro forte autonomia pur nell’ambito di adeguate tattiche capaci di tener conto della situazione assai lontana dall’essere “rivoluzionaria”. Le vecchie forze, che furono autonome e rivoluzionarie nella precedente epoca policentrica, non riescono a liberarsi del loro passato ormai fallimentare, sia dal punto di vista della prassi sia da quello della teoria che illuminava quest’ultima. Esse insistono nel voler ricostituirsi partendo da se stesse, dalla loro ultrasecolare decrepitezza; e, come capita ai corpi vecchi, si guastano e inceppano sempre più, il loro cervello si cristallizza nei nostalgici ricordi del passato, le loro articolazioni si irrigidiscono, si ossificano e infine si spezzano in frammenti.

Al momento è possibile osservare la dissoluzione di ciò che è vecchio e superato, ma non certo indicare con temeraria sicurezza il preciso percorso per ricostituire una nuova teoria ed una nuova prassi. Si ricominci con il liberarsi delle stantie abitudini di pensiero, e si valuti quale movimento appare più incisivo e capace di provocare il cambiamento del mondo in cui viviamo adesso, scrollandosi di dosso la mania di precorrere il futuro più lontano. Stiamo senz’altro dalla parte dei dominati, degli oppressi, ma soppesiamo le possibilità della loro riscossa, oggi invero molto scarse poiché i conflitti tra coloro che possiedono la vera potenza – non quella delle chiacchiere, delle urla e strepiti, dei buoni sentimenti di giustizia, dell’altrettanto giusta (e da non soffocare!) indignazione di fronte alle sopraffazioni assassine di chi domina con ferocia – non sono per nulla maturati al punto da produrre gravi urti in grado di sprigionare l’energia necessaria al verificarsi dei “grandi terremoti” storici.

Sussiste la predominanza di una data potenza (Usa) che è in pratica tutt’uno con questo Stato di feroci aggressori (Israele). Le potenze che stanno crescendo, lo fanno nell’ambito del solito sviluppo ineguale, con mosse giuste e altre sbagliate, con strategie a volte indovinate e a volte assai meno. A occhio e croce, mi sembra che la più efficace sia al momento la Russia perché, conscia che l’economia è solo strumento della potenza e non sua “causa efficiente”, usa metodi di accrescimento della sua forza partendo da un ben individuato “centro” – il vertice da cui promana la direzione politica dell’insieme, vertice da preservare dalle crepe e disunioni della sedicente “democrazia liberale”, una falsa democrazia fatta solo di ricerca di consenso elettorale, ottenuto con i mezzi della corruzione e della suddivisione dei segmenti e strati sociali in tante “clientele” e “clan” – per gradualmente allargarsi in cerchi che investono in primo luogo le “vicinanze”, anche in senso geografico (ma non solo ovviamente).

Questo è il giusto modo di aumentare la propria potenza senza cadere nel miraggio (creato dall’ideologia capitalistica) dell’economia, e del mercato, come elementi decisivi per una (“virtuosa”) competizione vincente. Sbaglierò e tuttavia la Cina mi sembra essere meno lucida; pur essa preserva la sua unità d’azione (centrale), credendo troppo nell’economia e nella forza dell’attività finanziaria – mediante la quale si è abbastanza invischiata con quella americana – e della produzione, puntando all’esportazione di prodotti non certo strategici (tipo gas e petrolio), bensì semplicemente a basso prezzo per i vantaggi in termini di mano d’opera con salari molto bassi (che cominciano ad essere rialzati per necessità comprensibili; e così i vantaggi diminuiscono).

In ogni caso, le potenze in competizione con gli Usa hanno ancora tanto cammino da compiere prima di instaurare una piena situazione di policentrismo, senza la quale a me pare assai improbabile che i “tuoni e fulmini” (parolai), lanciati da chi pretende di rappresentare i dominati, abbiano qualche effetto diverso da quello di “morire con orgoglio e coraggio” per mano del nemico. Senza affatto affidare, come fanno i vecchi rigurgiti marxisti, alla crisi economica alcun ruolo di “Demiurgo”, i prossimi due-tre anni forniranno comunque qualche indicazione circa gli indirizzi presi dal probabile mutamento dei rapporti di forza a livello geopolitico, in specie per quanto concerne quelli intercorrenti tra le formazioni particolari in via di crescita a nuove potenze. Afferrare queste indicazioni è il compito principale che ci si deve prefiggere, pur senza minimamente nascondere la propria indignazione e odio per tutte le soperchierie che, sempre più di frequente, compiranno i “potenti”. La lucidità d’analisi non nasconda il mero disinteresse per chi subisce gli effetti omicidi della criminale ferocia di aggressori del tipo degli israeliani; senza, per favore, nessuna scusante per il popolo ebraico cui, in altre epoche storiche, doveva andare tutto l’appoggio possibile contro esecrabili persecuzioni, ma che oggi merita l’infinito sdegno di chi ha ancora un minimo di coscienza.

In ogni caso, ricordo che non si tratta solo di una questione morale. Anche politicamente, chi mira alla ricostituzione di autonomi organismi di lotta dei dominati non può che porsi radicalmente contro il duo Usa-Israele, al fine di spianare la via al policentrismo. Ogni sconfitta di questo perfido duo – e nei prossimi anni sarà necessaria la forte azione, per null’affatto disinteressata, delle potenze in crescita al fine di ridurre la sua influenza nel mondo – sarà un passo avanti verso una fase storica, mai eguale ma non troppo dissimile da quella che ha consentito le rivoluzioni novecentesche. C’è un ultimo punto su cui tornerò ancora in futuro: basta con il mettersi la coscienza a posto, dimostrandosi tanto democratici e “sensati” da predicare (nel deserto) la necessità dei “due Stati”, che vivano in reciproca pace eterna.

Chi pensa questo è esattamente eguale ai “pacifisti” che, a Grande Guerra scoppiata, continuavano ipocritamente a volere la pace. Non v’è alcuna pace possibile. Le alternative sono soltanto due. Innanzitutto, quella assai più probabile per i prossimi anni: uno Stato palestinese, in cui i Quisling di Al Fatah – sotto tutela israeliana e con puramente fittizia giurisdizione sui territori “benevolmente” assegnati – prenderanno il posto lasciato vacante dai massacrati di Hamas, con l’appoggio dei governi arabi conniventi (che sono tanti), con il mugugno o anche l’avversità aperta e irriducibile di altri (e della maggioranza della popolazione araba), che tuttavia dovranno attrezzarsi per tempi lunghi; e dovranno trovare chi fornisce loro mezzi offensivi ben più micidiali degli attuali. Solo se e quando fosse mutata radicalmente la configurazione geopolitica mondiale, e gli Usa venissero più apertamente ed efficacemente contrastati da altre potenze, Israele o verrà abbandonata (e sommersa) o resterà come poco più di una “espressione geografica”, con una popolazione “disarmata” e costretta a vivere in pace; quindi sotto ampio controllo (non certo “internazionale”, di organismi truffaldini come l’ONU) e in una posizione di sostanziale subordinazione ai controllori.

I discorsi dei “benpensanti”, che si comportano semplicemente alla guisa di Ponzio Pilato, stancano chi ama la sincerità e la nettezza di posizioni. E’ certo questione di tempo, ma siamo finalmente avviati verso la chiarezza. Ero a quei tempi bambino, ma ricordo egualmente il severo carattere degli anni 1943-45: chi cercava di stare in mezzo, di godersi una impossibile tranquillità lavandosene le mani, era preso tra due fuochi, doveva alla fine scegliere (altrimenti qualcun altro sceglieva, ed erano guai per lui). Quando quel momento arriverà, la Storia prenderà un altro indirizzo; la palude attuale sarà bonificata (mai certo totalmente, lo si sa!) dalle ipocrisie e dai “buoni sentimenti” del conformismo imperante (che oggi è il politically correct del finto e artificioso anticonformismo dei “sinistri”).

 

PS Il delegato dell’ONU, intervistato alla BBC (se non sbaglio catena televisiva, ma poco importa) ha parlato senza mezzi termini di “scioccanti atrocità israeliane” (ripeto: scioccanti atrocità) e di uso di nuove “armi moderne contro la popolazione civile” (ripeto: popolazione civile). Così i “benpensanti” – i nuovi moderati e “sensati” pacifisti, che ricordano quelli del 1914 – sono serviti nella loro “smagliante” atonia. Per il momento, possono esimersi dallo scegliere, siamo certamente lontani da un “1943-45”. Tuttavia, non li invidio.