COME E’ BUONO LEI … PROFESSOR ZINGALES
Appena arrivato a casa mi è capitato di leggere un articolo del famoso economista Luigi Zingales. Ad un certo punto sono stato preso dal torpore e non so se mi sono addormentato e ho cominciato a sognare o se mi sono inventato tutto in una specie di dormiveglia. Mi sembrava di essere il simpatico Giandomenico Fracchia che aveva ottenuto, per chi sa quale motivo, di ricevere udienza proprio presso l’esimio professore. Naturalmente dopo che la segretaria, con aria un po’ snob, mi ebbe annunciato che potevo entrare io mi avvicinai tutto tremante alla porta e la aprii. Mi approssimai all’enorme scrivania del luminare e mi sedetti, ovviamente, sulla consueta poltrona a sacco. Cercando di non scivolare all’indietro volsi lo sguardo in direzione del professore, che sembrava fissarmi, attraverso gli occhiali, con uno sguardo allo stesso tempo severo e penetrante ma non aggressivo come invece, di solito, era quello dello scalmanato direttore costruito ad immagine e somiglianza del grande Gianni Agus. Tenevo in mano il ritaglio di giornale relativo all’articolo di Zingales e visto che lui continuava a fissarmi io provai a cominciare, balbettando, a parlare:
<< Eccellenza, eminenza, santità, cioè … mi scusi … io avrei letto questo suo articolo e devo dire che lei ha proprio ragione; a questo referendum avevo già deciso di non andare a votare ma le sue parole mi hanno illuminato e mi hanno fatto capire tutto molto meglio. Posso leggere quello che mi ha più colpito ?>>
Il professore, forse, annuì impercettibilmente e io (cioè Fracchia) mi feci coraggio preparandomi a leggere le frasi che avevo trovato più interessanti ma non prima di aver, tutto contento, confermato di avere compreso, come avevo già avevo sentito dire da un amico, che non si vota su nuovi pozzi petroliferi, sul dilemma energia fossile o alternativa, né tantomeno sul giacimento di Tempa Rossa. E che, inoltre, non si vota neppure sulle trivelle. Si vota semplicemente per decidere se abrogare il rinnovo automatico delle concessioni sui pozzi già esistenti che sono localizzati entro le 12 miglia dalla nostra costa. Poi cominciai a leggere:
<< se il beneficio dell’estrazione di gas e petrolio è superiore ai costi (anche quelli imposti all’ambiente), l’estrazione continuerà sia che il referendum passi o che non passi. Viceversa se i costi per la comunità sono superiori ai benefici derivanti dall’estrazione, l’estrazione sarà sospesa sia che vinca il Sì o che vinca il No. L’unica differenza è chi si appropria del surplus. L’idea è molto semplice. Se la società concessionaria dei pozzi guadagna molto da un pozzo, sarà disposta a pagare la concessione fino all’intero valore del pozzo. Se questo valore è superiore alla somma dei costi imposti alla comunità dall’estrazione, il concessionario troverà sempre profittevole pagare per la concessione e continuare ad estrarre. Viceversa se la concessione viene automaticamente rinnovata, ma i danni imposti alla comunità sono superiori al valore del petrolio estratto, sarà la Regione a pagare il concessionario per bloccare l’estrazione e, dato che i costi sono superiori ai benefici, per evitare i costi ambientali la Regione sarà disposta a pagare abbastanza da compensare adeguatamente il concessionario. Il referendum è allora assolutamente inutile? No. La decisione influenzerà chi deve pagare chi. La vittoria del Sì costringerà i concessionari a pagare le Regioni per estrarre più combustibile fossile, mentre con la vittoria del No saranno le Regioni a dover pagare le società petrolifere per smettere di estrarre. La vostra decisione di voto, quindi, dipenderà da quale allocazione del surplus riteniate preferibile>>.
Questo “gioco” che apparentemente vede una contrapposizione tra “pubblico” e “privato” è, in realtà, osai dire all’esimio economista, una questione che riguarda gruppi di interesse che non conosco e rispetto ai quali non mi pare opportuno prendere posizione. Il ragionamento che non mi fa parteggiare né per i privati investitori né per un ente, la Regione, che pretenderebbe di rappresentare le istanze della collettività era nato in me dopo aver letto alcuni testi di un certo La Grassa. Così, riassumendo, si espresse Fracchia rivolto a Zingales. Ma Giandomenico, preso da una assurda presunzione, si permise di chiedere chiarimenti al professore su una questione che un piccolo impiegato come lui non dovrebbe mai permettersi di considerare. Zingales aveva, infatti, scritto che
<< è utile ricordare il teorema di Ronald Coase (1910-2013), che valse nel 1991 il premio Nobel al mio compianto collega. Il teorema recita che – sotto alcune ipotesi – l’allocazione dei diritti di proprietà non influenza l’efficienza economica, ma solo la distribuzione del reddito>>.
In seguito alla supplica espressa da Fracchia allo scopo di ricevere chiarimenti il professore intervenne in maniera sorprendentemente bonaria spiegando che la teoria dei costi di transazione implica la possibilità che gli stessi siano tali da impedire qualsiasi negoziazione tra le parti. In questo caso, l’esito referendario non avrà solo effetti redistributivi, ma può influire anche sull’efficienza del risultato finale. In particolare, se pensate che la ricchezza prodotta dai pozzi ecceda il danno ambientale, allora il rinnovo automatico delle concessioni – che assicura che l’estrazione continui – è auspicabile e dovete votare No. Se invece pensate che il danno ambientale – per esempio la subsidenza del fondale che porta ad un’erosione delle coste – ecceda i benefici, allora dovete votare Sì. Ma ovviamente se siete per il No conviene astenersi. Però, realisticamente, concluse l’economista, è più logico considerare che i costi di transazione non sono nulli, ma neanche infiniti. Per di più non sono neppure uguali tra le parti. Quindi, con alcuni passaggi, si può effettuare comunque una scelta ragionevole che dipenderà sempre in ultima istanza da una valutazione tecnica ottenuta confrontando e ponderando i possibili danni ambientali con i rendimenti attesi dall’estrazione di gas e petrolio. Ma l’umile impiegato non era ancora soddisfatto, tanto che si permise di affermare di non capire come sia possibile che “l’allocazione dei diritti di proprietà” non influenzi “l’efficienza economica”. Ma la proprietà, o come dicevano alcuni, il potere di disposizione dei mezzi di produzione e di scambio non era risultato decisivo in Urss? Una proprietà statale con una centralizzazione di tutte le istanze di regolazione dell’economia e una pianificazione integrale, per quanto possibile, degli scambi e del funzionamento delle imprese, comprese quelle creditizie e finanziarie, non aveva portato il cosiddetto “socialismo reale” allo sfacelo? A questo punto accadde un fatto imprevisto perché la mia “aura psichica” da Fracchia si trasferì al professore così che senza più alcun riferimento all’articolo io e lui assieme cominciammo a citare Coase come un medium in catalessi. Ecco la prima citazione tratta da La natura dell’impresa:
<<Si può riassumere questa parte del ragionamento dicendo che il funzionamento di un mercato ha un costo e che, creando un’organizzazione e permettendo a una certa autorità (un “imprenditore”) di allocare le risorse, vengono risparmiati i costi del mercato. L’imprenditore deve svolgere la sua funzione a un costo più basso di quello che nasce dal ricorso al mercato, perché qualora egli non possa ottenere i fattori di produzione a un prezzo minore rispetto alle transazioni di mercato, è sempre possibile tornare a farvi ricorso>>.
Coase dopo una breve pausa continuò a parlare attraverso di noi:
<<… perché, se con l’organizzazione si possono eliminare certi costi e nei fatti ridurre il costo di produzione, si osservano ancora delle transazioni sul mercato? Perché una sola grande impresa non realizza tutta la produzione?>>.
Risposta:
<<Primo, quando un’ impresa si ingrandisce, ci possono essere rendimenti decrescenti della funzione imprenditoriale, cioè il costo di organizzare ulteriori transazioni all’interno dell’impresa può salire.[…] Secondo, può essere che, quando le transazioni organizzate aumentano, l’imprenditore non si riveli in grado di collocare i fattori di produzione agli usi dove il loro valore è maggiore, cioè fallisca nel compito di fare il miglior uso dei fattori di produzione. Ancora, si deve raggiungere un punto in cui la perdita per lo spreco di risorse è uguale ai costi del mercato o alla perdita che si avrebbe se la transazione fosse organizzata da un altro imprenditore. In ultimo, il prezzo di offerta di uno o più fattori di produzione potrebbe aumentare a causa del fatto che “gli altri vantaggi” di una piccola impresa sono maggiori di quelli di una grande impresa (qualche volta si sostiene che il prezzo di offerta del fattore “organizzazione” aumenta con l’aumentare della dimensione dell’impresa perché gli individui prediligono essere capi di un’attività modesta ma indipendente piuttosto che capi dipartimento in una grande impresa). […] Le prime due ragioni corrispondono più probabilmente all’espressione degli economisti: “rendimenti decrescenti dell’attività di management”>>.
A questo punto balzai fuori dal corpo (immaginario) di Zingales e mi vennero in mente alcune idee che pensatori importanti avevano riproposto più volte. Dissi così al professore, mentre Fracchia ormai dormiva, che il dispotismo (di fabbrica) di cui parlava Marx – il quale può essere applicato, in buona misura, anche a quella diversa organizzazione che è l’impresa – si sviluppa e mantiene solo in una condizione sociale di concorrenza e di conflitto generalizzato politico-strategico (nel modo inteso da La Grassa). Un potere statuale autoritario e/o dittatoriale non può sostituire il comando imprenditoriale ( rivolto alla competizione con l’esterno) di cui ha bisogno una organizzazione economico-produttiva per garantire l’efficienza e l’efficacia del lavoro. Come è pure da tener presente ciò che Hayek in qualche modo tiene fermo ovverosia che, fino a prova contraria, la società caratterizzata da un sistema economico coordinato dal meccanismo dei prezzi non è una organizzazione ma un organismo ( non inteso, però, in senso olistico-organicista) nella quale esso regola la destinazione delle risorse, mentre gli individui fanno previsioni e scelgono tra differenti alternative in un campo di “razionalità limitata”. Tutto questo discorso sviluppato da un punto di vista economicistico deve, poi, essere corretto all’interno di una visione più complessiva (e declinata “politicamente”). E se non ho intenzione di paragonare l’”ordine spontaneo inconoscibile” di Hayek al “flusso squilibrante” di La Grassa mi pare comunque necessario ampliare i programmi di ricerca in tutte le direzioni possibili.
Improvvisamente mi sono infine svegliato con un forte mal di testa e mi sono accorto che avevo scritto al computer questo post. Adesso è meglio che vada a dormire.
Mauro Tozzato 12.04.2016