Come smettere di credere ai fantasmi. Critica dello spiritismo di mercato.

Karl-Marx

 

Viviamo sicuramente un momento duro, aggravato dall’arrivo del virus, ma principiato da ben altre cause. Il mondo è in crisi da più di un decennio per lo scoordinamento del sistema globale che si sta disancorando dal suo classico centro regolatore in virtù di dinamiche oggettive multipolaristiche. Alla base di questo sconquasso vi è la lenta fine dell’unilateralismo americano e l’ingresso in una nuova epoca storica in cui vi sono aree o paesi i quali hanno avviato un decoupling dall’influenza statunitense decretante, appunto, l’indebolimento della forza attrattiva di Washington sul planisfero. Quella descritta è ancora solo una tendenza e ci vorranno anni per vedere dispiegati gli intensi effetti di un multipolarismo sostanziale con la ricombinazione delle sfere d’influenza tra attori in crescente competizione. Ma ormai le relazioni (geo)politiche sono destinate a scombinarsi e questo avverrà non senza contraccolpi che modificheranno vieppiù i rapporti di forza mondiali.
Detto ciò, dobbiamo smentire i soliti liberali che di fronte a tanta metamorfosi degli assetti internazionali attribuiscono alla pandemia l’aver causato i danni maggiori ai Paesi, con le conseguenze del caso, tra le quali l’aumento dell’interventismo pubblico per “ristorare” i settori colpiti dalle chiusure coattive (valutati comunque inefficaci), con ricadute che si ripercuoteranno lungo tutta la catena economico-produttiva.
Questo certamente accade ma è proprio un più robusto intervento degli Stati che può trasformare la caduta a precipizio in un volo a planare, valutate le circostanze nefaste. I liberal-liberisti non lo capiscono e preferiscono continuare a fare gli spiritisti sette-ottocenteschi ammanendoci ancora la storiella delle “presenze invisibili” nel mercato in grado riportare l’equilibrio di tutti i fattori economici e produttivi attualmente in depressione. Non è così e la loro cialtronaggine aumenta vistosamente laddove questi soggetti sottovalutano la pericolosità di un virus riscontrabile al microscopio e innalzando a fatto reale l’esistenza di una mano imperscrutabile sfuggente anche ai mezzi astratti della ragione.
Badate bene che come diceva Marx si può sottoporre a metodo scientifico anche ciò che non è verificabile, per sua “natura sociale”, in laboratorio adottando il sistema delle scienze fisiche: “Il fisico osserva i processi naturali nel luogo dove essi si presentano nella forma più pregnante e meno offuscata da influssi perturbatori, oppure, quando è possibile, fa esperimenti in condizioni tali da garantire lo svolgersi del processo allo stato puro. In quest’opera debbo indagare il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono. Fino a questo momento, loro sede classica è l’Inghilterra. Per questa ragione è l’Inghilterra principalmente che serve a illustrare lo svolgimento della mia teoria. Ma nel caso che il lettore tedesco si stringesse farisaicamente nelle spalle a proposito delle condizioni degli operai inglesi dell’industria e dell’agricoltura o si acquietasse ottimisticamente al pensiero che in Germania ci manca ancora molto che le cose vadano così male, gli debbo gridare: de te fabula narratur! (Karl Marx, Il Capitale).
Marx, afferma, per l’appunto, di non voler ricorrere a scorciatoie narrative per indagare la società capitalistica individuando un preciso laboratorio per sperimentare la sua teoria mentre la smithiana mano invisibile è propria una di queste favolette perché con un artificio retorico rinuncia a comprendere “i concreti” rapporti sociali che innervano la società sostituendoli con un approccio metafisico, con qualcosa di spettrale, etereo, restante privo di minima intelligibilità.
Qui Marx sta a Smith, mi si perdoni il paragone un po’ improprio ma può essere utile a meglio intendere certe “distanze”, come Einstein a Newton. L’invisibile forza di gravità descritta dal primo per il secondo è solo una illusione perché egli scopre che non esiste una misteriosa forza che attrae i corpi tra loro, laddove invece sono le grandi masse, come quella del Sole, che incurvano lo spazio circostante creando orbite attorno a cui girano corpi meno massivi come la Terra. Smith ha certamente dei meriti ed è per questo che viene considerato un iniziatore, un padre dell’economia, ma è con Marx che alcune categorie progrediscono fino al disvelamento di quello che effettivamente c’è sotto la superficie del mercato, del regno dell’uguaglianza degli scambi.

Prendiamo quello che scrive oggi su Il Giornale il vice direttore Nicolò Porro: “..La cura non è certo l’intervento dello Stato e più passa il tempo e più il paziente è destinato a morire. La presunzione è che l’economia sia un giocattolo costruito da un grande architetto. Così non è. Adamo Smith per primo aveva ben capito che non c’è un ingegnere che possa costruire il mercato. Esso si muove con una mano fortissima e invisibile. Mai locuzione fu più felice e al tempo stesso più sbeffeggiata. Coloro che oggi credono di dare una mano, un risarcimento, all’economia che si ferma, sono degli ignoranti. Cioè ignorano il funzionamento del mercato. Ritengono che si possa dare un piccolo ristoro, e per di più tardivo, a qualcuno, per rimettere le cose apposto. Presumono che ci sia un ordine calato dall’alto e che dall’alto dunque si possa inervenire. Quel gioiello che è il mercato è la combinazione di miliardi di scelte istantanee fatte a miliardi di individui e pensae di intervenire in esso fa solo danni”.

In verità qui l’ignorante e’ solo lui. Ignora infatti che sotto il “rumore” caotico delle merci nel sistema degli scambi si cela una base di rapporti sociali già disvelata da Marx, il quale sicuramente non ha fatto ricorso al mito di un ingegnere costruttore per spiegarla quanto all’esistenza di una oggettiva “ingegneria sociale” di rapporti che, senza la presenza di un deus ex-machina, stabilisce in anticipo le modalità spontanee di funzionamento di un determinato modo di ri-produzione sociale. Anche se in questo senso non si scappa (d)alla macchina automatica, tuttavia è sempre possibile, modificare le immagini “mercatistiche” agendo dietro le quinte della proiezione. Porro ignora che l’intervento invasivo dell’organo politico statale, in alcune situazioni e come già accaduto in passato (New deal e sua successiva sistematizzazione teorica da parte di Keynes), può influenzare positivamente l’andamento economico aggirando temporaneamente le “leggi del mercato”, le quali non sono campate in aria ma non sono nemmeno eterne. Del resto, lo stesso Keynes, non aveva alcuna voglia di porsi fuori dall’economica tradizionale, solo che non gli andava giù di considerare “legge” quelle che potevano essere mere interpretazioni occasionali dei suoi colleghi.

Dunque, ben venga l’intervento pubblico, che in questa fase dovrebbe anzi essere invasivo come non mai per risollevare le sorti del nostro Paese. Ovviamente, ci vogliono decisioni ben più serie di quelle contenute nei vari “decreti ristoro” governativi, occorre potenziare seriamente gli assetti infrastrutturali e le industrie avanzate della nazione, con grandi iniezioni di denaro pubblico ma se ci si abbandona a quel che racconta Porro allora è veramente finita. Resta la bizzarria del suo minimizzare l’esistenza di un essere microscopico che “eppur si vede” sotto una lente scientifica mentre cerca di convincerci, al contempo, circa la concretezza di una mano che non si vede e non esiste nemmeno sotto uno strumento di ingrandimento ben tarato.