COMUNISTI REAZIONARI di G.P.
La vecchia dicotomia destra-sinistra, come andiamo ripetendo da tempo, è definitivamente tramontata ed i reazionari di ogni risma si distribuiscono equamente tra i due schieramenti ormai fantasmatici che trascinano nell’epoca presente le fisime del passato. Le mort saisit le vif…
Proprio in quella “metà del mondo” – che storicamente pretendeva di incarnare la lotta contro il capitalismo, contro le classi dominanti (con una precoce disposizione al tradimento nel caso della socialdemocrazia, mentre a lungo è persistita una spinta ideale più genuina nei comunisti che, infatti, di sinistra non si sono mai sentiti), contro il modo di produzione fondato sullo sfruttamento del lavoro e l'estrazione di plusvalore – si annidano oggi i peggiori lacchè del sistema, quelli che lo servono anche semplicemente aggirando e ignorando i cambiamenti storici, sociali, geopolitici già concretatisi o in gestazione.
Come dire, si può fare il gioco dei potenti citando Brecht oppure, ancor peggio, parafrasando Brecht e Marx insieme. Si può essere portatori di una visione anacronistica, e perciò ugualmente deleteria e mistificante dei processi sociali, parlando, senza capirne un granché, di strutture e di sovrastrutture; ma lo si può fare anche perpetrando, in base a teoresi stantie e sbugiardate dagli eventi, la posizione che esprime la compartimentazione stagna tra pubblico e privato, per cui il primo avrebbe sempre il compito esclusivo di contemperare gli interessi generali della società (o, persino, quando riesce ad accentrare i mezzi di produzione nazionalizzando le imprese, stile Venezuela, di favorire il rilancio del socialismo), mentre il secondo costituirebbe il “recinto” in cui lasciar scatenare gli animal spirits imprenditoriali che hanno come unico obiettivo l'accrescimento del profitto. Quest'ultimo aspetto è in parte vero, ma il fine ultimo degli agenti dominanti operanti in tale sfera non è il denaro in sé e per sé, essendo questo un mezzo, il più importante, per approntare strategie economiche viepiù aggressive, sbaragliare i concorrenti interni e proiettarsi alla conquista dei mercati di altre formazioni particolari, in collegamento con i decisori politici nazionali.
Come ha scritto altrove La Grassa “Tutti (i gruppi dominanti) pensavano (e pensano) allo Stato” essendo quest'ultimo campo di battaglia “in cui il conflitto precipita nella formazione di apparati aventi la funzione del mantenimento di una sufficiente compattezza ed unitarietà dell’insieme (percorso sempre dalla lotta, trasferita però nei suoi aspetti espliciti, per finalità antidisgregative, in altri apparati tipo partiti, lobbies, gruppi di pressione ecc.) , [lo Stato] non ha sempre, nemmeno nei suoi interventi in campo economico, la semplice funzione di incrementare la domanda onde favorire i gruppi dominanti “privati”. In dati casi, i più decisivi fra i gruppi dominanti, sempre quelli delle strategie, abbandonano l’apparenza della primarietà di queste ultime nella sfera economica attribuendo piena rilevanza alla strategia politica tout court, mirante ad accrescere la potenza dispiegata per allargare le aree di influenza in senso mondiale. Questa politica ha ricadute importantissime anche sull’economia, ma non si trincera dietro l’ideologia del mercato e della domanda”.
Tale impostazione ci aiuta a respingere le strocchiolerie di sedicenti anticapitalisti che, ancora oggi, al principio del XXI secolo, urlano come profeti ammattiti che la commistione tra affari di Stato e interessi privati ci spinge nel baratro del “patrimonialismo in cui l'organizzazione dello Stato è articolata attraverso rapporti di tipo personale invece che secondo la legge” (Nicola Melloni, Liberazione, 31.05.10). E qui Marx va definitivamente a farsi benedire e con lui tutto il discorso sull'apparenza fenomenica e l'essenza delle cose, quello del mercato e del modo di produzione, della uguaglianza formale e della diseguaglianza reale. E finisce nella pattumiera della storia pure Lenin, il quale “stoltamente” invece di fare i girotondi con il nonno di Moretti per proteggere l'articolazione organizzativa secundum legem dello Stato aveva affermato e praticato il superiore diritto dei contadini e degli operai all'abbattimento dello stesso, passando per un periodo di dittatura del proletariato. E Gramsci? Non scampa nemmeno lui alla scure dei “liberal comunisti” avendo egli sostenuto l'esatto contrario di quanto scritto dal giornalista di Liberazione:“…Stato = società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di coercizione” Capito Melloni? L’idea di Stato di Melloni meramente strutturata sulla legislazione è un concetto senza contenuto. In termini più concreti, lo Stato del quale parla non ha vita su questa terra e in questa società, è uno Stato senza Stato, cioè palesemente un logaritmo giallo. Se l'ipotesi interpretativa di questo organo non contempla la sua funzione primaria, la forza così come viene esercitata o minacciata dai corpi speciali in armi, stiamo parlando d'altro, forse di un ufficio per il disbrigo di pratiche amministrative affollato di zelanti burocrati invece che di brutali gendarmi.
Lo Stato sono i suoi apparati egemonici corazzati di coercizione, è il dominio ferino coperto dalla legge che arriva, insieme alla nottola di Minerva, a conti fatti, dopo l'avvenuta e transeunte composizione materiale degli interessi dei gruppi in lotta, per l' “equilibrato” sfruttamento delle classi subordinate da parte di quelle dominanti.
Si può dire anche il contrario, ma lo si deve fare per conto proprio senza tirare in ballo Marx. Tuttavia, è proprio dalla mancata comprensione di questo punto che nascono obbrobri analitici da utopia liberale se non da scuola elementare. Il rapporto Putin-Berlusconi sarà pure inquadrabile in un fantomatico approccio personalistico alla diplomazia (se, ovviamente, ci si ferma alla superficie dei fenomeni) ma esso è ben incardinato in dinamiche oggettive, di caratura e dinamica storica e geopolitica, che sfuggono alla stessa comprensione dei singoli (nel caso di Putin non del tutto) ma che producono, nolens volens, effetti sociali più vasti e generali.
Il motore raffreddato del globo si è rimesso in moto e non vedere in quale direzione esso stia spingendo la “carrozza” mondiale è proprio di chi dà le spalle all'avvenire e camuffa lo spirito dei tempi con la nostalgia di epoche irrimediabilmente perdute.
Per tali motivazioni occorre sostenere imprese nazionali come Eni, Finmeccanica, Enel, non perché siano pubbliche ma in quanto con la loro azione di mercato veicolano interessi strategici orientati all'accrescimento della potenza sistemica del paese in cui hanno sede e approfondiscono legami internazionali i quali, a medio lungo termine, allentano la subdominanza dal paese centrale.
In questa congiuntura, forma giuridica pubblica della proprietà e migliore proiezione geostrategica si alimentano a vicenda (almeno in Italia, ma anche altrove), tuttavia non si tratta di un dato “immutabile”, lo stesso lavoro lo fanno, ad esempio, le multinazionali americane private per il loro Stato, in un sistema capitalistico differente dal nostro che pure a questo è improntato.
Lo capiscono pure i filoatlantici dichiarati che tuttavia segnalano i rischi incombenti per l'Italia: “Si vede che qualcuno sta organizzando la festa alla Repubblica
. C’è chi ha interesse a vederci nuovamente crollare. Perché c’è ancora ricchezza da portar via, perché la politica energetica disturba chi non ama (e giustamente) il ritorno della Russia alle antiche pretese, perché il nostro ruolo in medio oriente non è univoco… Sono partite diverse, dietro le quali sarebbe stolto vedere un’unica mano, ma vivono nello stesso tempo.” (Davide Giacalone, www.davidegiacalone.it).
Continuare ad incorniciare il corso degli eventi in visioni decadentiste, di tipo moralistico o di illusione classista, per paura di fare i conti con la nuova situazione farà perdere sempre più l'orientamento ai comunisti come Melloni i quali si troveranno presto, e in parte già lo sono, gomito a gomito con i poteri “feudali” bancoindustriali e i ceti sociali più retrivi, a puntellare il predominio americano e quello dei drappelli parassitari nostrani.
Per correttezza d'informazione riporto l'articolo di Melloni tratto da Liberazione:
Russia ed Italia, amici privati
Le recenti indiscrezioni giornalistiche sulla possibile entrata del colosso energetico russo Gazprom nel pacchetto azionario del Milan meritano una riflessione che vada al di là della cronaca sportiva. Soprattutto se lette in un contesto più ampio ed analizzate insieme alla recente visita di Putin nel nostro paese e gli accordi stretti tra Italia e Russia per rilanciare il nucleare nel nostro paese. Un contesto in cui pubblico e privato sono ormai indistinguibili ed i destini dello Stato sono legati a doppio filo a quelli della leadership ed in cui i rapporti di amicizia sembrano valere di più delle tradizionali linee guida di politica estera.
L'approccio personalistico alla diplomazia internazionale, va detto, è un vezzo non solamente nostrano. Le figure istituzionali di mezzo mondo fanno ormai a gara ad esseri ripresi a darsi pacche sulle spalle, impegnati in chiaccherate informali, scravattati (anche se non tutti bandanati) nelle rispettive residenze di campagna. I matrimoni di figli e figlie di presidenti sono diventati conferenze internazionali, un po' come nel medioevo. La personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica richiedono che le telecamere siano puntate oltre ogni ragionevole dubbio sui leaders che incarnano la nazione. L'effetto è quello di un gruppo di scintillanti personaggi che discutono il futuro del mondo come se dovessero organizzare le vacanze per la prossima estate – un vago senso di tranquillità viene incanalato inconsapevolmente nelle menti degli spettatori. E' la politica da bar.
In questa sceneggiata da fine impero, l'Italia e la Russia riescono a dare il peggio di sé. L'ineffabile Cavaliere rimane ancora un esempio ineguagliato di show-man della porta accanto. Corna, saltelli, gli atteggiamenti volgarotti del bulletto in gita scolastica sono da sempre all'ordine del giorno. Mentre il premier russo non disdegna di farsi riprendere a petto nudo on in versione judoka, ben lontano dal grigiore degli ex leader sovietici. Ma il problema, nel caso di Berlusconi e Putin va oltre la già inquietante apparenza. Si tratta, marxianamente, di un problema di struttura. In entrambi i paesi ormai si è abbandonata la classica distinzione liberale tra pubblico e privato. In Italia il privato ha occupato il pubblico mentre a Mosca è successo il contrario. Poco cambia, ci troviamo di fronte a due casi classici di patrimonialismo in cui l'organizzazione dello stato è articolata attraverso rapporti di tipo personale invece che secondo i criteri di legge. Di conseguenza, economia e politica tendono a fondersi in una struttura amorfa priva di regole certe e senza soluzione di continuità. A Mosca l'esistenza di un qualsiasi tipo di grande impresa dipende dal consenso del potere politico che, nel caso venga scontentato nelle sue pretese, non va' tanto per il sottile. Quindi imprese dipendenti ed imprese, in particolare quelle energetiche, usate per scopi politici. Gazprom ne è l'esempio più concreto: in patria viene usata per finanziare a basso costo le industrie-clienti del Cremlino, all'estero è lo strumento principale di una politica estera basata su gas e petrolio. Tipico, in questo senso, il caso dell'Ucraina, cui Gazprom chiese un aggiustamento del prezzo del gas quando a Kiev c'era un governo anti-russo, ed ha poi invece trovato un accordo ragionevole col nuovo governo "amico". In Italia, lo sappiamo, la situazione è speculare. Lo stato occupato da interessi privati non è più il comitato d'affari della borghesia, come nella celebre definizione di Marx, ma l'ufficio legale del premier che agisce da padrone, promuovendo i suoi interessi e circondandosi di una corte dei miracoli degna, secondo Sartori, di un sultano.
In una tale orgia di potere è naturale che i due leaders in questione si trovino a loro agio. Prova ne è stata il meeting di fine Aprile in cui per la Russia hanno partecipato oltre Putin anche i presidenti di Gazprom e di RAO UES (il gestore elettrico russo), mentre per l'Italia oltre Berlusconi erano presenti ENI ed ENEL. Un cortocircuito pubblico-privato-personale di cui non si riesce a distinguere i contorni esatti. Non una novità quando si tratta con i russi. Ricordiamo che Gherard Schroeder, quand'era ancora Cancelliere in Germania, firmò un accordo decisivo proprio con Gazprom per la costruzione del gasdotto North Stream e ne ricevette una lauta ricompensa: una volta ritiratosi a vita privata divenne consulente proprio del gigante energetico russo. Ora è l'Italia a trasformarsi in paese-cliente della Russia. Prima l'accordo per il gasdotto Southstream – quello che passa per il Mediterraneo; poi la parternship RAO UES-ENEL per la ricerca nucleare e la costruzione di una centrale a Kaliningrad. Ora, forse, la ricompensa e una valangata di milioni che potrebbero finire nella cassa personale del nostro Premier che ha bisogno di rilanciare la sua immagine di vincente e pensa di farlo coi soldi di Putin, nel solito cortocircuito pubblico-privato. Una situazione paradossale, se ormai al paradosso non fossimo abituati: il conflitto d'interesse che detta le politiche energetiche ed il futuro del paese, un uomo solo al comando assai preso dai suoi affari. Come diceva il Galileo brechtiano, beato il paese che non ha bisogno di eroi.
Nicola Melloni