CON LA MELMA ALLA GOLA
Novanta frustate in Iran per un film (balle!). Tonnellate di bombe occidentali su Libia, Afghanistan e Iraq. Così funziona la doppia morale democratica che si scuote per i colpi di frusta degli ayatollah (balle!) e castiga severamente i colpi di coda delle nazioni sovrane. La stampa nostrana illumina di riprovazione l’oscurantismo di Teheran e s’impietosisce per i suoi provocatori disubbidienti che fanno gli eroi coi sovvenzionamenti della Casa Bianca. Almeno quando storie ed episodi di persecuzioni e maltrattamenti non sono inventati di sana pianta. Può darsi che la condanna esemplare sia avvenuta ma per altri motivi, tuttavia, è più facile che l’unico lungometraggio veramente proiettato sugli schermi mondiali sia stato quello confezionato, per noi nati tonti e rintontiti dalla passività globalizzata, sui set hollywoodiani dove si fabbricano, con gli effetti speciali e i doppiaggi in tutte le lingue, guerre e manifestazioni di massa contro le dittature degli altri. Sia chiaro che non vivrei in Iran nemmeno se mi nominassero scià, pascià o maragià e mi godo la mia vita tranquilla qua. Ma apprezzo chi fustiga la bruttezza in prima serata. Probabilmente, dalle parti di Ahmadinejad si usa punire interpreti e direttori di inguardabili pellicole che corrodono il cervello e il fegato, mentre qui da noi piovono fondi pubblici per narrazioni cinematografiche assurde che meriterebbero di finire direttamente nella spazzatura. Sono stufo del regista che si contorce per il suo foruncoloso “io” mentre crede di girare un capolavoro assoluto e dell’attore impegnato a farsi le seghe mentali sui suoi amorini frugali. A questo si riduce ormai la filmografia italiana. La filiera delle menzogne e delle sofisticazioni via cavo e proiettore è troppo vasta per essere controllata, per questo dobbiamo armarci di pregiudizi e di cattive intenzioni al fine di non cadere nella loro trappola tele-comandata e cine-mistica. Sia che si tratti di propaganda diretta o di distrazioni vespertine che intorpidiscono l’anima e la testa. Tra tutte le altre, la cultura italiana è quella ridotta peggio. Ed i giornali sono, tra i mezzi di comunicazione di massa, quelli che fanno più schifo. Da una Repubblica che tira fuori una vecchia intervista di Scalfari a Enrico Belinguer sulla questione morale (http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArticle=15C1FK), dove il segretario PCI denunciava la degenerazione dei partiti, escluso il suo che ovviamente faceva più pena degli altri, ad un Giornale che straparla della paura di Togliatti per il pensiero di Benedetto Croce (http://www.ilgiornale.it/cultura/troppa_liberta_allindividuo_e_pci_oscuro_don_benedetto/10-10-2011/articolo-id=550877-page=0-comments=1). Come se non fosse sufficiente a farci sprofondare nella vergogna il fango dei nostri tempi, andiamo pure a scavare nella melma che ci ricopriva in passato. Potesse vedere Berlinguer i danni che ha causato all’Italia con le sue fandonie moralistiche, rinnegamento di ideali che avrebbero mantenuto una dignità retrospettiva se fossero restati ancorati a quella stagione trascorsa. Viceversa, ci ritroviamo tutta la paccottiglia moralistica tra i piedi, divenuta ancor più perniciosa perché finita in bocca, di tradimento in tradimento, a gentaglia senza un briciolo di intelligenza e di idee che ha fatto “dell’occupazione dello Stato e delle sue istituzioni” una ragione di vita e di svendita. Se Berlinguer è ancora amato e ricordato dai suoi figliocci cialtroni, è perché era e resterà il re dei voltagabbana. A quelli del Giornale che invece riesumano pensieri crociani senza ripulirli dalla polvere della Storia ed interpretandoli a cazzo di cane consiglio di tornare a studiarlo davvero Croce. Si servono del filosofo napoletano per giustificare il laissez-faire più spietato laddove egli sentenziava, senza appello, che la fusione tra idea liberale e liberalismo economico “deve essere negata e in pratica sottomessa allo svolgimento e alle varianti situazioni dei problemi morali o di civiltà, e giova qui non rendere partecipe la libertà di tutti i vanti dell’accresciuta produzione economica…né solidale di tutte le malafatte di cui questa è stata da più parti accusata”. Croce ha faticato tutta la vita per porre la libertà, il suo concetto ed il suo contenuto, in alto, talmente in alto perchè non subisse corruzioni da parte di alcuna ideologia, statalista o liberista che fosse. Certo, un Lenin non avrebbe saputo che farsene di questa libertà spirituale ma è immondo vedere come i suoi sedicenti epigoni la stanno calpestando e consumando per convenienza partitica, mercimonio ideologico e servilismo geopolitico. Questo Paese è ridotto male economicamente, politicamente, socialmente. Ma quando il marcio arriva fino al midollo, cioè alla cultura di un popolo, vilipesa e rinnegata da prostitute di partito e vigliacchi di regime, vuol dire che lo sfascio è davvero compiuto. Buonanotte Italia.