CONCITA DE GREGORIO E LA SINISTRA ALLA GRAPPA di G.P.

aconcita

Ho respirato aria fetida carica di fumo e di odori nauseabondi ed è una vita (non solo 48 ore) che sento parole comuni ma piene di realismo, condite con parolacce e bestemmie che esprimono meglio la furia e l'incazzatura suscitate nelle persone semplici da questo schifo di società che bolla come qualunquista chiunque odia le sofisticazioni, la verbosità insignificante e le sciccherie da salotto intellettuale.

A Monopoli dove sono nato e a Potenza dove attualmente vivo e non vegeto (e sì lo so non sono né Milano né Percoto, miss Concita) vedo gente che non vuole strafare, che guarda alla vita con disincanto senza per questo abbattersi o rifugiarsi nelle utopie che sembrano gratis ma poi ti costano un patrimonio in termini di comprensione della quotidianità e delle vicende che ti accadono intorno. E qui non ci si affanna a rincorrere le grandi narrazioni o le idiozie sui lettoni a due piazze  e trequarti dove si intorcinano Presidenti, Ministri e mezze soubrettine ingrifate solo dai bigliettoni. Abbiamo problemi più seri e matasse concrete da sbrogliare. E nemmeno ci tangono i piagnistei della gente per bene che si scandalizza per la fine della morale pubblica e privata. Non misuriamo la nostra libertà dalle scopate altrui, né dall'audience e dalle opinioni espresse nei programmi televisivi che nemmeno guardiamo. La cattiva maestra Tv, questa diseducatrice delle coscienze che vengono inevitabilmente obnubilate dal trash e dal "luogocomune" eretto ad ideologia generale o a spazio di contesa del politicamente corretto o incorretto (dipende dai gusti), nulla ha potuto con chi è cresciuto per le strade dove i codici di condotta ti arrivano in faccia, non come onde eteree delicate e subliminali, ma come tranvate che hanno la stessa consistenza del granito. Non ci siamo mai sentiti conculcati nella libertà di pensiero ma in quella di poter realizzare i nostri desideri perché di idee ne abbiamo avute sempre tante ma con i pochi spiccioli in tasca l'unico investimento serio era quello della lotteria o delle partite a carte. Lunghissime sfide a poker o a scala quaranta dove scorrevano fiumi di buon vino locale e non quella porcheria di grappa che piace alla direttrice dell'Unità. Niente Premi Nobel che ci parlavano di massimi sistemi ma persone avvezze alla dura vita che ci consigliavano come farsi rispettare in un mondo che ti vuole sempre fottere appena giri le spalle. Lo dico senza retorica, era questo il vero discorso operaio, quello di uomini spesso emigrati al nord che se l'erano passata male e che per un salario migliore avevano menato le mani senza giustificarsi con la marxologia. Poi qualcuno di noi ha avuto la fortuna di studiare, non tutti ovviamente, molti si sono persi per strada ma chi ce l'ha fatta non si è lasciato mai incantare dai bei discorsi culturalistici ed emancipativi che raramente ti riempiono la pancia ma quasi sempre ti ottundono il cervello. Leggevamo Marx e Lenin col fuco tra le dita e negli occhi avevamo la rabbia di chi aveva capito che su questa terra se non nasci bene e non impari a cavartela finisci inevitabilmente male. Dai libri abbiamo sempre preso ciò che ci serviva ed abbiamo tagliato gli arzigogoli e le edulcorazioni che per soprammercato accademico i grandi intellettuali ci mettevano dentro solo per far colpo sulla propria esclusiva comunità universitaria. Anche adesso che siamo cresciuti e ci rincontriamo per parlare di politica lo facciamo senza preoccuparci dell'arredamento, dell'aria o delle persone che ci stanno intorno. La bella “gggente” ci fa specie come sempre, così come questi moralisti fintamente di sinistra che scavano trincee dietro i sofà delle case incantevoli per sentirsi in empatia con gli ultimi ed i più deboli, salvo starne a debita distanza per non avvertirne l'olezzo. Subdola filantropia di chi non sa nemmeno che cosa siano le difficoltà e che si mostra generoso con gli altri per mettersi in pace lo spirito. Ahi voglia ad invocare la piazza signora Concita, quando esci è solo per fare shopping o per comprare l'ultimo libro di qualche cialtrone à la page che col portafoglio pieno ti racconta di come è più sano mangiare cibo biologico, di come è più rispettoso dell'ambiente andare in Suv a metano e di come sarebbe più interessante un tubo catodico egemonizzato dal perbenismo mellifluo di sensibilissimi ipocriti dello spettacolo quali la Dandini, Fazio o Santoro, senza ovviamente illuminarti su quanto costa in più tutto ciò. Come vedi, con tutte questi gioielli di civiltà da doversi attaccare al vestito, essere di sinistra è diventato un lusso, per questo vi siete ridotti a quattro gatti. Vi sentite diversi e migliori ma siete soltanto un'aristocrazia in decadenza che la Storia s'incaricherà di estinguere. Il vostro grido d'indignazione è un rantolo di morte, la vostra canzone popolare un requiem, i vostri giornali un necrologio di opinioni senza sostanza. Non prolungate oltre le vostre sofferenze, mettete fine da soli a questo rito funebre chiamato sinistra e finitela di diffondere quest'aria pestilenziale che ci ucciderà tutti. Seppellitevi e non trascinate i vivi nella tomba, almeno per una volta fate qualcosa di utile alla società.

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Respirare aria pulita di Concita De Gregorio

Ho respirato aria pulita, ho incontrato persone magnifiche nelle ultime quarantott’ore ed ho ascoltato parole bellissime: è talmente un sollievo, di questi tempi, che voglio condividerlo con voi. Mi hanno invitata le donne, sia a Udine che a Milano. A Udine, anzi a Percoto – a casa loro – Giannola Nonino e la sue figlie. A Milano Iaia Caputo, scrittrice, che ha raccolto al volo la richiesta che sale dalla rete, dal nostro sito e da molti altri, «se non ora quando? » e con un gruppo di amiche, un furgoncino e qualche centinaia di palloncini bianchi ha portato in piazza della Scala diecimila persone. Vi dico di Percoto. Giannola, che è il motore della famiglia Nonino, ha deciso molti anni fa di rinunciare a fare pubblicità commerciale e di investire piuttosto la somma equivalente e parte dei profitti dell’azienda (che va bene, è a conduzione familiare ed esporta qualità nel mondo) nel premio Nonino divenuto negli anni uno dei più prestigiosi e preveggenti del pianeta. La sera le donne Nonino invitano la giuria a i premiati a casa loro, una casa grande ma semplicissima, di paese, a qualche chilometro dalla città, per stare con gli amici a parlare. Ci si trova a tavola, dunque. La nonna, i nipoti che qualche volta sbuffano e mandano sms dal cellulare, il premio Nobel Naipaul discorre con Claudio Magris, la piccola di casa che parla della scuola, Renzo Piano che spiega a un gruppo di ragazzi come saranno le “case che respirano”, l’architettura rispettosa dell’ambiente i palazzi che faranno a meno dell’aria condizionata, d’ora in avanti, mentre Frances Moore Lappè eco scienziata americana dagl
i occhi magnetici (non pubblicata e dunque sconosciuta in Italia ma adorata dai giovani che si informano altrimenti) spiega che nel mondo c’è abbastanza cibo per tutti: quello che manca è la democrazia. Javier Marias parla del futuro che non potremo attraversare, della scrittura pessimista ma resistente, Edgar Morin e Norman Manea di come sia possibile tradurre. E le donne, tutte le donne presenti chiedono e ci chiedono che altro deve ancora succedere perché torniamo ad essere il paese che eravamo che potremmo essere ancora mentre Irenaus Eibl Eibesfeldt, 83 anni, etologo austriaco allievo di Lorenz, spiega ad una adolescente di casa che gli europei potrebbero estinguersi piuttosto rapidamente, l’unica chance consiste nel separare l’istinto dalla ragione e salvare con saggezza l’identità di gruppo. L’adolescente è attratta soprattutto dal passaggio istinto-ragione e dal paragone con il babbuino che lo illustra, segue supplemento di spiegazione del magnifico ottuagenario di sublime saggezza. Mai nessuno, mai, ha nominato altri babbuini né altri istinti che non fossero quelli utili alla parabola didattica, come l’anatra di Lorenz. Sono rimasti – gli innominabili componenti del bestiario nazionale – miracolosamente fuori dalla casa di Percoto ed è stata una serata magnifica in cui pareva di vivere nel più bel paese del mondo, accogliente, semplice, aperto, curioso, tollerante e capace di cucinare le migliori pietanze del pianeta a corredo dello scambio di pensieri. Il giorno dopo, a Milano in piazza della Scala, il bestiario campeggiava invece sui cartelloni delle migliaia di donne (ma molti uomini anche, davvero) arrivate a dire, come avrebbe detto Javier Marias, «basta ja». Ora basta. C’erano moltissime ragazze giovani, non ancora la maggioranza ma una buona quota, tutti avevanouna sciarpa bianca un palloncino, la Scala là dietro faceva ricordare a tutti che Milano è Milano, perbacco, se non si comincia da Milano allora da dove? Mi hanno avvicinata elettrici di centrodestra dicendomi ha ragione, siamo con lei. Sandra R., leghista, mi ha lasciato la sua mail: teniamoci in contatto, vedrà che Bossi si sgancia perché capisce. Dario Fo e Franca Rame sono arrivati coi loro meravigliosi anni e sono saliti anche loro sulla panchina che faceva da palco, come all’inizio di tutto mille anni fa, e hanno spiegato, loro e molti altri come e quanto sia volgare e pericoloso questo tentativo di dire tutti colpevoli nessun colpevole, sono tutti uguali, non c’è differenza, facciamo parlare le due parti in causa, tipo la vittima e il carnefice, così è garantito l’equilibrio.

 Non è vero, non sono tutti uguali, l’assassino e la vittima non possono partecipare alla pari al dibattito, esistono regole, esistono leggi, esistono i figli di quelli che negli anni Settanta predicavano il libero amore che era davvero libero perché era gratuito, era davvero amore perché era volontario, non si capisce cosa c’entri la rivoluzione dei costumi sessuali con il bordello istituzionale, se paghi quaranta ragazze alla volta per giocare a scopone scientifico con loro l’amore non c’entra niente, la libertà è caso mai quella di mercato che finisce sempre che ti si ritorce contro. Spogliano dei candelabri il palazzo un attimo prima che bruci, da che mondo e mondo, i servitori. C’era una bella atmosfera, serena e quieta ma ferma, in piazza della Scala, molte donne anziane commosse, una nonna mi ha presentato sua nipote di vent’anni e mi ha detto è lei che mi ha portato qui, io aspettavo di sapere dalla tv se l’appuntamento di oggi fosse confermato e lei mi ha detto: «Dalla tv, nonna? Mache sei matta? La tv non di dà mai una notizia, ti racconta solo favole per tenerti ferma qui e rimbecillirti. Spegnila, dai. Vestiti, che usciamo »