CONTINUA IL FESTIVAL DELL’INGANNO (di Giellegi, 16 gennaio 11)

   Già ho scritto che la vittoria del no non sarebbe stata affatto una vittoria e che quella del si non sarebbe stata una sconfitta. A parte il fatto che nemmeno si capisce da che punto di vista bisognava giudicare la vittoria o la sconfitta. Eppure c’è stata gente che è stata in piedi la notte per seguire se vinceva la “reazione in agguato” o il “proletariato mondiale”. Personalmente, poiché l’insonnia mi porta fino alle 3, e anche 4, del mattino, mi sto rileggendo “La morte di Ivan Ilič”, testo stupefacente della grande letteratura. Del resto, in quel luogo non sempre di lucidità mentale che è Facebook, ho visto gente sbrodolare sulla vittoria travolgente del popolo che cacciava Ben Alì; peccato che già si sapeva come l’esercito fosse quasi tutto contro. Peccato che Obama sia subito intervenuto mostrando una prudente (non poi troppo) soddisfazione, chiedendo libere elezioni democratiche e il rispetto dei diritti umanitari[1]. Sia chiaro: è del tutto meglio che quel personaggio sia stato cacciato, anche se spero nessuno abbia mai più rimpianto Bourghiba. Tuttavia, per chi ha vissuto la grande lotta del FLN algerino (immortalata nel capolavoro di Pontecorvo), finita come ben si sa; per chi ha vissuto la pluridecennale epopea dei vietnamiti – da Dien-Bien-Phu (1954, vittoria di Giap sui francesi) alla caduta di Saigon (1975), ecc., in una lotta che non fu di semplice popolo, ma di bande guerrigliere dirette da comunisti, quelli seri “de ‘na vorta”, armati da Urss e Cina – con la grande quota di investimenti americani che oggi invade il paese; per chi ha vissuto tutto questo, sentire ancora le stronzate sulla vittoria irresistibile dei popoli è irritante, dimostra che ormai la politica non è più nemmeno sfiorata. O forse circolano troppi “provocatori”, in specie in internet.

   Una pantomima ancora più avvilente rischia di svolgersi in merito al referendum a Mirafiori, che è un microbo di fronte agli sconvolgimenti ormai in atto nel mondo. Che si trattasse di “elezioni non libere” è evidente. Lo sono state però non a senso unico: sia per chi ha votato si con il ricatto del posto di lavoro, sia per chi ha votato no cedendo al vecchio ideologismo della lotta tra Capitale e Lavoro senza nulla capire di come stanno andando le cose in questo paese e soprattutto nel mondo ormai in subbuglio, che condiziona pesantemente ogni nostra vicenda interna. Incredibile leggere i supercritici dei media, quelli che pensano allo stretto condizionamento di questi sul nostro modo di pensare. Non si rendono nemmeno conto che tali mezzi, da vent’anni, ci tengono dentro il cerchio magico di antinomie false – prima fra tutte quella tra destra e sinistra – chiedendoci soltanto di dire si o no, pro o contro. E questi supercritici dei media, invece di chiedersi a chi serva una “risposta binaria” da cervelli “computerizzati”, ci cascano e si divertono un mondo.

   Adesso c’è, quasi gratuito, questo strumento di demenza e tutti si precipitano a dire la loro stronzata, sempre rigorosamente si o no, pro o contro, per il “popolo” e contro la “super-élite”, per i presunti dominati e contro i presunti dominanti, per gli sfruttati e contro gli sfruttatori (nel senso di negrieri, perché gli idioti non sanno un c…. dello sfruttamento in Marx, in quanto semplice pluslavoro/plusvalore, estratto anche nel più asettico degli ambienti in cui non una stilla di sudore cade dalla fronte degli sfruttati, non un colpo di frusta percuote la loro epidermide ben nutrita di creme), per gli oppressi e contro gli oppressori. O hanno l’encefalogramma perfettamente piatto e allora non c’è nulla da fare. Voglio però pensare, e credere (senza obbedire né combattere più che tanto), che la maggior parte abbia solo bisogno di un adeguato training per abituarsi a pensare intanto ad una “terza” variabile; poi, pian piano, comincerà a vedere anche la “quarta” e la “quinta”, ecc.[2].

    Tutti adesso canteranno “sostanziale” vittoria, sia per il 54 e rotti % di si (pronosticavano il 70) sia per il 45 e rotti % di no, perché soprattutto hanno ottenuto la maggioranza tra gli operai, la mitica Classe che, emancipando se stessa, emanciperà tutta l’Umanità. Direi che questi ultimi hanno in sostanza perso, ma non per la sconfitta del no (la percentuale, se uno non va oltre lo scontro in sé, è buona). Hanno perso perché sono schiavi di un ottocentesco operaismo, perché non hanno ancora capito che questa presunta classe è stata la meno rivoluzionaria tra tutti i gruppi sociali dominati nella storia. Chi ha fatto la rivoluzione sono stati i contadini, non certo gli operai; questi hanno, del tutto giustamente sia chiaro, condotto solo lotte per migliorare le condizioni di vita, e ci sono riusciti. Adesso vivono un periodo di ripiego anche dal punto di vista di tali condizioni, ma scommetto con chiunque che non verrà a mancare pane e nemmeno un po’ di carne, di pesce, l’automobilina per andare al lavoro, per farsi qualche week-end; per molti anche qualche periodo di ferie. E poi, come dice il detto (popolare, inchinatevi al popolo per favore!): “il bel tempo e il brutto tempo non durano tutto il tempo”. Se qualcuno ama di più i “sacri testi”, parliamo delle “vacche magre” e di quelle “grasse”.  

Il meno sconfitto di tutti è pur sempre Marchionne, che avrebbe vinto anche in caso di prevalenza del no (forse perfino se lo augurava; almeno sospetto che un pensierino favorevole a questa prospettiva l’abbia nutrito). Adesso continuerà nella sua politica. Farà il suo investimento promesso in Italia. In quali tempi? Con quali se e ma? In che direzione (parlo di quella effettiva e non delle parole dette)? E con quali prospettive per la “mano d’opera”? Inoltre, poche balle, se vinceva il no, era pronto ad andarsene, non prima di aver sondato tutte le possibilità di tornare a qualche bel compromesso danaroso con lo Stato italiano (sola incertezza, l’incapacità di chiunque di governare in questa situazione di sfascio dei vari schieramenti). Adesso, non cambierà politica. Il mercato europeo, e l’italiano in particolare, non tirano affatto; se si risolleveranno, è una scommessa al Lotto. I veri mercati stanno altrove; e soprattutto altrove stanno gli aiuti politici (del Governo dell’ancora unica superpotenza), di cui la finanza (prestiti, soldi dati sottobanco, ecc.) è strumento per le sue strategie. O per meglio dire, altrove stanno le fonti degli aiuti dati per motivi politici, ma questi ci riguardano da vicino, eccome! Aspettiamoci comunque, in pieno accordo con la UE (“più realista del re”), continui intralci per i nostri settori strategici, intralci che sono balzati in rilievo con Wikileaks e che adesso sono nuovamente oscurati da “sinistra” e da “destra”, ma sono sempre presenti.

    Solo apparentemente, hanno vinto anche i dinosauri del sindacato, i quali possono far finta di rappresentare i lavoratori. I più radicali, fra cui Cremaschi, possono dire di rappresentare gli operai per aver avuto voti in più tra alcune migliaia di loro (lo 0,00000….% di tutti gli operai italiani) in uno stabilimento che storicamente &e
grave; sempre stato da una parte ma, in altri tempi politicamente meno meschini, non da quella di questi impiegati non licenziabili e ben pagati, bensì di ben altre più trasparenti e sincere opposizioni. I sindacalisti hanno vinto solo nel personale senso di avere, per il momento, salvato il loro impiego ben remunerato. Tuttavia, continueranno a tenerlo nella misura in cui tra i vertici confindustriali (che hanno appoggiato obtorto collo il si, ma sono ben felici che il loro capitalismo assistenziale e concertativo non sia stato travolto) e l’ad della Fiat si terrà in piedi quel compromesso, probabilmente consigliato perfino dai vertici politici statunitensi, quelli della “tattica del serpente”.

   Ho già scritto che il manager Marchionne, dirigente della maggiore impresa (un tempo) italiana di un settore industriale (in crisi) complementare a quelli strategici, avanzati, del capitalismo statunitense, non garantisce comunque il passaggio (transizione) finalmente definitivo dell’Italia dal capitalismo ancora semi-borghese (famigliare in troppi casi) a quello più moderno dei funzionari del capitale. Quest’ultimo, attualmente, è quello predominante nel mondo (non il più esteso, non mi si fraintenda, semplicemente predominante perché è la formazione sociale compiutamente affermatasi nel paese che prevale tuttora). Il capitalismo italiano resta pur sempre di una fase indietro, come sempre nella sua storia (anche di due alle volte). La transizione può essere assicurata esclusivamente dall’assunzione della direzione politica dell’industria da parte di settori di punta e strategici, di cui parliamo spesso.

   Tuttavia, una politica non prevale nell’industria (e nemmeno nella finanza, sia chiaro) se non si forma un gruppo deciso di tipo direttamente politico, cioè in lotta per il controllo dello Stato. Nella marcia situazione italiana, un tale gruppo deve avere una forza tale, e sufficienti addentellati negli apparati capaci di esercitarla, da compiere un repulisti radicale di quelle “cellule cancerogene” che operano liberamente e a tutto spiano nel paese. In assenza di tale passaggio cruciale, l’Italia resterà nella situazione di stallo attuale. Ricordiamoci di Alice: anche solo per restare nello stesso posto, è indispensabile correre sempre più velocemente. Se addirittura si tiene un passo incerto e claudicante come si sta facendo, l’arretramento è sicuro; e, nella situazione futura di crescente conflitto multipolare, andremo indietro di innumerevoli lunghezze. Bisogna trovare infine la soluzione politica giusta per la situazione di assoluta eccezionalità in cui siamo.

    Incerta è dunque la “modernizzazione” italiana, ma su questo processo non incide molto il referendum a Mirafiori. Incerto è pure l’andamento del conflitto tra i settori dell’industria “pubblica” (e insisto a ricordare: non per il fatto d’essere pubblica) e quelli che si pongono come sostanzialmente funzionali alla formazione sociale statunitense (questi ultimi avendo al seguito gli apparati finanziari, già spesso da me denominati “weimariani”, per motivi spero evidenti). La battaglia decisiva non è stata tra si e no a Mirafiori (o in altre fabbriche e imprese); si combatterà tra la concertazione cui sono dediti industrial-finanziari parassiti e apparati sindacali impiegatizi (assieme all’abnorme gonfiamento di quelli statali, parastatali, ecc. ancora in crescita), da una parte, e industrie strategiche assieme a lavoratori (anche “autonomi”) dei settori produttivi, dall’altra. Chi maschera questo compito primordiale dietro il finto radicalismo del conflitto capitale/lavoro di un’altra fase storica è reazionario e basta; adesso, il conflitto è tra produttivi e parassiti, sanguisughe, ceti inutili, fra cui spiccano quelli pseudo-culturali che fanno strame di ogni reale avanzamento minimamente civile.

   Interessante comunque la differenziazione nel referendum tra operai e impiegati (quasi tutti per il si). Nessuna conclusione affrettata da simile consultazione limitata, pur se non si deve scordare l’analoga sconfitta “operaia” inflitta dai “quarantamila” quadri impiegatizi e direttivi nel 1980. Semmai, è la considerazione teorica – proprio tratta, a contrario, dalle analisi di Marx, le cui previsioni sono state smentite da 150 anni di sviluppo capitalistico (problema su cui torneremo ancora perché è cruciale) – a dar rilevanza al fatto in questione, facendo giustizia di tutte le tiritere sul general intellect, sulla sessantottesca “proletarizzazione” dei tecnici e specialisti, capi e capetti, sugli sbiaditi e ormai sfiduciati tentativi di raccontarci la possibile alleanza dei “quadri-e-competenti” (visti da Bidet e altri simili come terza classe) con la classe lavoratrice (esecutiva). Nulla di tutto questo. I quadri, anche di carattere molto parzialmente dirigente e specialistico, restano su posizioni nettamente differenti da quelle degli operai (lavoratori esecutivi) perché i loro saperi aprono loro migliori prospettive di carriera (e stipendio) e crea in loro una mentalità efficientistica e di produttività.

   In genere, non capiscono quasi nulla di politica, salvo le ovvietà del momento; essi credono nell’impresa, nei savoir faire, ecc. Sbagliano grossolanamente, ma sono sensibili all’attacco contro i parassiti. Vanno uniti ai ceti medi produttivi (quelli delle “partite IVA”) quale ariete contro il suddetto capitalismo concertativo, contro Confindustria e bisonti sindacali. In loro, bisogna sollecitare al presente l’orgoglio dei loro saperi (unito a paghe decenti), della loro funzione che credono sufficientemente garantita (incertezze ci saranno, ma evidentemente non eccessive se hanno votato plebiscitariamente per il si). Devono essere sollecitati da un’altra forza politica, in grado di assumersi pienamente la rottura – che, in condizioni come le italiane odierne, ha un qualche carattere rivoluzionario – con il capitalismo concertativo (della GFeID e dei sindacati “ufficiali”), magari facendo anche saltare il compromesso instabile tra questi e Marchionne. In effetti, passato in qualche modo quest’accordo, anche altre aziende (la Fincantieri l’ha già fatto) seguiranno la strada della rottura con il 1993, tanto più che è instabile l’equilibrio intersindacale, e la situazione, data pure la putrescenza politica, sembra in crescente incancrenirsi.

   Ormai credo evidente che la discesa in campo di Berlusconi 17 anni fa sarà dipesa sicuramente dai suoi interessi, ma rispondeva pure a richieste di settori economici impossibilitati, per l’offensiva di “mani pulite” coadiuvata proprio dal capitalismo concertativo agnelliano legato agli Usa, a trovare altri rappresentanti politici. Questo può voler però significare una non decisa volontà del premier nell’attuare quella politica economica estera, che pure ha portato avanti, soprattutto per merito della rinascita russa, dall’estate del 2003. Indubbiamente ha fatto qualcosa di buono – certo di meglio dei furfanti traditori del PAB (poltiglia antiberlusconiana) – suo malgrado. Da qui molte incertezze e la guida di uno schieramento, in cui sono sempre state preponderanti le componenti filo-americane (e filo-israeliane) che hanno fra l’altro comportato abbandoni, scissioni, ecc. tali da creare continui disturbi per il governo del paese, ormai in condizioni pressoché di apnea.

  
Egli non vuole andare ad elezioni malgrado i sondaggi siano favorevoli. L’incerta maggioranza al Senato appare una scusa come le preoccupazioni per la situazione finanziaria e la possibilità di assalti speculativi contro di noi. E’ un chiaro imbroglio. Anche un cretino comprende la negatività per la situazione generale di questa incertezza. Per salvare i conti, si demoralizza la parte produttiva del paese, si lascia che la UE e altri (sempre al seguito di ipocriti e più sfuggenti comportamenti degli Usa) creino condizioni sfavorevoli ai nostri possibili ottimi affari verso “est” e “sud”. Non è credibile che Berlusconi sia proprio un cretino. Un pirla, dati i suoi comportamenti con puttanelle (e puttanone) varie, questo credo sia conclamato; il resto, no. Probabilmente, invece, vuol barcamenarsi non rispondendo più pienamente ai settori che avrebbero adesso massimo bisogno di difesa e di nuovo impulso per concludere ciò che è già felicemente in marcia da qualche anno, ma che rischia di impantanarsi.

   Sarebbe necessario non puntare più su quest’uomo ormai ridotto a fare maneggi vari per assicurarsi parlamentari del tutto infidi, con i quali si può galleggiare per qualche tempo, calando poi a fondo con tutti i veri interessi italiani. La sedicente sinistra, l’ammucchiata dei farabutti, traditori, venduti allo straniero, è in pappe. Se le si toglie l’ossigeno dell’antiberlusconismo, va a fondo, non ha più lo straccio di un’idea. Il terzo polo è ancora più maneggione del premier, e appena meno sconclusionato degli antiberlusconiani. Si pensi a togliere il tubo d’ossigeno a quest’uomo, che ormai ha fatto il suo tempo, è logoro e inconcludente. Se avesse uno “scatto di reni”, allora ….. Ma sembra veramente difficile. Non si pensi però a prese del potere indolori e senza urti con l’ignobile Europa detta Unita.

   Si stabiliscano contatti con alcuni paesi decisivi (Germania in testa) e si attui un colpo di mano opposto a quello della magistratura fellona (che va annientata velocemente), ma in modo chiaro, politico, nettamente contro il capitalismo concertativo (con i suoi sindacati e i suoi fasulli contrasti adatti ai cervelli del si o no), facendosi invece portatori degli interessi di industrie strategiche; quelle della nuova ondata innovativa – non complementari al sistema statunitense e con ottime prospettive invece verso “est” e “sud” – unite ai ceti medi produttivi e ai “quadri-e-competenti”, portando un colpo decisivo all’attuale sfera dell’impiego pubblico, da “razionalizzare” con radicale sfoltimento, che deve soprattutto riguardare il settore della cultura e dell’insegnamento, la cui “riforma” deve essere molto più energica e radicale rispetto a quanto fatto finora (e senza più riguardi per nessuno).

    E gli operai, sento gemere lagnosamente alcuni? Sono i più bastonati di tutti; se credete che non lo sappia, siete voi gli scemi. Non bisogna però che si piangano addosso né che altri piangano su di loro, facendosi portare dai fiumi di lacrime verso adeguati posti politici o di “uomini di cultura”, tutti ben remunerati dall’establishment. Gli operai – o, per meglio dire, i lavoratori delle mansioni esecutive privi o poco dotati di saperi specialistici, non però degli “scimmioni” come si pretendeva fossero quelli alla catena fordista (ma non lo erano invece) – devono sapersi uno spezzone importante del processo produttivo. Da un punto di vista culturale – in senso ampio, come collocazione nell’ambito di una società complessa con varie culture – non so bene che posto potrebbero occupare oggi, anche perché credo, tenuto conto dei lavoratori immigrati, che le sfaccettature siano tante. In ogni caso, hanno diritto a ricoprire un ruolo nient’affatto marginale nella società e quindi nella stessa distribuzione della “torta” (il reddito prodotto).

   Bisogna però che ci sia la produzione da spartirsi. Per cui, è giusto che facciano sentire alta la loro voce, senza però più seguire i bisonti che vorrebbero assegnare loro una sorta di patente di “nobiltà” per chissà quale “meravigliosa” società futura. Non hanno alcuna primogenitura (come nella vecchia teoria della “rivoluzione proletaria”); d’altra parte, non possono, non debbono, essere sempre i più bastonati. Però, allora, comincino a bastonare – o aiutare a bastonare – i sostenitori del capitalismo concertativo e parassitario, ivi compresi i politicanti dell’ammucchiata dei traditori e rinnegati e i dinosauri sindacali, con tutti gli intellettuali “nani e ballerini” al loro seguito.

Comincino, tanto per fare un esempio, a pretendere una vera e seria assistenza sanitaria, non a spese di chi produce (quindi anche a loro spese) con il mantenimento di pletore di impiegati negli uffici amministrativi del settore. Si difendano da certe diminuzioni di pensione (ma non si incaponiscano sempre, almeno non dappertutto, sull’età pensionabile attuale), ancora una volta appoggiando lo sfoltimento del personale degli Istituti previdenziali. Lo stesso dicasi per l’istruzione, cui tutti dovrebbero avere accesso, ma non certo i “signorini” che poi distruggono mezza città (gli operai diano un aiuto a pestarli con le famose “mani callose” su cui sbavano gli intellettualini da diporto della gauche caviar). Ecc. ecc.

Si facciano finalmente avanti coloro che si sono per troppo tempo nascosti dietro un uomo. E’ senz’altro schifoso che i rinnegati e traditori abbiano ridotto la lotta politica solo al “contro (o pro) quest’individuo”. E’ ormai ad un livello di ignominia intollerabile questa magistratura ad orologeria, assolutamente proterva nel perseguire sempre un individuo mentre salva i suoi avversari e non assolve i minimi doveri di solerzia e celerità (e trasparenza) dei processi “normali”. Tuttavia, il problema è l’assoluta apatia attuale di quest’uomo. O si dà una “scantata”, ma di quelle che gli facciano cascare i capelli trapiantati; o gli si tolga la spina e si compia il “giro di boa”. Certamente, però, occorre la forza contro i farabutti che stanno all’opposizione solo per tramare contro il paese, per infangarlo, per portarci alla sudditanza. Sono dei “Giuda”. Vengano infine perseguitati e, almeno per una volta, si capovolga la storia; li si metta sulla croce, inchiodandoli alle loro responsabilità di mascalzoni come nessuno mai ne aveva visti di eguali in Italia (e forse nel mondo). Muovetevi! 

    

NOTE

 

[1] <<<Il popolo tunisino «ha il diritto di scegliersi i suoi governanti» ha affermato la Casa Bianca, commentando la partenza da Tunisi di Ben Ali. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto elezioni libere oltre al rispetto dei diritti umani. In una dichiarazione diffusa in serata dalla Casa Bianca, Obama ha condannato qualsiasi violenza plaudendo alla dignità e al coraggio del popolo tunisino. [sottolineatura mia] «Chiedo con urgenza a tutte le parti di mantenere la calma ed evitare la violenza – scrive la Casa Bianca – e chiedo al governo tunisino di rispettare i diritti umani, di indire elezioni libere e corrette in un prossimo futuro, che riflettano la vera volontà e le aspirazioni del popolo tunisino».>>> Occorr
ono commenti?

    Ed ecco l’intervista a “L’Occidentale” di Souad Sbai, deputata del Pdl, andata con il Fli di Fini e poi rientrata all’ovile, sfegatata per il sedicente islamismo moderato, per la “rivoluzione verde” in Iran, anti-Hamas, ecc. ecc. Siamo sempre alle recite delle “rivoluzioni popolari”, di cui esemplare fu quella contro Ceausescu, con tanto di fosse comuni inventate (foto di quella di Timisoara con una ventina di vecchi scheletri fatti passare per 700 trucidati da pochi giorni), con il “popolo” che contestava l’ultimo discorso del “dittatore”, mentre si trattava di reparti di apparati di Stato al servizio della fazione di Iliescu accordatasi con Gorbaciov e che usufruì dell’opera dei Servizi russi. Non se ne può più degli idioti che stanno sempre con i “popoli” e le loro meravigliose rivolte, mai dirette da nessuno, solo popolari nella loro “essenza”. Sono però solo cretini o anche farabutti, giovinastri delle “rivoluzioni colorate”? Mah! Comunque, li si denunci subito non appena pronunciano la parola “popolo”, che insozzano con il vomito dei loro cervelli simili a cloache rigurgitanti.

 

Onorevole, chi ha sconfitto Ben Alì?

Quella in Tunisia è stata una vittoria dei giovani. Le rivoluzioni si fanno ancora in piazza ma si è accresciuta anche enormemente l'importanza di Internet per cambiare le cose. Ormai nessuno è immune alla forza della Rete.

Chi altro vince?

L'islam moderato, laico, anche molto laico. La vicenda di Ben Alì dimostra che i diritti umani vengono prima del pane. Non era una questione di prezzi ma una questione morale.

Un successo di cui le potenze occidentali possono rivendicare qualche merito?

Non direi. Ripeto, è stata una vittoria interna. Gli Stati Uniti e l'Occidente non hanno saputo denunciare che in Tunisia e nel Maghreb i diritti umani venivano schiacciati. Abbiamo chiuso gli occhi sulle minoranze, sulla condizione in cui venivano ridotti i giovani e le donne e invece…

Certe parole d'ordine continuano a dimostrarsi vincenti

Sfido quelli che dicono che non si può "esportare la democrazia". Offendono quei giovani che si stanno sollevando nel mondo arabo, che hanno la mente libera, forse solo virtualmente ma ce l'hanno.

Come mai i "nostri" ragazzi sembrano sordi a queste battaglie? In fondo Tunisi è più vicina di Teheran

Potrei sbrigarmela dicendo che si tratta di provincialismo ma in realtà è un discorso più complesso. I giovani italiani, i giovani occidentali, hanno già tutto. Hanno già la libertà ma hanno anche perso i vecchi punti di riferimento. C'è invece chi deve battersi 24 ore su 24 se vuol conquistarla.

All'orizzonte la grande onda iraniana…

La vera rivoluzione verrà dall'Iran. I giovani iraniani hanno subito il fondamentalismo religioso ma sanno anche che personaggi come Ahmadinejad non torneranno più.

Con Ben Alì fallisce il socialismo arabo

Era un socialismo corrotto, siamo caduti tutti in quell'errore. Un socialismo che ci ha consegnato all'estremismo islamico.

Adesso però c'è il rischio che arrivino gli estremisti

Sa cosa le dico? Sto vivendo un momento bellissimo, sono molto felice. So certamente che questo rischio è possibile ma non sarà peggio di una dittatura lunga un ventennio.

Che ruolo hanno giocato i militari nella crisi?

Va riconosciuto ad alcuni ufficiali di essersi ribellati: si sono dimessi, hanno bruciato le loro carte d'identità, hanno rifiutato di contrastare con la violenza le manifestazioni popolari. Ma mi fermo qui, in democrazia i militari devono restare al loro posto. Non è compito loro governare.

Cosa accadrà da oggi?

Il premier Gannouchi andrà in parlamento, otterrà un mandato o si sceglierà qualche nome nuovo in attesa delle prossime elezioni.

Che tipo è Gannouchi?

Uno di quelli che in Tunisia chiamano i "non corrotti". Passare il potere nelle sue mani è l'unica cosa buona che abbia fatto Ben Alì.

Il sottosegretario agli esteri Stefania Craxi ha chiesto di riconoscere i "giusti meriti" del presidente tunisino [è già la seconda volta che questa non brillante mente mi sorprende nel dire cose fuori del coro di “destra”, mentre Frattini……; nota mia].

Preferisco la posizione del ministro Frattini.

La Francia invece lo ha scortato con i suoi Falcon

I francesi non hanno forse dato ospitalità a Khomeini e a tanti altri terroristi arabi? Oggi Parigi gode di un monopolio in Nordafrica, negli ultimissimi anni ha rafforzato ancora maggiormente la sua posizione.

E la sinistra in Occidente?

Vedo molta ipocrisia. In Francia la chiamano "gauche burqa", la sinistra che relativizza le culture e non distingue il bene dal male, la sinistra che ha abdicato ai suoi stessi valori, giustificando governi autoritari e illiberali.

 

   [2] Debbo fare una piccola correzione a quanto ho spesso sostenuto ultimamente. Rimango nella sostanza negativo su gran parte del ’68. Ammetto tuttavia che allora si discuteva di problemi politici; c’erano già troppe “eruzioni” di populismo, ma nell’insieme la “politica al primo posto” occupava la scena. Sono stato, ad esempio, nettamente contrario alla politica delle BR, ma si trattava pur sempre di politica per tutta una prima fase. In effetti, non la trovo più, ma ricordo di aver scritto una critica al documento (mi sembra del ’69) del “Collettivo politico metropolitano”, fondato a Milano da Curcio & C., dopo essere usciti nell’autunno del ‘68 dal Pcd’I m-l (“Nuova Unità”), dove erano entrati nella primavera di quell’anno con tutto il gruppo di “Lavoro politico”, e dopo avere – il 30 o 31 maggio alla “Galleria 1+1” di Padova – criticato la “Proposta di discussione ai marxisti-leninisti italiani” (Libreria Feltrinelli), scritta da me ed altri due compagni padovani, in cui si sosteneva che era ora di fondare veramente il nuovo partito. Per Curcio esso invece già esisteva, ed era appunto il Pcd’I (m-l); salvo poi uscirne dopo una vacanza estiva all’estero – almeno così mi fu detto – andando a Milano a fondare il suddetto “Collettivo metropolitano” con quel che ne seguì. Tutto era in fondo politico, si basava su valutazioni della congiuntura, sulle quali ritengo che la storia mi abbia dato ragione (almeno rispetto a quei compagni; ho comunque commesso un errore fondamentale, ma in buona e nutrita compagnia, di cui parlerò quando, e se, riuscirò ad affrontare un nodo essenziale della storia del Pci in quegli anni). In seguito, però, con gli anni ’70 e soprattutto il &
rsquo;77, con le ulteriori ondate delle BR e di “Prima Linea”, ecc. tutto è velocemente degradato. Tuttavia, certamente, è soprattutto dagli anni ’90 che siamo andati a rotoli; la politica è scomparsa ed è rimasto il cervello a linguaggio binario.