CONTINUIAMO A RICORDARE (CIO’ CHE SI CERCA DI SCORDARE)
La morte di Pasquale Squitieri (cui rivolgo ancora un ricordo reverente) mi ha smosso pure un altro ricordo: una sua intervista a Malcolm Pagani (per il “Fatto quotidiano”, 17 sett. 2016, da me citata pochi giorni dopo in “Conflitti e strategie”), di cui riporto un pezzo, che m’ha intrigato perché confermava quello che sto dicendo da anni (direi da sempre in merito ad un certo evento):
A dire la verità odio, rancore e povertà c’erano anche ieri.
E lo dice a me? All’epoca in cui rapirono Aldo Moro, l’odio era nelle strade. Mario Cecchi Gori incaricò me e Nanni Balestrini di lavorare sul caso e nella ricerca della verità, io e Nanni ci spingemmo molto in là. Ero amico di Giovanni Leone, il Presidente della Repubblica. Il 10 maggio del ’78, il giorno dopo il ritrovamento di Moro nella R4 in Via Caetani, Leone mi convocò al Quirinale. Era stravolto: “Avevo firmato la grazia per alcuni brigatisti in cambio della libertà di Moro. Me l’hanno strappato di mano due persone. I nomi non te li dico. Fai il cinematografo, hai i figli, non voglio farti rischiare”.
Raccontò questa vicenda già in Registi d’Italia di Barbara Palombelli. Ha mai saputo chi fossero le due persone in questione?
Uno era Benigno Zaccagnini e l’altra Enrico Berlinguer. Fermarono la Grazia concessa da Leone. Come mi disse il Presidente: “non sono persone pericolose, ma pericolosissime”.
Immaginare due fautori del compromesso storico nel ruolo di aguzzini suona improbabile.
La pensi come vuole, l’ho sentito con le mie orecchie. Moro vivo non lo voleva nessuno. Erano tutti d’accordo. Gli americani decidevano, i politici di casa nostra eseguivano. i brigatisti fecero il lavoro sporco. L’organizzazione era infiltrata a ogni livello ed eterodiretta dai servizi segreti di mezza Europa. Leone fu reticente. Voleva proteggermi: “Maestro-gli dissi, le sembra che ne abbia bisogno?”. Allora mi rivelò disse i nomi dei due che gli strapparono la Grazia dalle mani: “Zaccagnini e Berlinguer”. Attendo smentite. Non arriveranno. La Democrazia Cristiana ha sempre ucciso i proprio figli. Come Crono, se li è mangiati uno dopo l’altro.
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Da anni (ma tanti, tanti) ripeto che Moro fu magari ucciso materialmente dalle BR, ma se ciò accadde esse di fatto agirono come semplice “mano d’opera”. Dietro c’erano certi ambienti americani, da me definiti “di riserva” perché di fatto, mentre quelli “ufficiali” seguono una data linea politica, questi preparano eventuali cambiamenti se diventano necessari. Facciamo un esempio: tra il 1967 e il 1974 gli Stati Uniti appoggiarono apertamente i Colonnelli in Grecia. Tuttavia, i suddetti ambienti “di riserva”, come minimo a partire dal ’70-’71, tennero rapporti con chi avrebbe poi sostituito quel regime (che non dava sufficienti garanzie di stabilità), cioè Karamanlis (di “destra”), ma anche con la “sinistra” rappresentata dal PC dell’interno (eurocomunista e ormai lontano dall’URSS). Il partito leader degli eurocomunisti era il PCI (ormai in mano alla frazione berlingueriana, anche se il loro leader diventerà Segretario nel 1972, ma già da vicesegretario nel ’69 aveva il controllo dell’apparato, con l’appoggio della frazione “ingraiana” e perfino la simpatia dei “manifestaioli”, buttati fuori in quell’anno o nel ‘70).
Sempre dal ’69 o ‘70, il PCI aveva iniziato discreti contatti con gli Stati Uniti, detto meglio con i suddetti “ambienti di riserva”. Nel settembre del ’73 ci fu l’incidente di Berlinguer a Sofia, che era con tutta probabilità un attentato. Mi permetto di sostenere che non si intendeva uccidere il Segretario piciista italiano; si voleva solo avvertirlo che le sue mene con gli USA erano note e che non si spingesse troppo oltre. La maggioranza del PCI non se ne diede per intesa e continuò nei suoi intrighi con gli americani; è ciò che non capisce il giornalista intervistatore di Squitieri. Leggete la sciocchezza che dice: è difficile pensare come aguzzini due fra i principali promotori del “compromesso storico”. Invece, proprio quel compromesso non era affatto un evento di esclusivo interesse nazionale; era una “carta d’imbarco” dei sedicenti comunisti italiani per i rapporti con l’oltreatlantico, processo in cui bisognava procedere con i piedi di piombo.
Nel PCI, infatti, esistevano ancora importanti porzioni filosovietiche. Il “compromesso storico” non doveva perciò far entrare il partito nel governo; solo qualche passo per iniziare il “giusto rodaggio”. Perché bisognava che non si avvicinasse troppo alla conoscenza di quel po’ che il nostro governo DC-PSI sapeva della NATO e di ciò che questa faceva. Il “rodaggio” del PCI berlingueriano si ebbe ad es. con i fatti del Cile nel settembre 1973. Berlinguer scrisse tre articoli su “Rinascita”, in cui sostenne che i comunisti dovevano pur sempre tenere conto che l’Italia faceva parte del “sistema atlantico” ed era quindi essenziale non preoccupare i “padroni” di quel sistema (non si espresse così, ma il senso era questo). Allende sarebbe stato troppo imprudente; si tenga conto che fu invece molto incerto e “timido” (anche in tema di semplice riforma agraria), sollevando l’opposizione netta della sinistra “radicale” (il MIR).
Nel giugno del 1976, in un’intervista a Pansa sul “Corriere”, Berlinguer compie un altro passo di quel “rodaggio”, dichiarando che era necessario accettare l’ombrello della NATO. Si accettava cioè quella “protezione” che era rivolta, in modo aggressivo, contro l’URSS. Successivamente, i piciisti (figlietti di Berlinguer) sostennero che, in base a documenti trovati in archivi sovietici, quella dichiarazione era conosciuta e anche approvata in URSS. Il che potrebbe corrispondere, ma solo in parte, a verità; nel senso che va riscritta pure la storia di quel paese durante il periodo della “cristallizzazione” brezneviana. E’ indubbio che quest’ultima fu dovuta alla presenza – pur dopo la defenestrazione di Krusciov (1964) in seguito alla mal condotta azione dei missili a Cuba (ottobre ’62) con l’iniziale accordo di Kennedy, poi saltato per intervento di dati settori USA – di due linee in contrasto, da cui poi infine emerse la vincitrice (1985) che mise alla segreteria Gorbaciov e condusse l’Unione Sovietica (con il “campo socialista”) allo sfacelo (1989 “crollo del muro” e agosto ’91 fine dell’URSS).
Tornando in Italia negli anni ’70, il “compromesso storico” trovò ampie garanzie nella “sinistra” diccì (di cui era personaggio decisivo proprio Zaccagnini e poi De Mita, Andreatta, ecc.). Andreotti volle fare come al solito il “troppo furbo” e si mise “in mezzo”, cercando di garantire che il “compromesso” si facesse, ma senza procurare troppi danni alla DC; perché vi erano già brutti sospetti circa le reali intenzioni degli americani in merito a quella parte di PCI che si stava spostando verso di loro. Nessuno poteva predire – e all’epoca nemmeno lo pensavano gli “ambienti di riserva” USA – quello che sarebbe accaduto con l’avvento di Gorbaciov e la dissoluzione del “socialismo”. Tuttavia, la DC era divisa. Fanfani non era d’accordo circa i rapporti tra PCI e ambienti USA; in questo appoggiato dall’esterno dal socialista Craxi, che si rese almeno in buona parte conto del pericolo incombente anche per il suo partito. Moro era decisamente contrario, ma non lo disse apertamente (anzi piuttosto finse il contrario, in sede “pubblica”), sapendo che i contatti del PCI non erano con nuclei dirigenti americani di poco conto.
Egli fu, inoltre, messo in difficoltà dall’andamento delle vicende cilene, che comportarono la sua sostanziale rottura con Eduardo Frei. Questi fu presidente del Cile prima di Allende, con ottimi rapporti appunto con Moro, da cui nacquero iniziative in comune, fra cui una non irrilevante “agenzia stampa”, che ebbe piuttosto fortuna in seguito come tale; ma che all’inizio forse non era una semplice agenzia stampa. Frei a quel tempo non era troppo legato agli Usa, anzi si permetteva “aneliti” di autonomia. Dai rapporti amichevoli tra lui e Moro nacquero buone occasioni di fruttuosi affari per l’imprenditoria italiana. E non vi era solo la questione economica, ma anche quella politica, una certa qual influenza di settori italiani in Sud America (dove di nostri emigrati italiani, di varie successive generazioni, ce ne sono molti). Non credo che gli Usa fossero del tutto contenti di simili rapporti, anche se certo non erano molto preoccupati di un minimo di penetrazione italiana nel loro “giardino di casa”. Con la vittoria di Allende nel 1970, Frei ebbe un forte “ripensamento”, si avvicinò in modo deciso agli ambienti americani; e proprio a quelli che andarono organizzando il successivo colpo di Stato di Pinochet.
Fu un avvertimento per Moro; bisognava riconsiderare molte cose e non irritare troppo quegli ambienti statunitensi, che erano in definitiva in sella nel loro paese e premevano, in Italia, per il “compromesso storico”, un evento in grado di favorire l’ulteriore allontanamento dell’eurocomunismo dall’URSS, con qualche indebolimento dei settori dirigenziali sovietici che si opponevano all’ascesa di quelli poi emersi con Gorbaciov. Gli articoli di Berlinguer sul colpo di Stato in Cile pubblicati in “Rinascita” e soprattutto, dopo qualche anno (1976), l’intervista in cui accettava esplicitamente la funzione della NATO, non potevano non allarmare Moro. Non che potesse immaginare quel che accadde a 15 anni dalla sua morte; tuttavia, intuì che vi erano pericoli di una diminuzione dell’importanza attribuita dagli Stati Uniti alla DC. Immagino che anche l’altro “grande” di tale partito, Andreotti, se ne rese conto; tuttavia, credé di potersi comportare come al suo solito, con i suoi maneggi compromissori e “tutto facenti”; questa volta si trattava però di un “ossetto” duro da rosicchiare.
Bene, si arriva così al 1978 e al finalmente realizzato passo decisivo per gli accordi tra PCI – sempre la parte che sappiamo, ormai nettamente maggioritaria anche per la mania dei suoi avversari di manovrare sotto sotto, senza mai appellarsi “alla base” chiarendo bene i motivi del dissenso e il cambio di campo che si approssimava – e gli ambienti statunitensi. Un importante dirigente piciista è invitato e si prepara al ben noto viaggio “culturale” negli USA. Moro è viepiù preoccupato ma, mi sbaglierò, tiene stretti alcuni documenti che possono intralciare le manovre in atto. Intendiamoci: non perché vi sia una qualsiasi minaccia di divulgarli (non lo si fa mai, in genere documenti di quel tipo sono dannosi anche per il prestigio di chi li possiede e che ha anche lui magari compiuto manovre sotterranee da non rivelare), ma servono pur sempre da deterrente perché possono comportare ricatti vari, minaccia di rivelarli ai nemici che ogni dirigente di partito ha perfino nello stesso suo gruppo d’appartenenza o in quelli di opposizione a quest’ultimo, ecc. Se simili documenti ci sono stati, non furono depositati né nella propria casa né al Ministero; meglio portarseli dietro, non separarsene. Solo che non era previsto l’attentato in via Fani e il rapimento, avvenuto pochi giorni prima che iniziasse quel bel viaggio “culturale” del piciista importante e per importanti contatti negli Usa (direi quelli decisivi).
Della borsa, dove comunque dei documenti vi erano, non si è saputo gran che. Le “valorose” BR non mi sembra abbiano mai detto con chiarezza cosa vi fosse. Alcuni documenti furono ritrovati in seguito, se ben ricordo, ma non certo quelli veramente rilevanti. Nemmeno esisteranno più ormai. E comunque, non ha poi grande rilevanza sapere cosa vi fosse o meno. Resta il fatto che durante la prigionia di Moro, si mossero per salvarlo Fanfani e Craxi; PCI e sinistra DC erano per non trattare con i “delinquenti”, perché ciò avrebbe indebolito la fiducia dei cittadini nello Stato. Un esponente dei diccì di sinistra fece una seduta spiritica, in cui un “fantasma” rivelò un nome “fatale”: Gradoli. Questo poteva essere magari un segnale alle BR che dovevano sbrigarsi a liberarsi di Moro per evitare “grane”. Ma chi voleva invece salvarlo riuscì a dirottare le ricerche sul borgo antico con quel nome.
Per inciso, dico di essere convintissimo che si sapeva bene dove si trovava Moro, ma qualsiasi tentativo improprio e affrettato di liberarlo l’avrebbe invece perduto, accelerando l’esecuzione. Insomma, la solita pantomima disgustosa dei “poteri costituiti”, in specie quando questi sono dipendenti e servi di un paese straniero (gli USA). E gli “ambienti” prevalenti in tale paese avevano deciso per gli accordi segreti con un partito che avrebbe avuto in seguito la sua rilevanza. Il “compromesso storico” era stato ormai realizzato; chi faceva finta d’essere d’accordo su tutto, ma aveva potere sufficiente (e informazioni) per frapporre intralci vari, era certo fastidioso. Tuttavia, debbo dire che non mi sembra egualmente fossero riunite tutte le condizioni per volere la soppressione violenta di Moro. Non credo avesse modo di infastidire troppo gli “ambienti” USA. Ci deve essere stato qualcosa d’altro – e forse di più intrinseco agli intrighi svolti specificamente in ambito italiano – che resta un punto interrogativo. Forse vi era modo, se Moro fosse uscito vivo dall’accadimento, di creare scompiglio nel PCI e mettere i bastoni fra le ruote di chi lo aveva ormai in mano e conduceva il gioco del progressivo riconoscimento (e “riconoscenza”) da parte americana.
Concludiamo in ogni caso con una notazione molto evidente, ma solo per chi sa fare 2+2=4 (è facile no? Ma il popolo spesso non lo sa fare). Quindici anni dopo il “delitto Moro”, crollati il “socialismo reale” e l’URSS, venuto allo scoperto il falso (da ormai vent’anni e oltre) PCI, che aveva anche mutato il suo nome per essere ancora più esplicito nel suo cambio di campo a favore degli USA, si ha la liquidazione giudiziaria – favorita e spinta anche da oltre atlantico (con un magistrato, di cui si è anche un po’ discusso il come era entrato in Magistratura, che sembrava avere addentellati e “conoscenze” nei Servizi di quel paese) – della prima Repubblica. E, guarda caso, chi viene salvato dalla “bufera”? Il “fu PCI” (ormai totalmente in mano ai “figliastri” berlingueriani) e la sinistra DC. La povera Tiziana Parenti (magistrato addetto alle indagini sugli “affari” del PCI) viene impedita a compiere il suo lavoro e, mi sembra, anche rimossa infine. Il miliardo di Gardini, seguito fino al piano IV delle Botteghe Oscure (quello della Direzione del partito, almeno quando io vi andai nei primi anni ’70, spingendomi fino a trovare “qualcuno” al piano V, quello della segreteria), è infine dato per “disperso” e anche in quel caso l’indagine si arena. Ma insomma, era pur tuttavia arrivato al PCI; interessava solo la persona specifica?
In definitiva, con la prima Repubblica finisce anche gran parte della DC e il PSI di Craxi, quelli che volevano salvare Moro; vengono “graziati”, anzi salgono sugli “altari”, i “fu piciisti” (quelli della parte maggioritaria, gli altri sono ormai in gran parte usciti per “rifondare” l’“irrifondabile”) e la “sinistra” DC, cioè quelli che volevano Moro “non più tanto adatto” a opporsi a ciò cui nessuno doveva più opporsi: il “compromesso storico”, come primo passo di accettazione del “fu partito filosovietico” nel campo atlantico, in attesa di vedere come utilizzarlo in seguito, cosa che fu subito chiara dopo il crollo dell’URSS. Dicevo prima: 2+2=4. E dopo un quarto di secolo ancora non si compie un’operazione tanto semplice. Che qualcuno si opponga al chiarimento? Anche per capire chi si può opporre aiuta sempre la precedente semplicissima operazioncina aritmetica. E i liquidatori di Moro – o meglio i loro successori – sono ancora qui a devastare questo povero paese nostro. Chi si deciderà a toglierli di mezzo come accadde a Moro? Non però con un assassinio mascherato da “azione rivoluzionaria”; con autentici processi, anche se spesso indiziari, e condanne esemplari.