CRISI FINANZIARIA. G. DUCHINI
CRISI FINANZIARIA
L’economia degli USA è stato l’epicentro della crisi, con un gigantesco indebitamento e con una sequela di indicatori quali l’inflazione degli investimenti nel settore immobiliare, l’indebitamento delle famiglie, ed il rallentamento della produzione, cioè in pratica i segni tipici di una grande crisi finanziaria configurata, oggi come ieri, in una Grande Depressione.
Come è noto la crisi finanziaria scoppiata negli Usa affonda le sue radici nella bolla del mercato immobiliare, alimentata da enormi e prolungati aumenti dei prezzi delle case e da un costante afflusso di capitali esteri a basso costo. Nel 2005 si realizza il punto più alto della bolla ed i prezzi reali delle case sono lievitate di oltre il 12%, cioè circa sei volte il tasso di incremento del Pil. Verso la metà del 2007 il netto aumento delle percentuali di default sui mutui per la casa contratti negli USA da persone di basso reddito ha acceso la miccia di un panico finanziario globale. Ma contrariamente ad ogni previsione ed in netta controtendenza a quanto si presumerebbe essere una lecita (re)azione circa gli effetti da prodursi, il dollaro si rivalutò ed i tassi d’interessi scesero poiché gli investitori mondiali considerarono gli altri paesi ancora più rischiosi degli Usa e conseguentemente acquistarono abbondanti quantità di titoli del Tesoro statunitense.
Ma è anzitutto il segno dei tempi poiché gli Usa sono in grado di scaricare le proprie crisi sul mondo intero ed in particolare sulla vecchia Europa.
Manca il movente principale: a chi serve tutto questo? E’ in atto da una profondo e vasto sommovimento dell’intero costruzione capitalistica in una possente opera di ristrutturazione che ci porterà se non ora ma in un futuro non lontano verso nuovi lidi.
Dalle crisi finanziarie alle crisi bancarie il passo è breve. Si moltiplicano all’infinito le banche in difficoltà, come Mps e Carige i cui titoli sono caduti sotto la soglia psicologica di 1 euro e migliaia di portafogli straziati dalle perdite e da ultimo da Banca Etruria a Banca Marche, CariFerrara, CariChieti con correntisti che avevano investito su suggerimento degli impiegati delle stesse banche con un vergognoso scaricabarile. Il governo aveva già annunciato il salvataggio delle banche, ma aveva dimenticato di aggiungere che il conto sarebbe stato pagato dai risparmiatori.
La Banca d’Italia disse che l’attività di vigilanza fu impeccabile. I responsabili del crack, secondo via Nazionale, vanno ricercati tra i capi dei quattro istituti che hanno concesso prestiti a destra ed a manca e poi la Commissione Ue non ha permesso all’Italia di utilizzare il fondo interbancario di garanzia sui depositi. Da Bruxelles hanno replicato che i loro uffici avevano proposto soluzioni che non imponevano sacrifici per gli investitori ma che il governo italiano non accettò. Non sapremo mai come si sono svolti i fatti.
Nel frattempo si registra una certa fibrillazione dei mercati che hanno coinciso con una serie di fattori uno in particolare sulla reale crescita del Pil cinese che il governo stima intorno al 7% (o forse meno) e che può significare un certo rallentamento dell’economia. E neppure il continuo ribasso del prezzo del petrolio può essere imputato del tonfo verso la caduta dell’intera economia mondiale.
Aggiungiamo una breve notarella di Gianfranco La Grassa sul significato di crisi finanziaria: “La crisi finanziaria non è sintomo del parassitismo del capitale ma semmai prodotta dagli agenti strategici finanziari che moltiplicando gli specchi monetari provocano un forte scompenso su quello che dovrebbe essere un semplice duplicato della forma di merce.
Niente dunque parassitismo ma modifica sui flussi conflittuali (e quindi monetari) sulla trama dei tre comparti: economico (produttivo e finanziario), politico (ivi compreso lo Stato), ideologico-culturale.
L’alterazione dei flussi non è di tipo deterministico e non può essere prevista nei suoi tempi. Si può solo dire che l’uso speculativo di denaro può accentuare il conflitto tra i dominanti (soprattutto quelli della sfera politica).
La conflittualità presenta un lato preminente di distruzione del vecchio con creazione del nuovo nel preciso intento dei rapporti di forza in atto dentro il reticolo conflittuale. Se è prevalente la moltiplicazione degli specchi emessi dagli agenti finanziari nell’immagine delle merci prodotte, lo sbocco non può che essere distruttivo. Se riescono a prendere il sopravvento i nuovi agenti della sfera politica che si alleano con i produttivi-innovativi, diventa altamente probabile il risultato finale nella nuova fase che verrà a determinarsi: la fase creatrice”.
GIANNI DUCHINI gennaio 2016