CRISI GEOPOLITICA E CRISI FINANZIARIA di G.P.
In molteplici analisi è stata da noi messa in evidenza la non coincidenza tra apparenza fenomenica (finanziaria) della crisi in atto ed essenza della stessa che, invece, va necessariamente ricercata nei sommovimenti geopolitici, i quali preannunciano una nuova configurazione (o, per lo meno, riconfigurazione) dei rapporti di forza a livello mondiale.
L’errore di considerare gli aspetti più superficiali e visibili della debacle finanziaria come quelli preponderanti per spiegare l’evoluzione della presente fase di fibrillazione sistemica è comune tanto ai cosiddetti economisti di “apparato” (i quali hanno sempre pronto un ricettario di interventi di ripristino, puntualmente inefficaci perché intrisi di ideologia mercatista e di “classe”) che ai presunti critici (con quest’ultimi che moltiplicano geometricamente le loro fandonie – leggere gli articoli di un Petras, solo per citare qualche esempio che attraversa i confini internazionali – per non ammettere che gli strumenti teorici a loro disposizione sono ormai inservibili ad illuminare quanto sta effettivamente accadendo).
Abbiamo già detto che la crisi finanziaria costituisce la scena primigenia di un trapasso d’epoca che nessuna rivisitazione delle regole del sistema economico, o riesame degli aspetti morali e valoriali con i quali gli attori economici si muovono nel loro ambiente, potrà mai smorzare.
Ritengo che da questo punto di vista gli articoli e i saggi di
Eppure la stessa coincidenza tra caos geopolitico e crollo degli indici finanziari avrebbe dovuto, quanto meno, spingere ad una più attenta valutazione della correlazione qui messa in evidenza. Come ha brillantemente esposto
Con i processi di allargamento e di accentramento del sistema creditizio cresce, come sostenuto anche da Marx (che però vedeva in tutto ciò una inarrestabile propensione del capitalismo ad assumere caratteri viepiù parassitari), la forza degli agenti in tale sfera. Per i più attenti, la storia ha già dimostrato che non si tratta, in ogni caso, di un processo definitivo ma di una periodicità reversibile, per quanto sempre trasformativa dei precedenti assetti sistemici.
Come dicevo, anche Marx sottolineava che con l’allargamento della sfera finanziaria i banchieri, i potenti prestatori di denaro, gli usurai ecc. ecc. iniziavano a pullulare quale “classe di parassiti” che godeva di “una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione effettiva — e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa”. Quest’ultimi intervenivano pesantemente sui decisori politici per ottenere una legislazione favorevole ed una serie di “impunità normative” che “costituiscono una prova della forza crescente di questi banditi ai quali si uniscono i finanzieri e gli stock – jobbers (Speculatori di Borsa)”.
Marcello Foa riportava, a tal proposito, in un articolo pubblicato sul suo blog ieri, che sono bastati 370 mln alle “25 principali finanziarie americane per condurre operazioni di lobbying al fine di “impedire che il Congresso americano approvasse le leggi presentate dai pochi deputati che intendevano regolare e limitare il mercato dei subprime”. Ed ancora: “21 delle 25 istituzioni finanziarie erano sostenute da grandi banche che hanno poi beneficiato dei sussidi pubblici erogati dall’Amministrazione americana a carico del contribuente. I nomi sono sempre gli stessi: Citigroup, Goldman Sachs, Wells Fargo, JPMorgan, Bank of America…L’industria finanziaria nell’ultimo decennio ha finanziato campagne elettorali per 2,2 miliardi di dollari.”
Marx, tuttavia, non commette mai l’errore di considerare la crisi finanziaria come bastante a far crollare il sistema. Nel suo ragionamento è innanzitutto il corto circuito a livello dei rapporti sociali della formazione borghese, tanto nella sfera produttiva (dove si riscontra l’impossibilità sistemica di sviluppare le forze di produzione) che in quella politica (dove la classe di rentier, estremamente ridotta di numero e aliena alla produzione, si trova a fronteggiare la massa dei lavoratori associati, il vero soggetto affossatore del capitalismo, ormai conscia di poter prendere il potere in quanto maggioritaria) a far risuonare le campane a morte per il capitalismo. Ciò non toglie che anche la prospettiva del pensatore tedesco, per quanto meno angusta di quella degli attuali esegeti del suo pensiero, sia di tipo economicistico e non contemplante tutti quei fattori da noi oggi ritenuti fondamentali.
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Bastano una lobby e 370 milioni per rovinare il mondo…di M. Foa
Onore a The Center for the Public Integrity un centro studi che qualche giorno fa ha svelato quanti soldi sono necessari per mandare all’aria l’economia mondiale: 370 milioni di dollari ( circa 277 milioni di euro). In fondo, neanche tanti, a condizioni di spenderli nel posto giusto: ovvero a Washington. Già, perchè questa è la somma investita in dieci anni dalle 25 principali finanziarie americane in operazioni di lobbying per impedire che il Congresso americano approvasse le leggi presentate dai pochi deputati che intedevano regolare e limitare il mercato dei subprime. Operazione riuscita, come noto, e per molti anni straordinariamente redditizia: perchè quei 370 milioni hanno permesso di generare un business da mille miliardi di dollari.
Il centro studi rivela anche che 21 delle 25 istituzioni finanziarie erano sostenute da grandi banche che hanno poi beneficiato dei sussidi pubblici erogati dall’Amministrazione americana a carico del contribuente. I nomi sono sempre gli stessi: Citigroup, Goldman Sachs, Wells Fargo, JPMorgan, Bank of America.
E un altro centro studi, il Centre for Responsive Politics, ha scoperto che l’industria finanziaria nell’ultimo decennio ha finanziato campagne elettorali per 2,2 miliardi di dollari. Anche l’ultima dell’anno. Il maggior beneficiario? Barack Obama, naturalmente, che ha incassato 14 milioni di dollari.
Queste cifre dimostrano, una volta di più, che il grande problema della democrazia americana è costituito dalle lobbies e in particolare da quelle legate alle banche. Nonostante molti annunci retorici e la promessa di cambiamento (change we can believe in, yes we can) , nulla viene fatto per migliorare la situazione. Dietro le quinte le lobbies sono, anzi, sempre più influenti. L’ultimo indizio? La riforma delle leggi sulle carte di credito. Il progetto di legge prevedeva l’imposizione di un tetto d’interesse massimo sui debiti accumulati e siccome negli Usa la maggior parte dei consumatori paga a rate, la misura era molto importante. Sarebbe stata altamente auspicabile anche per far ripartire l’economia, perchè pretendendo interessi meno alti, la gente dispone di maggior reddito ed è incoraggiata al consumo. Ma il Congresso l’ha cancellata e istituzioni finanziarie potranno continuare a imporre i tassi con libero arbitrio. Insomma, negli Usa l’usura continuerà ad essere legale. Perchè fa comodo alla casta di Wall Street, che ha portato alla rovina il mondo, E continua a comandare, compromettendo, fino ad oggi, l’ambizione – anzi l’utopia – di un autentico risanamento.