CUBA INIZIA IL DIBATTITO SUL CAMBIAMENTO
I cubani alzano la voce contro divieti e cattiva gestione statale che complica la vita quotidiana
di Maurizio Vicent – 2010912007
Perché un Cubano non può alloggiare in un hotel anche se dispone di dollari ottenuti onestamente? Si deve esercitare la solidarietà con altri paesi nel settore sanitario, quando in seguito a questa collaborazione i servizi medici si sono particolarmente deteriorati nel paese? È possibile evitare la corruzione quando nel frattempo si pagano salari infimi? Perché lo stato non stimola la creazione di cooperative e piccole imprese in settori nei quali la sua gestione ha dimostrato di essere inefficace? Reclami e ragioni di questo tipo che mettono in questione le politiche ufficiali fino ad oggi immodificabili, sono stati ascoltati in questi giorni in riunioni ed assemblee tenute nell’isola. Non si tratta di una spontanea rivolta popolare. Niente a che vedere. Ma l’inizio del dibattito nelle cellule di base del partito comunista (PCC), centri di lavoro e comitati di difesa della rivoluzione (cdr) dopo il discorso che ha pronunciato Raul Castro il 26 luglio scorso, nel quale ha annunciato cambiamenti “strutturali” e “di concezione” per risolvere i problemi economici, scoperchiando così una cassa di tuoni. La discussione, resa propizia dalle autorità con l’obiettivo di esprimere liberamente ogni preoccupazione o proposta, sta causando una vera catarsi collettiva: alluvioni di critiche alla selva disordinata di ostacoli e divieti inutili che rendono la vita difficile alla gente; reclami sul debole potere d’acquisto dei salari o sulla situazione disastrosa del trasporto e l’alloggio; denunzia delle contraddizioni più dure, a partire dalla dualità monetaria e gli alti prezzi degli articoli di base che possono essere acquistati soltanto in divisa estera, quando la maggioranza percepisce salari esigui in valuta nazionale. “Il messaggio fondamentale è che a Cuba sono necessari dei cambiamenti, e prima arrivano meglio è”, riassume un avvocato che ha preso parte ad una delle assemblee di zona. Indipendentemente dai luoghi dove sono effettuati, i reclami e le preoccupazioni della gente sono simili, benché il livello e la profondità delle analisi differisca. Le lamentele dinanzi alle calamità quotidiane, hanno dato spazio, in alcuni luoghi, a questioni più profonde. Nella CUJAE, la più grande università politecnica dell’ Havana, il dibattito tra i militanti della gioventù comunista ha evidenziato la necessità di rimettere in discussione “le relazioni di proprietà” nel socialismo. Così come in altre atmosfere accademiche, si sono approcciati problemi come quello di quella “statizzazione” eccessiva che soffoca lo sviluppo economico e la necessità di favorire la creazione di cooperative e di consentire la piccola impresa privata per stimolare la produzione. All’inizio della settimana scorsa, il cdr di La Puntilla, nella divisione di Miramar, una delle zone bene della Havana, ha tenuto la sua assemblea. Si è spiegato alla gente che poteva esprimere ogni parere e che della riunione sarebbe venuto fuori un atto che sarebbe stato rimesso al comitato comunale del PCC, laddove uno staff è incaricato di ricevere le relazioni e di trasmettere i reclami e le proposte alle istanze superiori. Dopo la lettura del discorso – di circa un’ora – sono cominciati gli interventi. La riunione è iniziata con un certa tiepidezza ma è andata in crescendo. “Si è arrivati a mettere in discussione la politica di inviare i giovani alle
scuole del campo – in quanto non ci sono le giuste condizioni di alimentazione né risorse per occuparsi di essi adeguatamente -, o a criticare le autorità che se la prendono contro i pensionati che fanno qualche piccolo affare per sopravvivere, come vendere arachidi arrostite, laddove le vere cause della corruzione sarebbero altre”; la prima, è quella che con un salario normale non si può vivere dignitosamente “, ha commentato uno degli abitanti. Tutto uno simbolo: l’idea più ribadita a La Puntilla, ed in altre riunioni di cui ha saputo questo giornale, è stata una citazione del discorso di Raúl: “Rivoluzione è il senso del momento storico, è cambiare tutto ciò che deve essere cambiato…”. Quelle parole, il 26 luglio, hanno aperto alcune aspettative a Cuba. Con tono realistico ed autocritico, Raúl Castro ha menzionato i bisogni che più opprimono i cubani, tra questi, i salari insufficienti per vivere, ammettendo che occorreva “trasformare concezioni e metodi ormai superati”. Secondo il dire popolare, è proprio il presidente temporaneo quello che ha chiesto il dibattito e ha sollecitato che non si trucchino i risultati e le motivazioni, per duri che siano. Le discussioni saranno estese a tutto il paese tra le prossime settimane, ma, per quello che si sa adesso, la gente non risparmia le critiche. Nel quotidiano Granma, tempio dell’ideologia, è apparso con forza un quesito che già solleva il clamore popolare: la lamentela per il deterioramento della sanità pubblica per l’invio di medici e risorse al Venezuela, politica fino ad oggi indiscutibile. E in alcuni centri accademici si sono richiesti sia più grandi spazi di partecipazione sia di poter maggiormente influenzare le decisioni politiche. I limiti di tutto ciò? Alcuni ricordano che all’inizio degli anni novanta ha avuto luogo un processo simile. “La gente ha parlato gomito a gomito, ma è stato fatto poco “, garantisce un ex militante comunista . Come lui, ci sono molti scettici che si inchinano al “vedere per credere”. Una figura politica compromessa con l’attuale linea opina: “quello che sta emergendo ora è la stessa cosa che la gente dice per strada e in casa”. Cosciente che il concetto chiave nel dibattito che comincia è il cambiamento, afferma “o facciamo tale mutamento o lo farà la storia”.
(L’Avana – 19/09/2007) trad. GP