DA MARX IN AVANTI: NON COME I GAMBERI

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Ho avuto fin dall’inizio qualche perplessità sul nome del blog (e del sito), poiché poteva qualificarci come il solito gruppettazzo in vena di rifondare qualcosa di ormai irriformabile. Tuttavia, ho sempre considerato Marx (e Lenin) un punto fermo dal quale non arretrare. Sono sovente irritato poiché sono invece obbligato ad arrestarmi su Marx di fronte a insipidi (o truffaldini) tentativi di annientare tale pensatore rivoluzionario, facendo finta di voler andare oltre il suo orizzonte teorico. Il pezzo di Mauro illustra bene questi tentativi, pur parlando dei (forse) meno peggiori ed essendo fin troppo buono nei confronti di questi (consapevoli o incoscienti?) distruttori, che fingono di parlare a volte di Marx – approfittando di tanti ignoranti che non lo conoscono – per ridurlo a un pasticcione inverecondo.
Non seguo nemmeno tutti gli arzigogoli di costoro, fra cui un posto di primo piano è occupato da O’Connor, del cui finto marxismo mi sono subito accorto già oltre trent’anni fa, mentre i “grandi rivoluzionari” di quell’epoca lo prendevano per un eccelso marxista innovatore, così come si fece di molti “cattivi maestri” sessantottardi nostrani di origine “operaista”. Oggi però siamo andati ben oltre nello spruzzare apertamente il proprio veleno contro un Marx del tutto inventato per poterlo meglio demolire.
Mi interessa affrontare qui solo un punto: l’annientamento di ogni realistico discorso intorno al conflitto sociale, che è, nel suo aspetto decisivo, lotta tra gruppi di interesse o tra grossi raggruppamenti in opposizione antagonistica, in determinate fasi storiche, per ragioni oggettive; soprattutto quando si presentano congiunture di crisi di forte intensità in dati punti della formazione sociale complessiva. Nel pezzo di Mauro mi sembra si parli soprattutto di coloro i quali, partendo magari dai temi dello sviluppo sostenibile, cianciano del conflitto intergenerazionale. I padri non dovrebbero far nulla che dilapidi le risorse necessarie a far vivere i figli meglio (o almeno come loro). Chissà cosa penseranno i parenti dei morti alla Thiessen-Krupp (e tanti altri), sapendo che sono responsabili – tanto quanto la proprietà e il management dell’azienda; e tanto quanto i Montezemolo e i Marchionne, i Bazoli e i Profumo, i Bill Gates e i Rothschild, ecc. ecc. – del brutto avvenire che si presenta davanti alle “nuove generazioni”.
Il conflitto intergenerazionale risente dell’ideologia neoclassica, poiché i “soggetti individuali” di quest’ultima, la cui interazione stabilisce le regole del sistema, possono benissimo essere visti come gruppi familiari, in cui i padri debbono graduare (dunque valutare) i loro bisogni in relazione a quelli futuri dei figli, ecc. L’importante è che non si accenni a quelli che nel marxismo sono i conflitti di classe. L’operazione di tutti gli opportunisti (e imbroglioni) di sinistra – ma la destra non fa nulla di meglio – risulta abbastanza evidente nelle sue mistificazioni e mascheramenti ideologici. Innanzitutto, si è ridotto il conflitto di classe a quello capitale/lavoro, meramente distributivo (del reddito: tra profitto e salario). L’antagonismo nella teoria marxiana – secondo cui la tendenza predominante nella società sarebbe stata la sua divisione in un gruppo di capitalisti meri rentier, ad un polo, e nel “lavoratore produttivo cooperativo”, all’altro – veniva pensato quale conflitto rivoluzionario tendente alla transizione dalla proprietà capitalistica (ormai finanziaria) a quella dei produttori associati, base del futuro avvento di una società pienamente comunista.
Il movimento operaio occidentale, sia socialdemocratico che piciista, l’ha ridotto al semplice confronto/scontro per la spartizione della torta, per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro, e qualche fetta del potere puramente politico-parlamentare pur sempre al servizio di questo o quel gruppo dominante capitalistico; al massimo, e fino ad un periodo relativamente recente, con la stupida e ideologica preferenza per il sedicente “pubblico”, uno dei più colossali inganni perpetrati contro i dominati, che si sono sempre fatti pelare dai dominanti pur di mantenere questo pessimo surrogato del “collettivo”. Tale degenerazione del conflitto di classe ha favorito l’ascesa sociale (tramite partiti e sindacati) di certi rappresentanti del lavoro salariato, divenuti puri funzionari di tipo “pubblico”, messi in sostanza nella “busta paga” dei capitalisti dominanti (i gruppi più arretrati e parassiti, almeno in Italia). A un certo punto, una volta che anche i più bassi livelli di reddito sono
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divenuti, nel capitalismo avanzato, “dignitosi” (almeno fino a qualche tempo fa), la difesa dei lavoratori salariati (gli “operai”), e dunque il conflitto capitale/lavoro, sono divenuti insufficienti al fine di alimentare quote di elettorato indispensabili al mantenimento del miserabile piccolo potere di questi politici e sindacalisti. Così sono fioriti tutti gli altri conflitti di “supporto”: femmine contro maschi, omosessuali contro eterosessuali, figli contro padri, difesa dell’ambiente contro la sua devastazione, e via dicendo.
Non si deve fare nessuna concessione al conflitto intergenerazionale così come agli altri conflitti che, in uno sfacciato sfoggio di eclettismo, vengono mescolati alla rinfusa per rincoglionire gli elettori e crearsi le proprie mangiatoie di voti. Qualcuno obietterà: ma esistono questi altri conflitti! Certamente si, esistono: proprio come esiste il “libero scambio” e l’eguaglianza formale tra gli individui in quanto siano considerati solo quali possessori di merci; esattamente com’è valido, in una società già capitalistica, il calcolo di utilità necessario a distribuire una nostra qualche risorsa (ad esempio il reddito guadagnato o il tempo di cui disponiamo) tra diversi impieghi. Si dà il caso che Marx smascherò che cosa c’è dietro l’eguaglianza, la libertà degli scambi, ecc. Il “poveretto” non immaginava però che la sua teoria dell’antagonismo sociale, legato allo sfruttamento ecc., potesse servire un giorno – dopo averla annacquata in banale pensiero del conflitto “tradunionistico” (sindacale) con la sua appendice politico-parlamentare, onde poi ulteriormente avvolgerla nell’“inchiostro di seppia” di tutti gli altri conflitti sopra considerati – a squallidi “funzionari” per erigere un sistema di scandalosi privilegi sulla pelle dei lavoratori (di chiunque lavori sul serio).
Vorrei andare avanti rispetto a Marx perché, se il movimento operaio è degenerato ed è servito da trampolino di lancio per questi ben pagati servitori delle peggiori bande capitalistiche, qualche errore di prospettiva doveva pur esserci nella sua teorizzazione. Non sto qui a ripetere dove ho visto la debolezza del pensiero marxiano, poiché ormai nel sito (oltre che in molti libri) si trovano innumerevoli mie considerazioni a tal proposito. Ho inoltre chiarito che i miei accenni di “nuova” teorizzazione sono di fase, scontano l’epoca di transizione in cui ci troviamo e la non ancora avvenuta precipitazione, sedimentazione, di nuove forme del rapporto tra dominanti e dominati. E’ dunque ovvio che ritengo non ancora del tutto chiari i sintomi premonitori di nuovi movimenti sociali, effettivamente antagonistici, cioè di rivolta dei dominati con tentativi di radicale rivoluzionamento dell’attuale formazione sociale (trattata sia nella sua globalità che nelle sue differenti partizioni). Certamente, però, non è mai stata mia intenzione confondere le acque, far calare “la notte in cui tutte le vacche sono nere”, come fanno gli scherani delle varie gang capitalistiche.
Le persone dotate di intelligenza – e di conoscenza della teoria e pratica rivoluzionaria di Lenin e Mao – capiscono benissimo come, nell’attuale fase di transizione (non certo al socialismo), il conflitto tra dominanti, e quello tra formazioni particolari in quanto nuove potenze (con probabile entrata nel policentrismo in un congruo periodo di tempo), è del tutto funzionale a ravvivare le speranze e possibilità di rivolte dei dominati e oppressi. Non hanno invece lo stesso significato i conflitti tra generazioni, tra sessi, tra “gusti sessuali”, tra Uomo e Natura. Questi servono semplicemente a deviare l’attenzione degli strati lavoratori (e non solo salariati) a medio-basso reddito; e proprio quando per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, nei nostri paesi a capitalismo avanzato si verifica un abbassamento del loro reddito e tenore di vita; proprio quando il famoso modello “a botte” di distribuzione dello stesso (con tanto “ceto medio”, insomma) sta ritornando gradualmente, ma nettamente, verso la forma piramidale (con un vertice molto ristretto); proprio quando, per la prima volta, la generazione successiva (non certo però quella dei Colaninno e dei Calearo, candidati imprenditori del Pd) sta peggiorando le sue condizioni di vita e prospettive di lavoro rispetto alla precedente (parlo sempre della nuova generazione dei lavoratori a basso-medio reddito, non di “tutti gli uomini” che la compongono, indipendentemente dal gruppo sociale d’appartenenza).
A chiunque cerca di andare indietro rispetto a Marx non deve più essere dato alcun credito; ci sono fin troppi giornali, editori, media vari, profumatamente pagati dai dominanti, che li fanno scrivere e parlare per intorbidire le acque. Se ci chiamiamo ripensaremarx, noi proprio non dobbiamo
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dar loro spazio, ma invece trattarli con il massimo disprezzo; perché nessuno mi leva dalla testa che molti di loro sono consapevoli di stare imbrogliando al servizio degli oppressori capitalistici. Sono disonesti e amorali (pur se sempre con l’etica in bocca!), non innocenti colombelle un po’ ingenue. Sono solo ambiziosi, hanno la fregola di essere sulla cresta dell’onda, di farsi ascoltare da masse inebetite di quelli che un tempo erano i “piccolo-borghesi”, oggi per fortuna sempre più bastonati e frastornati, salvo quella (non piccola) schiera di “amici degli amici” dei politici e sindacalisti al seguito delle peggiori cosche del potere finanziario e industrial-decotto.
Il conflitto fondamentale resta quello – al momento confuso e non decantato – tra dominanti (oppressori) e dominati (oppressi); nonché quello sempre più aspro tra le bande dei primi, che si avviano verso l’epoca policentrica (non certa, ma assai probabile). Rivediamo, e anche senza reverenziali timori, il pensiero dei “nostri grandi” (in primo luogo, a mio avviso, Marx e Lenin); ma senza alcun cedimento davanti ai pasticci ideologici che un ceto di miserabili intellettuali “di servizio” ci ammannisce, utilizzando in modo improprio le varie forme di conflitto esistenti. Perché esistono, lo ribadisco; e tuttavia, gli ideologi in “servizio permanente attivo” pongono in primo piano proprio quei contrasti in grado di confonderci la vista, di ostacolare cioè la corretta individuazione della struttura di rapporti capitalistica, la divisione della società in gruppi sociali in accanita lotta: oggi quella interdominanti per la supremazia, un domani, forse non lontanissimo, quella che riaffronterà il cruciale problema dell’oppressione. Basta timidezze di fronte agli imbonitori e saltimbanchi! Rischiariamo la notte per ridistinguere il “colore delle vacche”.
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