DA PETROLINI AL NUOVO CAPITALISMO di GLG

gianfranco

Si racconta che, ormai in punto di morte (1936 a 52 anni per angina pectoris), alle parole incoraggianti del medico, che lo visitava e sosteneva di trovarlo ristabilito, Petrolini rispondesse: «Meno male, così moro guarito». Un’altra probabile creazione (in linea con la sua vena comica) è quella secondo cui, vedendo arrivare il prete con l’olio santo per l’estrema unzione, sbottasse: “ora ‘sso proprio fritto”. Secondo me una bella biografia (molto densa e piena di spunti vari) è questa: Qui
Oltre a tutto, sia pure incidentalmente, fa riflettere sul futurismo e la sua rilevanza, che andò esaurendosi ma solo perché si estingueva l’oggetto principe della sua critica (e satira come nel caso di Petrolini): la borghesia e la sua cultura (che non va però certo disprezzata, solo non era più adatta alla nuova epoca). Il che significa che in quel periodo, veramente di svolta, si esaurisce il capitalismo borghese, di cui la culla e il principale paese motore fu l’Inghilterra ottocentesca, il laboratorio decisivo (perché detto dallo stesso autore) dell’analisi di Marx ne “Il Capitale”. E tutte le considerazioni marxiane – relative alla diffusione mondiale del capitalismo (di paese in paese), dunque poi alla sua fine ad opera della rivoluzione del proletariato (senza patria alcuna), con la necessaria transizione al socialismo in quanto (soltanto) prima fase e preparazione necessaria della seconda in quanto comunismo – sono la base fondamentale delle previsioni formulate circa l’evoluzione di QUEL capitalismo. La rivoluzione era “la levatrice di un parto ormai maturo nelle viscere del capitalismo” (di QUEL capitalismo, di quel modo di produzione capitalistico per essere più precisi). E malgrado le successive invenzioni di molti marxisti, presi alla sprovvista dalla sopravvivenza del capitalismo, l’imperialismo – nella concezione di Lenin – era proprio l’ULTIMA fase del capitalismo, perché il capitalismo considerato era QUELLO borghese, partito dall’Inghilterra; e questo stava infatti morendo. Non ci si accorse che diffondendosi – soprattutto negli Usa, in Germania e in Giappone – quel capitalismo era in fase di netta mutazione; e tutto ciò condusse alla guerra policentrica, che significò anche avvento di altre forme ancora dette capitalistiche, ma che poco avevano ormai a che vedere con quello borghese, oggetto dell’analisi di Marx come della critica (e satira) futurista. Se Mussolini fu in un primo tempo socialista, è perché aveva in testa, come tutti, il capitalismo borghese. Con la prima guerra mondiale, non dico che comprese ma certo ebbe qualche sensazione che non si trattava di fine del capitalismo tout court. Comunque dall’esaurirsi di quel primo tipo di capitalismo – industriale, lasciando da parte quello proprio primitivo: sia mercantile che poi manifatturiero – si originò pure un periodo caratterizzato da ulteriori sconvolgimenti (anche interni a vari paesi), da cui derivò la necessità di un ulteriore scontro mondiale. Il marxismo non ha capito affatto che stava arrivando un altro tipo di capitalismo e che questo avrebbe assunto la supremazia. Il sedicente socialismo (mal compreso e mai perseguito né tanto meno costruito se non nell’ideologia) si spostò verso paesi contadini e alla fine si ridusse addirittura ad una forma di anticolonialismo e industrializzazione di paesi “sottosviluppati”.

Tutto da riprendere in considerazione. Inoltre, bisognerebbe meglio analizzare la connessione tra la fine del capitalismo borghese e la dissoluzione dei grandi “agglomerati” detti imperiali (ma in un senso che non va confuso con quello di “imperialismo” legato allo scontro mondiale tra grandi potenze già notevolmente industrializzate); in particolare quello zarista (russo) e quello austroungarico. In ogni caso, leggendo quel che è stato il periodo tra fine ottocento e primi decenni del novecento, c’è da mettersi le mani nei capelli constatando la merda in cui siamo oggi immersi.