DAGLI USA AL MONDO: INCERTEZZA E IMPREVEDIBILITA’
Qualcuno ha cominciato negli Usa – qualcuno del partito democratico, ovviamente, e membro del Congresso, se non erro – a chiedere l’impeachment di Trump. Poco mi interessano i fatti relativi alle mail che inguaierebbero suo figlio e dunque pure lui. Il fatto ricorda, anche se un po’ alla larga, la campagna per l’impeachment di Nixon, in seguito al watergate, la scoperta delle solite “quisquilie” attribuita come merito a due giornalisti, invece imbeccati da Mark Felt, dirigente dell’Fbi ed evidentemente al servizio di centri americani contrari a quella presidenza, cioè ostili ad altri centri ispiratori della forse più intelligente strategia nixoniana, suggerita in particolare da Kissinger. Il presidente americano aveva aperto alla Cina (di Mao) e, dopo il forte bombardamento su tutto il Nord Vietnam compresa Hanoi nel dicembre 1972, aveva intavolato trattative con tale paese conclusesi a Parigi con un trattato il 27 gennaio 1973. Gli accordi prevedevano la fuoriuscita, accettabile per entrambi i contendenti, dalla lunga guerra (tramite guerriglia nel sud Vietnam) che contrapponeva i comunisti al potere nel nord al regime del sud aiutato dagli Stati Uniti.
La politica Nixon-Kissinger voleva raggiungere due obiettivi: intanto accentuare il dissidio tra Urss e Cina, comunque già netto e deciso, tuttavia favorendo il secondo paese per indebolire il primo (principale antagonista degli Usa), impedendo fra l’altro che la prosecuzione degli atti bellici nel Vietnam – con maggiori possibilità di aiuti ai comunisti di tale paese da parte dell’Urss – favorisse infine, come poi infatti avvenne, la vittoria della frazione filosovietica nel partito comunista vietnamita. I nemici di Nixon, con il watergate, fecero fallire i trattati di Parigi; la guerra s’inasprì e condusse nel 1975 alla sconfitta statunitense e sudvietnamita con riunificazione del paese da parte comunista che così entrò, almeno fino a quando è rimasto in piedi il “campo socialista”, nella sfera d’influenza sovietica mentre lo allontanò infine dalla Cina (non più ormai maoista dopo il 1976), con cui ebbe perfino un breve scontro militare nel ’79 (durato un mese circa).
Gli Stati Uniti non ci rimisero alla fine troppo soltanto perché l’Urss, malgrado tutte le chiacchiere sul mondo bipolare e l’equilibrio (del “terrore”), ecc., era in realtà in declino. Era dotata di una buona potenza bellica, ma attuava una politica interna (e anche nell’ambito dei paesi del “Patto di Varsavia”, nato nel 1955 in opposizione alla Nato del ‘49) rigida e di chiaro indebolimento soprattutto per incomprensione (ideologica) delle reali caratteristiche della sua strutturazione sociale. Anche i critici di quel preteso “socialismo” parlavano a vanvera di “capitalismo di Stato” in Urss (contraddizione in termini come poi lo fu il preteso “socialismo di mercato” in Cina). E’ pressoché sicuro che gli Usa erano consci delle difficoltà sovietiche (non delle sue cause, ancor oggi da analizzare compiutamente e da parte di marxisti effettivamente critici). Le conosceva “all’ingrosso” perfino il nostro Pci che, con l’eurocomunismo, iniziò il suo voltafaccia, molto coperto all’inizio, spostandosi verso l’atlantismo (così almeno scelse la maggioranza della direzione del partito quando divenne suo leader Berlinguer).
In ogni caso, la vittoria della fazione anti-Nixon negli Usa significò la continuazione di una politica di confronto/scontro con l’Urss senza però nulla concedere alla Cina. Oggi, indubbiamente, la situazione è diversa. La fine del bipolarismo e il crollo dell’antagonista detto “socialista” (per null’affatto tale, problema che ancor oggi non è ben compreso da nessuno, né a “destra” né a “sinistra”) ha messo in moto, dopo circa un decennio (quindi all’inizio di questo secolo), un’effettiva tendenza multipolare assai più pericolosa per gli Stati Uniti. La Russia non è così forte bellicamente come l’Urss, ma sembra assai più solida per quanto concerne il sistema dei suoi rapporti sociali. Dei pericoli ci sono, non tutto mi sembra sia chiaro ai suoi dirigenti, ma la rigidità prevalente all’epoca dell’Urss è stata ammorbidita. Anche la Cina corre dei rischi per la sua politica interna ancora piuttosto legata a vecchi schemi; tuttavia al momento appare in crescita di potenza. Altri paesi non sono della stessa forza di questi due (ad es. l’India, comunque pur essa in fase di irrobustimento) e si vanno inoltre affermando delle subpotenze “regionali”, che contribuiscono allo scombussolamento generale dei rapporti internazionali ormai estremamente variabili perché legati a strategie dei principali paesi molto mutevoli, atte a nascondere le reali intenzioni dei vari “attori”; intenzioni del resto assai probabilmente effettivamente incerte e costrette a molteplici arrangiamenti in rapida successione.
Ciò rende solo parziale il parallelo con quanto accadde all’epoca in cui Nixon fu costretto a dimettersi sotto minaccia di impeachment. Tuttavia qualcosa si può dire.
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Anche dopo il decennio (1991-2001), in cui sembrava essersi affermato un monocentrismo americano seguito dal progressivo insinuarsi di dubbi su di esso, sia durante la presidenza di Bush jr. che sotto quella di Obama gli Usa hanno perseguito la politica di cocciuta supremazia mondiale, pur con politiche piuttosto differenti. Alla fine, anche se penso che ancora non si sia in grado di fare un’adeguata valutazione della politica dell’epoca obamiana, è abbastanza elevato il disordine creato e l’estrema instabilità venutasi a creare nei vari rapporti internazionali, soprattutto fra i paesi di forza maggiore. Questo disordine è particolarmente evidente in alcuni punti anche ai confini della Russia (tutto sommato meno verso quelli cinesi, malgrado le continue tensioni per le mosse della Corea del Nord, che non penso agisca in completo isolamento e “irrazionalmente”) e soprattutto nel continente africano, in Medioriente e zone limitrofe, dove fra l’altro sono presenti due delle subpotenze prima citate: Turchia e Iran in chiara rivalità per la preminenza in quell’area.
A mio avviso, la politica della neopresidenza americana non ha nulla di improvvisato ed è stata supportata da determinati centri interessati ad un deciso cambio di strategia, che tenga conto di un multipolarismo ormai in netta accentuazione come – lo ripeto per l’ennesima volta – a fine ‘800 quando era iniziato il declino inglese. Credo che si possa tutto sommato parlare di un certo affievolimento della supremazia statunitense. Intendiamoci bene: non è detto che gli Usa seguano la parabola dell’Inghilterra a cavallo tra XIX e XX secolo, anche perché al momento le due potenze chiaramente in rafforzamento – Russia e Cina, entrambe appartenenti al campo presunto socialista pur se in contrasto fra loro a quell’epoca, un contrasto attualmente sopito (non credo annullato) – sono ancora in deficit rispetto al paese preminente. Tuttavia, si notano in quest’ultimo segni di una qualche decadenza. Solo per un soffio, e tra la sorpresa e lo smarrimento generale (anche dei servi europei), ha vinto Trump, pensato come una sorta di rozzo zoticone, di semianalfabeta in politica, che viene combattuto in modi assai accesi dal precedente establishment.
Chi vincerà alla fine? Trump si muove all’insegna dell’imprevedibilità delle mosse, del tutto zigzaganti; proprio come fa un preda accorta di fronte all’inseguimento di una belva assetata di sangue. Riuscirà a salvarsi e ad esaurire le energie del “cacciatore” avversario con le sue giravolte? Impossibile a dirsi per il momento. Certamente, il meschino establishment della UE, assieme ai governi abbarbicati stupidamente ad essa, continua a seguire la vecchia dirigenza americana e fa di tutto – così come possono fare i servi per i loro padroni – al fine di riportarla in auge. Questi “europeisti” sono talmente in “caduta libera” da non potersi reggere se non con tutto il vecchio armamentario politico, che li ha resi succubi per decenni rispetto ai vertici del “paese padrone”; non hanno più idee, ammesso che le avessero. In un certo senso, sono gli eredi dei “padri dell’Europa” e si sono piegati agli Usa mentendo in merito alla “liberazione” da parte di questo paese, che ci ha resi invece suoi sciatti subordinati. Figuriamoci cosa sono divenuti oggi dopo il crollo dell’Urss e la fine della sua sfera d’influenza, per il momento non più riacquisita dalla Russia, malgrado una sua netta rinascita. L’unico che aveva tentato la ripresa d’un minimo di dignitosa autonomia rispetto agli Stati Uniti fu De Gaulle. Tuttavia, le condizioni in cui questi agiva erano pressoché disperate poiché basate sulla configurazione creatasi dopo la seconda guerra mondiale. De Gaulle rappresentava pur sempre la Francia aggredita dalla Germania e alleatasi agli Stati Uniti, di gran lunga prevalenti come forza. Per di più, tutti i gruppi dirigenti francesi del dopoguerra furono comunque in netto contrasto con l’Urss per via dello scontro con il creduto comunismo.
Nell’ultimo quarto di secolo, dopo la fine del sedicente “campo socialista”, i vari paesi europei, riunitisi in un’improvvida unione, in buona parte prolungamento della Nato (organo e strumento della predominanza statunitense), non sono per nulla riusciti a creare una vera e sufficientemente compatta (o almeno coordinata) federazione di Stati. Abbiamo di fatto tante “individualità” politiche, con una UE che può essere paragonata ad una coperta – gettata sul continente europeo dal padrone statunitense – e che è fondamentalmente “corta” e tirata da più parti, fra le quali però tende sempre più a prevalere la Germania. Precisato che l’Inghilterra è sempre stata fortemente unita agli Stati Uniti, malgrado qualche breve litigata (normale tra due fratelli, il “maggiore” e il “minore”), nel continente, dopo la parentesi gollista (che, lo ripeto, non poteva cambiare le sorti dell’Europa e quindi nemmeno quelle francesi), vi è stata a lungo una certa predominanza congiunta franco-tedesca. Tuttavia, non vi è affatto vera alleanza tra i due paesi, come non vi è tra Russia e Cina, che sono semplicemente obbligate in questo momento ad una parziale vicinanza di fronte al pericolo rappresentato dalla potenza predominante Usa.
Nel caso della Francia e della Germania, il problema della loro unione “forzata” è stato diverso; la loro collaborazione – in cui si nota spesso il sospetto dell’una verso l’altra – è quella di due aspiranti “maggiordomi” (ovviamente rispetto al padrone Usa) che hanno sotto di sé un gruppo di camerieri non proprio disciplinati. In particolare, dopo la “riunificazione” europea susseguente al cataclisma sovietico, i paesi europei orientali, pressoché tutti, sono divenuti particolarmente servili verso il predominante statunitense proprio per il loro rancore e ostilità verso il vecchio “padrone” deceduto (Urss), sentimenti riversatisi pure sul “figlio” (Russia). Questi paesi, in posizione servile, tendono quindi a rapportarsi con gli Usa in modo diretto, saltando magari la mediazione dei due “maggiordomi” la cui unità, del resto, è tutt’altro che salda e sincera. Quindi, spesso non vi è neppure la mediazione della UE, che finge un controllo dell’intera area europea in realtà poco efficace.
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E qui nasce l’errore (solo errore o magari antagonismo verso la UE per ottenere voti dal malcontento di quote delle popolazioni dei vari paesi ad essa aderenti?) delle organizzazioni, oggi denominate “populiste”, che si schierano contro questo “fantoccio” presunto unitario, sostenendo l’autonomia, il sovranismo, ecc. Non dico che l’organizzazione detta “Unione Europea” non faccia danni e non procuri guai ai paesi membri; mentre semplicemente si chiacchiera di presunte posizioni di “maggior forza” restando uniti (ma in che cosa di veramente utile?), di esecuzione di certi progetti (presi di solito in comune da questi o da quei gruppetti di paesi), di possibile esercito europeo quando invece la difesa del continente (e sempre guardando la Russia come possibile nemica) è in realtà affidata agli Usa. Tuttavia, è necessario andare oltre la presentazione che viene fatta del “pupazzo” (la UE) destinato a prendere gli schiaffi. Dietro d’esso ci sono appunto gli Stati Uniti e poi i paesi intenti a prendere il sopravvento tra i “camerieri”.
Tuttavia, è indubbio che una nuova epoca è in apertura, sia pure tra grande confusione, cambi e scambi di posizioni varie, incertezze a volte programmate, a volte assai probabilmente dovute all’indebolimento dei “centri” in qualche modo coordinatori; per molto tempo due – Usa e Urss, malgrado qualche disturbo da parte della Cina – e poi per un decennio solo uno, il vincitore definitivo. Oggi, è proprio la progressiva dissoluzione, anche se magari non ancora la fine definitiva, di un qualsiasi centro che sta provocando il disordine globale. Gli improvvidi, per non usare altri termini più offensivi ma forse più propri, sostenitori liberali della fantomatica “globalizzazione” – che tanto avvince perfino alcuni ultrarivoluzionari da operetta, e forse tutt’altro che in buona fede e non privi di rapporti, mascherati, di sudditanza verso tali liberali – hanno ben preparato l’attuale disordine mondiale. Si sono lanciati in affabulazioni – con menzogne e idiozie sesquipedali; appunto, si tratta sia di farabutti sia di perfetti mentecatti – in merito alla regolamentazione generale dell’economia mondiale tramite il MERCATO, in maiuscolo visto che da solo creerebbe benessere e pace universale, coordinando superbamente e pacificamente la competizione dei tanti volenterosi tesi al massimo profitto. Fine di ogni conflitto bellico in un amorevole pestarsi le corna solo con grandi avanzamenti tecnologici e impetuosi aumenti della produzione a vantaggio di ogni singolo individuo in qualsiasi angolino del mondo.
Adesso abbiamo infine il risultato di tanto amore universale. La globalizzazione ha mostrato quale “bufala” era, malgrado alcuni tentino ancora di vederne la prossima ripresa; e anche in tal caso, vi è chi, ancora “più intelligente e furbo” (o forse soltanto mascalzone e bugiardo al “servizio di”), la considera la nuova condizione oggettiva della universale rivoluzione delle “masse oppresse” contro il Capitale mondiale. E’ finita, invece, cari liberali e liberisti; non però con la rivoluzione degli sfruttati e diseredati come raccontano alcuni putridi residui d’altri tempi più gloriosi (ma veramente molto lontani), bensì in altri modi meno piacevoli e da cui non nascerà il nuovo mondo felice dei “tutti uniti” con i “beni in comune”. Tuttavia, la situazione potrebbe comunque divenire più interessante e meno fetida dell’attuale.
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Mi sbaglierò, ma sono convinto che siamo alla fine di un’epoca storica. Ho detto più volte che la fine non è la morte; non si può sapere in anticipo quando e come questa sopraggiungerà. Tuttavia, si avverte questa fine, che del resto s’intreccia con la sensazione di qualcosa di nuovo che traluce e avanza; qualcosa di assai incerto e in definitiva ancora largamente sconosciuto, anche perché il ceto politico e intellettuale è paurosamente degenerato come mai in altre epoche storiche di trapasso. Non si studia più nulla, non si riesce a cogliere alcuna intuizione del nuovo, ci si disinteressa ad esso per inseguire l’ossessione di ciò che è decrepito, ormai mostruoso e dissolutore di ogni benché minima intelligenza umana. Siamo in mano a chi ha preso strade traverse nella convinzione di apportare modernità, ma soltanto ormai distrugge il tessuto sociale e di possibile convivenza tra diversi. L’arroganza dei presunti “innovatori” è tale che provocherà alla fine una reazione terribile e farà vivere (non a me, ma alle più giovani generazioni) momenti assai tragici. Credo che simile sensazione sia quella vissuta negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Comunque, limitiamoci a proseguire sulle rotaie dello “scartamento ridotto” (cioè per quello che possiamo arguire o solo ipotizzare in merito alle prossime mosse di strategie così variabili come quelle attuali in situazione di multipolarismo crescente). La sensazione è che la lotta apertasi negli Usa per la “sveglia” suonata dall’elezione di Trump non vedrà, pur se il vecchio establishment riuscisse a toglierselo di mezzo, girare veramente all’indietro la ruota della storia. Qualche arresto, qualche ritardo, ma difficile che si torni alla situazione precedente. La Russia sembra adesso muoversi con maggior sicurezza e incisività, conquistando determinate simpatie prima impensabili. La politica della nuova presidenza americana sembra più consapevole della situazione che progressivamente sta venendo a crearsi con la rinascita russa. Non credo, come spesso dicono i superficiali, che gli Usa “trumpiani” siano proprio così benevoli verso i russi come sostengono (e temono) i pecoroni dell’“europeismo” dell’ultimo quarto di secolo (una vera decadenza del nostro continente).
Tuttavia, questi Stati Uniti afferrano il mutamento della situazione, sembra si rendano conto di non avere più di fronte l’Urss (gigante dai piedi d’argilla), bensì un paese ancora meno potente del precedente avversario, ma più solido e in assetto di confronto assai meglio configurato. Fra l’altro, allora forse non lo si capiva, ma anche nel “cristallizzato” ventennio breznieviano (quando Krusciov era stato nettamente estromesso da ogni potere), continuava sordamente il logorante confronto interno al Pcus che avrebbe portato nel 1985 alla direzione l’esiziale Gorbaciov, il dissolutore totale della forza e della sfera d’influenza del paese (ma in effetti perché il processo era inevitabile e cercava soltanto il suo esecrabile esecutore). Ci sono state incertezze anche in Russia – e il periodo della presidenza Medvedev è stato forse caratterizzato da alcune divisioni all’interno – che sembrano tuttavia ora superate. I cosiddetti oppositori sono montati da certi settori “occidentali”; in specie, guarda caso, di “sinistra”, i più reazionari e regressivi, quelli da spazzare via in blocco se vogliamo avere qualche speranza di rinascita. Alla faccia di questi farabutti, al momento il gruppo dirigente russo sembra ben in sella e si sta movendo con notevole elasticità. L’importante è che la mantenga pure all’interno oltre che nell’espletamento di una politica estera attualmente ben mirata. Anche nella repressione e pure dura, a volte del tutto necessaria, bisogna “saperci fare”.
Se Trump venisse fatto fuori, credo che la Russia, alla fin fine, si troverebbe perfino avvantaggiata dall’ottusità del vecchio establishment, che ancora non vuol afferrare i termini della relativa decadenza statunitense o comunque dell’indebolirsi della sua supremazia mondiale, la causa più rilevante del disordine generale crescente e del continuo intrecciarsi di mosse e contromosse nei diversi settori del globo, con una certa prevalenza di quanto sta accadendo in questi anni proprio nell’area in cui siamo situati noi. Abbiamo già rilevato che i vecchi dirigenti “europeisti” (pur essi ormai in apnea, anche se è difficile prevedere quanto durerà questa incresciosa situazione) sono rimasti sconvolti dalla nuova presidenza americana e hanno insistito nel dichiarare fedeltà al vecchio vertice Usa (pur se diviso tra repubblicani e democratici). Eppure, come accade proprio nelle situazioni di multipolarismo, è avvenuta una incrinatura all’interno di questo fronte “europeo”. I centri trumpiani hanno lanciato una corda verso quel “nuovo” francese (in realtà scelto per occupare lo spazio lasciato vuoto dal crollo del vecchio ciarpame dirigente di quel paese); e per il momento essa è stata raccolta. Difficile dire se la novità durerà o meno; in ogni caso, sembrava che, con la sconfitta del “populista” Front National, si sarebbe viepiù saldato il vecchio consesso europeo. Al oresente, sembra esserci una battuta d’arresto.
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Al di là dell’accordo franco-americano, più o meno solido o evanescente che sia, ci sta una evoluzione, ancora “timida” ma non effimera, della situazione. La Germania – anche se non credo abbia in questo momento la dirigenza politica più adeguata al processo in corso – comincia a tentare un rafforzamento della sua situazione; probabilmente anche al di là del semplice diventare il principale “maggiordomo” degli stati Uniti.
Dopo il crollo del “socialismo reale”, per alcuni anni, sbagliando, si parlò di mondo tripolare: Usa, Germania e Giappone. Ben presto, la seconda e terza sparirono dall’orizzonte, restarono solo gli Usa, ma da questo secolo si è rifatto vivo, come detto spesso, il multipolarismo. Tuttavia, è vero che negli anni ’90 vi fu una buona penetrazione economica tedesca in direzione dei Balcani e, in particolare, verso la Croazia. L’aggressione statunitense del 1999 alla Serbia di Milosevic – dopo aver ben “allenato” tramite i militari Usa l’UCK kosovaro e il “bandito” Thaci suo capo (e attuale presidente kosovaro) – è servita fra l’altro ad arrestare l’azione espansiva tedesca, la cui debolezza era del resto evidente, essendo il paese del tutto carente in termini di forza militare (quella solo economica è inefficace). Per inciso, va rilevata la ridicolaggine dei soliti servi italiani, guidati dai voltagabbana postpiciisti, che avevano fatto il “salto della quaglia” verso gli Stati Uniti dopo adeguata preparazione della direzione berlingueriana e il ben noto viaggio del 1978 del “comunista preferito” (affermazione di Kissinger). Il governicchio D’Alema, secondo solo agli Usa in fatto di bombardamenti sulla Serbia (e non certo su esclusivi obiettivi bellici), credeva probabilmente di conquistare qualche cointeressenza e non ottenne invece nulla di speciale; vi è il normale commercio estero (soprattutto in macchinari e autoveicoli).
In ogni caso, attualmente la Germania ha ripreso la sua spinta ad est, in particolare di nuovo verso la Croazia, con i malumori della Slovenia che si trova in attrito con il vicino per questioni di confine (sul golfo del Pirano) e forse altre. Non è escluso che – tenuto conto della mutata situazione internazionale con il disordine creato in specie dalla politica estera degli Stati Uniti e il multipolarismo sempre più incombente – il paese teutonico stavolta spinga con più decisione. In tale contesto, si presenta la mossa, che certamente ha sorpreso, dell’incontro Trump-Macron, con molti salamelecchi reciproci, sulla cui sincerità e durata inutile spendersi in previsioni a lungo raggio. I motivi non sono chiarissimi. La spiegazione più logica potrebbe essere: da parte di Trump, dividere il fronte degli “europeisti” (legati al precedente vertice americano); da parte di Macron, avere in ogni caso, pure nel caso di un Trump durevole, l’appoggio nei confronti della Germania, che gli Stati Uniti (del resto non solo quelli della neopresidenza, ma ben più in generale) possono non guardare con troppo favore se accrescesse certe sue pretese. La spiegazione sembra ben congegnata e tuttavia non mi lancerei in conclusioni affrettate.
A tutto questo, si aggiunga che fra i dirigenti “europeisti”, che hanno troppo puntato sulla massiccia emigrazione dall’Africa e dal Medioriente provocata dalla non proprio del tutto accorta politica obamiana, comincia a serpeggiare sempre più decisamente la preoccupazione e l’avversità. Solo l’Italia ha così vasti settori politico-culturali del tutto rincretiniti dal nefasto “buonismo”, in ciò purtroppo rafforzati da una Chiesa (almeno nei settori attualmente al comando) pur essa tesa, per motivi non del tutto chiari, ad una politica di totale dissesto del nostro continente. Ripeto che altri paesi europei, e in primo luogo quelli dell’est (ma pure l’Austria), stanno irrigidendo le loro posizioni. E del resto pure i rimanenti si differenziano nettamente dalle posizioni assunte dall’Italia.
Il nostro paese è in effetti in una situazione particolare per due “eredità” storiche quasi mai ricordate e tanto meno valutate per quello che sono. Innanzitutto, dopo il ’68, ha conosciuto il ben peggiore ’77, da cui sono usciti molti dei nefandi intellettuali e personaggi di pseudo-cultura che infestano tuttora l’ambiente mediatico. E anche molti politici di “sinistra” sono quanto meno influenzati dalla degenerazione culturale di quel periodo, molto ma molto peggiore del ’68 e che altri paesi europei non hanno attraversato. Inoltre, tutta un’altra schiera di “sinistri” è l’erede del “badogliano” voltafaccia compiuto dal Pci a partire dagli anni ’70; una svolta – attuata nel più perfido nascondimento e ingannando i suoi seguaci di allora – che ha in definitiva deciso le sorti di quel partito e dunque, dopo l’infame operazione giudiziaria (in realtà manovrata da oltre atlantico), di quella che si è continuata a definire “sinistra”. E a fronte di questa è nata una “destra” stupida e ignorante, pronta sempre a strillare contro i “comunisti”, facendo finta di non vedere che non lo erano affatto; ma solo perché era in concorrenza con loro nel conquistare la palma del migliore sguattero degli Stati Uniti. Una vergogna infinita e non ancora cessata per il nostro paese.
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Ci si trova, insomma, in una situazione di forte perturbazione di ogni possibile ordine mondiale. Il punto centrale al momento è rappresentato dall’acuto scontro negli Stati Uniti, che non accenna a placarsi né a trovare un punto di compromesso. Il “cacciatore” (vecchio establishment, non soltanto del partito democratico) è sempre all’inseguimento della “preda”, che scarta e cerca la sorpresa (e imprevedibilità) di dati movimenti per sottrarsi alla sorte che gli si vuole riservare. E’ senz’altro straordinario che il “cacciatore” sia pronto nelle sue mosse ad avanzare perfino il sospetto (che si vuole anzi dare per dimostrato) che il capo della maggiore potenza ha rapporti di dipendenza o simili con l’avversario ritenuto principale. A me sembra intanto dimostrato che la strategia del caos del periodo obamiano, chiaramente appoggiata da forti settori politici e militari, puntava a “stringere d’assedio” la Russia (transigendo un po’ sulla Cina) proprio perché considerava la nostra area assai più decisiva di quella asiatica. Si è perfino un po’ trascurata quella del “cortile di casa”. E’ allora assai probabile che non si era troppo sicuri soprattutto della Germania e si cercava quindi di creare tensioni tra UE e i russi, così da ostacolare nettamente le possibili mosse tedesche (per la verità non molto convincenti in proposito).
I centri “trumpiani” mi sembrano assai più convinti che il caos avrebbe potuto favorite di più l’avversario, malgrado tutto erede dell’Urss. E visto come sono andate le cose in Siria (e tutto sommato anche in Ucraina) non sembrano avere tutti i torti. E’ evidente che in quelle zone la situazione resta confusa, per nulla stabile e probabilmente si concluderà con la suddivisione della Siria in diversi comparti (come accade in fondo anche in Irak, altro paese nettamente destabilizzato rispetto al governo di Saddam). Tuttavia, Assad non è stato destituito e i russi manterranno, salvo imprevisti, buone posizioni di influenza, il che non sembra proprio corrispondere alle speranze dei centri “obamiani” (li indico così per semplicità). E anche lo sfascio creatosi nelle vecchie forze politiche dirigenti in Francia – che è stata uno dei più stretti sicari degli Usa nell’aggressione alla Libia, mossa foriera di forti tensioni all’interno della UE a causa del fenomeno dei migranti, che sembra sfuggito di mano – ha mostrato certi limiti della strategia obamiana, per cui nel paese nostro vicino l’establishment ha improvvisato il nuovo partito di Macron. Il quale, forse per rafforzarsi definitivamente, ha incontrato Trump creando, rispetto al solito “europeismo”, qualche “differenziazione” di cui ha pure approfittato appunto il neopresidente Usa. E del resto, anche il flusso migratorio sempre più incontrollato sta finalmente incrinando l’unità europea. L’Italia, per motivi che dovranno essere trattati a parte, sembra ormai la più indebolita dal fenomeno, tanto da ridare un po’ di spago alle manovre dei “centristi”, che il solito “nanetto” sta cavalcando.
Per quanto posso arguire, ho la netta sensazione che l’attuale presidenza americana, fortemente osteggiata e di sicuro in pericolo, sia portatrice di una politica più intelligente verso la Russia. Non connivenza, di cui viene accusata per l’ormai pressante tentativo di farla fuori (e lo deve essere assai presto, altrimenti la mossa fallirà), ma invece intenzione di praticare una manovra di più morbido avvolgimento nel mentre si cerca di dedicare maggiore attenzione (come in anni passati) al Sud America e anche un po’ all’area asiatica, da non perdere troppo di vista. Credo che Trump sappia come la Russia resti per i prossimi anni l’avversario principale, ma non si deve sottovalutare la Cina, si deve tener conto del sostanziale insuccesso delle operazioni in Afghanistan e dunque nemmeno dimenticare il Pakistan, alleato ma in frizione con l’India e invece relativamente amichevole con i cinesi.
Per quanto riguarda l’Europa, il problema decisivo è pur sempre la Germania. Ripeto che l’attuale dirigenza della Merkel (che sembra si rafforzerà con le prossime elezioni “democratiche”) non è quella adeguata alla conquista dell’autonomia dagli Usa, mettendo in crisi definitiva la UE. D’altronde, le forze che si gonfiavano il petto con l’uscita da tale organismo (in Francia come in Italia e anche in Germania) mi sembrano mostrare la loro strutturale debolezza. Il problema cruciale, del resto, non è la semplice uscita da questa Unione. Devono nascere nuove forze “antidemocratiche”, cioè in realtà effettivamente capaci di sollecitare l’adesione e perfino l’entusiasmo della maggioranza della popolazione per l’apertura di una “nuova era”, che spazzi via i debosciati e purulenti “progressisti” con tutte le loro novità soltanto dissolutive di una spinta all’autonomia e di una nuova forza dei vari paesi. Si deve cominciare dalla Germania. E che essa non commetta più il solito errore di scontrarsi con la Russia. Solo insieme, Germania e Russia possono aprire un diverso “futuro”. Per questo, è da anni che gli Stati Uniti fanno di tutto per impedire buoni rapporti tra i due paesi. Secondo me, la nuova dirigenza “trumpiana” – però in forte difficoltà per troppo scarsi appoggi tra le forze che evidentemente contano nel suo paese – è più sottile e furba, tenta appunto manovre di aggiramento di vario tipo, anche cercando di sfruttare eventuali attriti tra i due più forti paesi europei, in evidente spirito concorrenziale.
Vedremo l’evolversi della situazione. Dell’Italia si tratterà eventualmente in altra occasione. In ogni caso, da noi come nel resto d’Europa, le forze dette “populiste” (e attaccate dagli “antifascisti” come fossimo ancora nel 1943-45 o quasi) hanno esaurito, per quanto si sta vedendo, la loro “spinta propulsiva”. In Francia, il vecchio establishment, visti crollare o fortemente ridimensionare i “socialisti” e i “gollisti” (entrambi i termini con le debite virgolette perché erano falsi da molto tempo), è riuscito a lanciare il “nuovo e giovane” partito con Macron a capo. Si ha la netta impressione che il FN può solo vivacchiare e restare quale opposizione, con vivacità in calando. Niente di meglio, anzi un po’ peggio, in Italia con Lega e FdI. In Inghilterra la “brexit” sembra confermarsi qualcosa che non crea nessun particolare scompiglio; è quasi un “naturale” accorpamento di un paese a quello (Usa) che di fatto lo ha ricompreso in sé; un processo già avviato, anche se si è cercato per così tanto tempo di ignorarlo, quando sembrava sullo stesso piano del paese “inglobante” e, insieme, venivano definiti “gli Alleati” nella seconda guerra mondiale (e bisogna fra l’altro riscrivere bene la storia di quel periodo con il cruciale evento rappresentato dall’aggressione di Hitler all’Urss, dovuta a certi contatti segreti con l’Inghilterra e a loro accordi, altrettanto coperti, che gli Stati Uniti hanno fatto saltare; ben intenzionati, dopo aver provocato l’aggressione giapponese, a conquistare la supremazia anche nell’area europea).
Per il momento finiamola qui. Come sempre, si ha l’impressione che il discorso venga troncato di netto; un’impressione inevitabile dato che la situazione è massimamente confusa e pochi sono i riscontri assai probabili mentre il resto può mutare all’improvviso. Questo è il multipolarismo in accentuazione; abituiamoci all’imprevisto e alla necessità di rivedere ipotesi e conclusioni.