DAL DONBASS ALL’EUROPA
La guerra in Donbass è per me anche un fatto personale o, meglio, famigliare. Conosco i luoghi del conflitto poiché lì vive gran parte della famiglia di mia moglie. Quindi so di cosa parlo quando affermo che quella gente non percepisce il vicino russo come un problema. Anzi, la Russia è per essa punto di riferimento culturale e anche motivo di orgoglio (geo)politico, soprattutto da quando Putin ed il gruppo dirigente che lo sostiene hanno rimesso in moto il Paese dopo la tragedia del crollo sovietico. Il nazionalismo è minoritario su tutto il territorio ucraino benché innegabilmente esista e sia diventato più assertivo rispetto al passato grazie ai finanziamenti esteri e alla conversione delle élite politiche che in questo momento hanno in mano le redini dello Stato. Tuttavia, mi è capitato anche di parlare con ucraini residenti in zone diverse da quelle in conflitto che si sono qualificati come russi sia perché così si usava ai tempi dell’Urss, sia perché definirsi tali fa più effetto al cospetto degli stranieri. Il passato glorioso della Russia li riguarda da vicino e rifacendosi ad esso cercano di conquistarsi l’onore, pur nelle attuali avversità. Inutile negare, dunque, che senza le ingerenze americane ed europee in Ucraina non sarebbe mai deflagrata alcuna rivoluzione perché la popolazione non ha tutta questa voglia di “europeizzarsi” (se ciò può significare davvero qualcosa) né di “de-russizzarsi” inimicandosi Mosca, con la quale condivide lingua e tradizioni. Gli ucraini vorrebbero semplicemente vivere meglio, avere maggiori opportunità e godere di più benessere. Miglioramenti che non si sono verificati nemmeno all’indomani di Jevromajdan. A prescindere da questi fattori sentimentali, che già dovrebbero sconsigliare intromissioni da parte di terzi, pena la generazione di contraddizioni ancor più perniciose per gli equilibri continentali, vigono aspetti ancor più determinanti. La Russia riemergente in termini di potenza non può accettare di essere minacciata ai suoi confini da nazioni prima ricomprese nel suo “impero”. Questo vale per Kiev ma anche per tutti gli altri già gravitanti nell’orbita sovietica. L’Ucraina non sarà mai indipendente se antirussa perché la sua storia e la sua collocazione geografica lo impediscono. Quello che oggi i vertici ucraini chiamano liberazione da Mosca è una mera subordinazione agli americani che contrasta con gli interessi reali dello Stato e con quelli dei cittadini. La Ue che ha contribuito all’attuale situazione disastrosa, alimentando la russofobia generale e sostenendo gli oligarchi americanizzati, sta ugualmente rovinando i suoi rapporti con un partner strategico del quale non potrà fare a meno se un giorno vorrà ripristinare la propria autonomia e proteggersi dall’invadenza statunitense nei suoi affari. Come scrive Vitalij Tret’jakov sull’ultimo numero di Limes: “A cosa serva tutto questo agli americani è chiaro. A cosa serva ai gruppi al potere nell’Europa dell’Est è parimenti chiaro, sebbene la cosa susciti avversione nei russi. Ma all’Europa classica, per di più nella situazione attuale, a cosa serve? Forse l’Europa classica non capisce che solo nell’unione e nella collaborazione con la Russia si può salvare sia l’Europa classica sia la civiltà europea nel suo complesso. Altrimenti il risultato sarà evidente: alla fine del XXI secolo la Russia europea (anche se non europea a sufficienza, secondo gli «europei») continuerà a esistere, mentre l’Europa classica non esisterà più. Allora noi russi rimarremo gli ultimi e unici europei e la Russia sarà l’unica Europa. Molti paesi dell’Europa dell’Est capiranno tutto questo prima dell’Europa occidentale e di nuovo, di propria iniziativa, torneranno sotto l’ala protettiva della Russia”.
Non so dire se effettivamente ciò che accadrà alla fine del XXI secolo corrisponderà alla previsione dell’analista russo ma è innegabile che l’epoca multipolare si annuncia devastante per un’Europa troppo sbilanciata su Washington, laddove quest’ultima sta lentamente perdendo la sua funzione baricentrica, messa in discussione da concorrenti sempre più agguerriti, anche se al momento solo a livello regionale.
La Grassa ha recentemente riportato una citazione da un documento del Pentagono che conferma le nostre ipotesi: “La concorrenza strategica interstatale, non il terrorismo, è ora la principale preoccupazione per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. La sfida centrale per la prosperità e la sicurezza degli Stati Uniti è il riemergere della concorrenza strategica a lungo termine, principalmente da Cina e Russia”.
“E’ l’affermarsi del multipolarismo – commenta La Grassa – con relativo declino Usa e rafforzamento di Russia e Cina (prima la Russia e poi la Cina perché prima viene la necessità di mantenere il controllo dell’area europea poi viene quella asiatica, dove il gioco si farà certo molto complesso). Però il vecchio establishment non si arrende. E stavolta, se fanno fuori Trump, non sarà più per gli Usa come al tempo in cui liquidarono improvvidamente Nixon (con dietro Kissinger e, ovviamente, altri centri strategici). Stiamo entrando in un’epoca diversa. Solo che la storia non è come la tecnologia; non avanza freneticamente, è un cammino tortuoso, accidentato, assai curvilineo”. Appunto Trump e il potere che lo “segue” stanno cercando di marcare un mutamento di strategia per affrontare la nuova fase che si annuncia molto diversa da quella trascorsa. Non è verosimile un ritiro degli Usa sul loro continente ma nemmeno è plausibile un dominio incontrastato sul pianeta esercitato coi vecchi sistemi. Le mosse di Trump, anche con le timide aperture verso Putin, segnalavano proprio questo cambio di marcia contro il quale però si è scagliato l’establishment uscente, non ancora deciso a defilarsi. Questo scontro intradominanti negli Usa sarà carico di conseguenze, accelererà o rallenterà il declino americano oppure stabilizzerà o destabilizzerà le forme della sua egemonia mondiale. L’Ue è avvisata e con essa quelle cerchie (sub)dominanti europee che giocano di sponda con i poteri statunitensi antitrumpiani (di matrice democratica ma anche neocon) che se sconfitti le trascineranno nella polvere. Se accadesse non sarebbe un male ma quest’ultime sarebbero semplicemente sostituite da gruppi di comando più adeguati a realizzare i programmi internazionali di Trump mentre in realtà, per il futuro dell’Europa, bisognerebbe augurarsi la nascita di avanguardie europeistiche in grado di divincolarsi dal giogo Usa e di aprirsi alla Russia per una concreta emancipazione continentale.