Dalla nascita del capitalismo industriale all'imperialismo tedesco – Angelo Cani
Nascita dell’industria in Germania
In Germania il capitalismo industriale sorse e si sviluppò nel corso del 1800.
I primi cinquant’anni di quel secolo furono quelli in cui andarono formandosi quasi tutte le condizioni necessarie per lo sviluppo dell’industria capitalistica: disponibilità della forza lavoro, accumulazione di capitali nella sfera dell’agricoltura, incremento degli scambi, formazione del mercato interno per le merci. Nella seconda metà del secolo si compiranno i processi di concentrazione delle industrie e la formazione dello Stato nazionale e del mercato nazionale, che consentiranno anche alla Germania di entrare nella fase dell’imperialismo e della centralizzazione, al pari delle altre nazioni industrializzate, e in feroce competizione con queste.
Per quanto riguarda la prima delle condizioni necessarie alla nascita del capitalismo industriale, ovvero la formazione dell’esercito di riserva di forza-lavoro non qualificata, un momento fondamentale fu rappresentato dal decreto di riforma agraria emanato nel 1807 dal governo prussiano, quando il regno di Prussia soggiaceva al dominio napoleonico.
La riforma provvide infatti a “liberare” una prima riserva di manodopera nelle campagne, mettendole a disposizione delle produzioni agricole estensive ed anche, se pur in misura minore, di quelle industriali.
Lo scopo dell’editto del 1807 era quello di trasformare in una classe di liberi proprietari la massa dei servi della gleba, quei contadini che sin dai tempi del medioevo, erano stati insediati sui terreni delle grandi tenute della nobiltà, che per secoli, una generazione dopo l’altra, avevano lavorato i poderi in cui la nobiltà aveva suddiviso la gran parte delle proprie tenute, versato ai signori la maggior parte del frutto delle proprie fatiche e svolto tutti i lavori richiesti dalla parte indivisa delle terre nobiliari.
La riforma decretò che i contadini potessero acquisire il pieno possesso dei poderi su cui erano insediati nonché affrancarsi dai lavori obbligatori, purchè cedessero all’originario proprietario feudale una frazione della propria terra, da un terzo alla metà a seconda dei luoghi, o versassero al signore un indennizzo in denaro.
Negli intendimenti dei legislatori, la legge per l’abolizione della servitù della gleba avrebbe dovuto dare origine ad una diffusa e solida proprietà parcellare della terra che, grazie alla liberazione dei contadini dal lavoro coatto, avrebbe determinato un incremento della produttività dell’agricoltura. Una agricoltura più produttiva avrebbe a sua volta generato una maggior domanda di beni di consumo per l’artigianato e le manifatture, ed un surplus per i commerci interni e le esportazioni.
Dal canto suo, la nobiltà avrebbe ricavato dalla riforma i capitali necessari per avviare un processo di modernizzazione dei propri latifondi.
Accadde però che solo una minoranza degli antichi affittuari andò a costituire uno strato di coltivatori agiati. Molti contadini, soprattutto quelli che erano affittuari di fondi di modesta estensione e non possedevano che modestissimi risparmi, non erano assolutamente in grado di emanciparsi dalla propria condizione. Altri invece, una che ebbero ceduti parte dei propri appezzamenti di terra o dato fondo a tutti i propri modesti risparmi per potersi riscattare dalle servitù, si ritrovarono con poderi ormai troppo esigui. E senza più le risorse sufficienti per valorizzarli.
Tutti costoro presto o tardi, furono costretti a tornare a lavorare nelle tenute dei grandi proprietari o sui terreni dei contadini più ricchi. Ma questa volta per un salario. Si trasformarono, in altre parole, in operai agricoli pagati a giornata. La grande maggioranza di questi contadini potè mantenersi, da allora in poi, solamente integrando il magro salario di bracciante con altre attività. Divennero così, loro, le loro mogli e i loro figli, tessitori, fabbricati di utensili e di piccoli strumenti di lavoro per quell’industria domestica sparsa nelle campagne, di cui gli imprenditori tedeschi si avvalsero ampiamente nella fase del decollo del capitalismo industriale della Germania.
Così come dai piccoli contadini prussiani non sorse una proprietà privata parcellizzata della terra, se non in misura quasi trascurabile, non si verificò neppure una vera modernizzazione delle grandi proprietà agrarie. Perlomeno non nella dimensione auspicata dai riformatori.
Indubbiamente l’aristocrazia feudale uscì rinforzata dalla riforma del 1807, che pur aveva avversato con tutte le sue forze. Vide infatti i propri possedimenti ampliati con l’apporto delle terre cedute dai piccoli coltivatori, e consolidata una base di bracciantato agricolo a sua disposizione. In Pomerania, ad esempio, non vi fu quasi più traccia di contadini che vivessero della propria terra. Ma in quanto ai capitali incamerati dai riscatti dei contadini, nella maggioranza gli Junker preferirono accumularli sotto forma di depositi bancari, buoni del governo oppure investirli in attività finanziarie o nell’acquisto di beni immobili.
L’investimento di denaro nella modernizzazione delle proprietà terriere rimase ancora per anni circoscritto ad alcune realtà della Prussia orientale. La ragione fondamentale di tutto questo va cercata nel fatto che ancora non sussistevano le condizioni favorevoli alla commercializzazione di un grande surplus agricolo. Una forte domanda di prodotti agricoli poteva venire solamente dall’esistenza di sbocchi di mercato per l’esportazione verso paesi a più avanzata industrializzazione e non autosufficienti dal punto di vista alimentare. Oppure da un decollo dell’urbanizzazione e dalla conseguente domanda di derrate alimentari per le popolazioni delle città. Tutte condizioni che inizieranno a presentarsi solo qualche decennio più tardi.
Tuttavia con la riforma agraria del 1807, che nel volgere di meno di un decennio fu imitata da tutti gli altri stati tedeschi, furono effettivamente gettate in Germania le basi per lo sviluppo del capitalismo agrario. Una prima parte delle terre destinate fino ad allora agli usi comuni di pascolo e raccolta venne divisa e venduta, il patrimonio fondiario era divenuto più facilmente alienabile, anche attraverso l’abrogazione del principio del maggiorascato che obbligava a trasmettere integralmente la proprietà terriera al maggiore dei figli o all’erede più prossimo. Ed iniziavano anche a comparire, prevalentemente anche nelle regioni occidentali del paese, aziende agricole di dimensioni adeguate ad una agricoltura più moderna, in mano a contadini agiati. Ma il monopolio assoluto dell’aristocrazia sulla proprietà fondiaria era ben lontano dall’essere minacciato.
Se molti degli antichi privilegi feudali furono aboliti, molti altri rimasero in vigore come la non tassabilità dei possedimenti terrieri della nobiltà, che venne abrogata solo nel 1861, o i poteri di polizia nell’ambito dei feudi, che verranno esercitati dai proprietari aristocratici ancora fino al 1872. solamente nel 1918 saranno soppresse le ordinanze feudali e, nelle regioni orientali, il feudo continuerà costituire una unità amministrativa fino al 1927.
Quando, , a partire dagli anni quaranta, si presentarono le condizioni favorevoli alla produzione ed al commercio di consistenti surplus agricoli, in primo luogo l’esportazione di cereali verso l’Inghilterra, allora i nuovi rapporti di produzione sorti nelle campagne tedesche poterono dispiegare a pieno i propri effetti e la Germania potè beneficiare della propria posizione geografica confinante con paesi, come l’Olanda ed il Belgio, già da tempo caratterizzati da alti tassi di industrializzazione e di inurbamento, e non autosufficienti dal punto di vista agricolo. Basti pensare che gli stessi Paesi Bassi, pur in possesso di un’agricoltura
moderna e sviluppata, erano costretti ad importare quasi la metà del proprio fabbisogno di grano.
Anche le aziende rurali tedesche iniziarono da quel momento a conoscere una più articolata rotazione delle colture, nella quale il maggese era assente, sostituito dalla semina delle piante foraggiere, trifoglio, erba medica, lupinella, che, fissando l’azoto, svolgevano un effetto rigeneratore sui terreni. La crescita delle erbe foraggiere permise una maggiore estensione dell’allevamento animale il quale a sua volta attraverso la concimazione aumentava la fertilità dei campi.
L’agricoltura della Germania poteva contare su campagne per natura straordinariamente fertili, dalla terra grassa e ricche di corsi d’acqua come quelle che si estendono ai piedi delle alture centrali. Ad esse si aggiunsero nuove e vaste superfici, conquistate all’agricoltura attraverso i dissodamenti, il prosciugamento di aree paludose e il drenaggio dei terreni più umidi, nelle pianure fluviali dell’Elba dell’Oder, nelle terre comprese tra il Weser e l’ Ems nella parte nord-occidentale del paese e nelle regioni costiere dell’Est.
A partire dagli anni trenta, le seminatrici meccaniche cominciarono a soppiantare la semina a mano, cosa che permise di economizzare sulle sementi, di far crescere le piante con una disposizione che garantiva loro più aria e più luce, rendendole più resistenti ai parassiti e più cariche di chicchi. Ebbe inizio l’impiego di fertilizzanti a base di fosfati e fecero la loro comparsa le prime zappatrici e trebbiatrici meccaniche, le macchine per voltare il fieno e le macchine vagliatrici, che eseguivano la ripulitura dei chicchi, una volta trebbiati, con l’azione di un ventilatore.
E negli allevamenti si mise mano alla selezione di specie bovine e suine che portò a produrre animali di taglia e peso maggiori. Insomma, l’agricoltura tedesca conobbe in quegli anni le tecniche che già erano stati alla base della rivoluzione agricola dell’Olanda, dell’Inghilterra e del Belgio.
Analizzando i modi di sviluppo dell’agricoltura che si affermarono nell’epoca del capitalismo, a proposito di quello che si verificò in Germania Lenin scrisse: “ Lo sviluppo (dell’agricoltura) può compiersi avendo alla testa le grandi economie dei proprietari fondiari che diventano sempre più borghesi e sostituiscono gradualmente i sistemi feudali di sfruttamento, con sistemi borghesi… l’economia dei grandi proprietari fondiari feudali si tramuta lentamente in una economia borghese di tipo Junker, condannando i contadini, ad esclusione di una piccola minoranza di contadini ricchi, alla più vessatoria espropriazione e servitù.
… il contenuto fondamentale dell’evoluzione è costituito dalla trasformazione del servaggio nell’asservimento e nello sfruttamento capitalistico sulle terre dei feudatari – grandi proprietari fondiari – Junker”.
L’introduzione di più avanzati metodi di coltura, i benefici della maggiore Concentrazione di mezzi di produzione e di una organizzazione più moderna del lavoro, non sarebbero stati infatti realizzati se i proprietari terrieri non avessero potuto mettere in atto il massimo sfruttamento del lavoro dei loro braccianti. Casa possibile nella misura in cui il tempo di lavoro che i contadini impiegavano per proprio conto, sui propri poderi o tra le quattro mura delle proprie case, si andava sempre più contraendo o veniva cancellato del tutto.
Quando poi mercanti e fabbricanti iniziarono a concentrare materie prime e strumenti di lavoro in grandi filande e tessiture, o sorsero opifici dove utensili e altri beni venivano fabbricati su larga scala, migliaia di piccoli agricoltori, privati del reddito che avevano fino ad allora ricavato con l’artigianato domestico, divennero solamente forza lavoro a pieno tempo per le tenute dei grandi proprietari e per le medie aziende rurali.
Man mano poi che la produzioni su larga scala si sostituivano all’industria rurale nel soddisfare la domanda di tessuti, abbigliamento, strumenti di lavoro semplici, utensili domestici, si formava il “moderno” mercato interno per tutti questi beni.
La forza lavoro della nascente industria, le nuove schiere di proletariato industriale, andava a formare quella quota di contadini espropriati che eccedeva il fabbisogno di manodopera per l’agricoltura, e che era costretta a sottomettersi al lavoro salariato nelle industrie tessili e metallurgiche che sorgevano nelle città.
Così come la proprietà fondiaria di tipo capitalistica era sorta sulla base della separazione dei contadini dal loro principale mezzo di lavoro, la terra, si formò anche la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione di beni di consumo: sulla base della progressiva separazione dei contadini – artigiani dagli strumenti di lavoro con cui essi producevano manufatti nelle proprie case.
Nel marzo del 1850, il parlamento prussiano emanava una seconda legge di riforma agraria che imponeva agli ultimi contadini che non si erano affrancati dalle servitù feudali, il riscatto in denaro dei canoni e delle prestazioni obbligatorie. La somma che la nobiltà prussiana incamerò con questo decreto non fu inferiore al mezzo miliardo di marchi mentre una nuova ondata di contadini venne condannata alla perdita della terra ed alla proletarizzazione.
Come conseguenza delle riforme, l’agricoltura della Germania potè dunque nel complesso disporre di nuove superfici da mettere a coltura, di più manodopera e di più capitali.
Nel 1846, venendo incontro alle richieste degli industriali, il governo inglese aboliva i dazi sull’importazione di grano. Nel volgere di pochi anni la produzione cerealicola degli stati tedeschi raddoppiò. L’agricoltura, grazie all’aumento dei volumi dell’esportazione, iniziava a produrre più capitali. e a generare più domanda per le industrie del paese. Sebbene la domanda di strumenti e macchinari per i lavori dei campi si rivolgesse ancora prevalentemente all’industria straniera, inglese e belga in primo luogo, una buona parte venne soddisfatta dall’industria leggera e dall’artigianato tedeschi.
La produzione di filati di cotone balzava dai 68 milioni di libbre del 1830 ai 140 milioni di libbre del 1850. Tra il 1800 ed il 1850 quintuplicava l’estrazione di carbone. La potenza delle macchine a vapore installate nel 1840 raggiungeva i 34.000 cavalli vapore.
La produzione di ghisa passava da 60.000 tonnellate nel 1800 a 350.000 nel 1840.
Gli stati tedeschi, in particolare la Prussia, che all’indomani della sconfitta dell’Impero napoleonico aveva visto estendersi notevolmente il proprio territorio con l’annessione della Renaria-Westfalia, potevano iniziare a sfruttare le grandi risorse naturali del loro sottosuolo. In pochi anni, grossomodo tra il 1840 ed il 1855, il capitalismo industriale tedesco assunse la fisionomia che lo caratterizzerà fino ai giorni nostri.
La via prussiana allo sviluppo del capitalismo nell’agricoltura, con l’espulsione dei contadini dalle loro terre, darà impulso allo sviluppo dell’industria casalinga che aveva bisogno non soltanto delle materie prime ma anche dei semi-lavorati.
Per un lungo periodo perfino l’industria pesante era legata all’artigianato e all’industria casalinga che grazie ai bassi costi di produzione fu la principale fornitrice di prodotti per l’esportazione.
Presto tuttavia con lo sviluppo della grande produzione e dei monopoli, la funzione dell’industria artigiana e casalinga cominciò a decadere e i contadini disseminati nelle varie province saranno costretti a riversarsi nelle grandi cinture industriali.
II La rivoluzione industriale in Germania
Le zone principali dello sviluppo industriale furono la Renania, la
Sassonia, l’Alta Slesia e alcune città come Essen e Berlino, quest’ultima
contava poco più di 180 mila abitanti nel 1800 e cento anni dopo raggiunse i tre milioni di abitanti.
Le fabbriche, alla fine degli anni Quaranta, erano però ancora perlopiù di piccole dimensioni con pochi lavoratori impiegati: nell’insieme occupavano all’incirca il quattro per cento della popolazione. Le poche fabbriche che impiegavano almeno duecentocinquanta dipendenti rientravano tra le grandi aziende. Nelle officine Krupp nel 1846 vi lavoravano solamente centocinquanta operai.
Un ruolo centrale nello sviluppo industriale, in tutto il territorio tedesco, viene svolto dalle ferrovie. Si calcola che negli anni Sessanta e Settanta le ferrovie abbiano assorbito più della metà dei prodotti dell’industria siderurgica. Come osservò Lenin “la costruzione di gigantesche linee ferroviarie, l’estensione del mercato mondiale e l’aumento del commercio provocarono un’inattesa ripresa dell’industria, il nascere di nuove imprese, una corsa ai mercati di sbocco, la corsa al profitto, la fondazione di nuove società, l’impiego nella produzione di una massa di nuovi capitali, formati in parte anche dai piccoli risparmi dei piccoli capitalisti”.
Il primo tratto ferroviario, di appena 6 chilometri, da Furth a Norimberga, risale al 1835 . Ancora nel 1850 la Germania possedeva meno di 6.000 chilometri di linee ferroviarie.
Nel 1860 ne possedeva quasi il doppio; nel 1870 la rete raggiungeva i 18.000 chilometri, allo scoppio della prima guerra mondiale i chilometri erano circa 58.000.
Lo sviluppo della rete ferroviaria diede un enorme impulso allo sfruttamento delle miniere di carbone e alle industrie metalmeccaniche. Nel 1850, prima dello sviluppo delle ferrovie, la Francia e il Belgio producevano più carbone della Germania. Nel 1871, con 29,4 milioni di tonnellate, la Germania produceva il doppio di carbone della Francia.
La costruzione di ferrovie diede anche un forte incremento all’occupazione: negli anni 1851/60 lavoravano in esse mediamente 220.000 lavoratori, nel decennio 1870/80 gli occupati superarono il mezzo milione.
Negli anni Settanta la costruzione delle ferrovie e la guerra vittoriosa della Prussia contro la Francia, che si conclude con l’annessione dell’Alsazia e della Lorena e il pagamento di un indennizzo di cinque miliardi di franchi-oro, darà un grande impulso allo sviluppo in Germania di un’industria moderna e competitiva.
Bisogna sottolineare che la Germania si mise sulla strada del capitalismo
più tardi, ma con un ritmo di sviluppo economico molto più elevato,
rispetto agli altri paesi dell’Europa occidentale. Infatti già alla fine del XIX secolo la vita economica tedesca è caratterizzata: da un rapido sviluppo economico, da un processo di concentrazione della produzione e dalla creazione di grandi monopoli.
L’industria tedesca al momento della nascita dell’Impero era al quarto posto e dopo un ventennio lottava per raggiungere l’Inghilterra.
Nel 1880 – 1884 la fusione media annuale di acciaio era in Germania di 800 mila tonnellate contro le 1800 mila tonnellate dell’Inghilterra. Nel 1895-1899 la produzione media annuale di acciaio fu di 5.100 tonnellate contro le 4.200 dell’Inghilterra. Il commercio estero inglese di acciaio, ferro e dei loro manufatti, era diminuito rispetto all’inizio dell’ultimo ventennio da 27.600.000 sterline a 25.000.000 mentre in Germania era passata da 11.500.000 a 15.300.000 sterline. La produzione di carbone nel periodo che va dal 1870 al 1914 in Inghilterra raddoppiò, mentre nel Reich aumentò di 8 volte. Queste cifre dimostrano che la Germania conquistava nuovi mercati e l’Inghilterra perdeva terreno sul mercato mondiale.
Il processo di concentrazione si era sviluppato in Germania molto di più che in qualsiasi altro paese capitalistico. Come scrisse Lenin parlando dell’industria tedesca: “ i nuovi procedimenti di sviluppo della produzione capitalistica, una tecnica migliore, un’organizzazione senza paragoni, trasformò il vecchio capitalismo, il capitalismo dell’epoca della libera concorrenza, nel capitalismo dei trusts giganteschi, dei sindacati, dei cartelli”.
La borghesia tedesca, con il passaggio alla politica protezionistica nel decennio 1870 – 1880, accelerò la concentrazione della produzione e la creazione dei monopoli. Fra il 1887 e il 1896 sorsero in Germania in media 20 monopoli all’anno. Nel 1889 nella Ruhr le società di Dortmund, Bochum Essen formarono i primi cartelli dell’industria dell’acciaio, carbone e della siderurgia.
Nel 1890 esistevano in Germania 137 cartelli; dopo cinque anni erano 250. “ I cartelli, dice ancora Lenin, diventano una delle basi di tutta la vita economica. Il capitalismo si è trasformato in imperialismo. I cartelli si mettono d’accordo sulle condizioni di vendita, i termini di pagamento, ecc.. Si ripartiscono i mercati. Stabiliscono la quantità delle merci da produrre. Fissano i prezzi. Ripartiscono i profitti fra le singole imprese”.
Il sindacato carbonifero renano-vestfalico che concentrava nelle proprie mani fin dalla sua formazione, 1893, l’ 87% della produzione negli anni successivi riuscì ad estendere il monopolio e ad assorbire tutte le imprese più piccole.
Ma i cartelli costituiti dalle grandi imprese tedesche non si fermarono dentro i confini nazionali: essi nel 1897 partecipavano a ben 40 cartelli internazionali.
Gli investimenti tedeschi in paesi extraeuropei ammontavano a 7-8 miliardi di marchi. Sempre in quegli anni il commercio della Germania con l’estero raddoppiò. La nazione importava in misura sempre crescente le materie prime necessarie alla sua industria ed esportava articoli industriali.
I porti marittimi tedeschi svilupparono un traffico di merci superiore non solo all’Inghilterra , ma anche agli Stati Uniti. Tra il decennio 1894-1904 il commercio estero aumentò del 66% (da 7,3 miliardi di marchi a 12,2 miliardi); in Inghilterra l’aumento era stato del 38% e negli Stati Uniti del 59%.
In una sola generazione si verificarono cambiamenti nelle condizioni economiche tanto considerevoli da impressionare lo stesso Engels, il quale ritornato in Germania nel 1893 dopo 16 anni di assenza, dopo aver fatto un lungo viaggio nel paese, comunicò le proprie impressioni ad una riunione del partito socialdemocratico dicendo “ una generazione fa la Germania era un paese agricolo la cui popolazione per i due terzi era dedita all’agricoltura; oggi è un paese industriale di prim’ordine; lungo tutto il Reno, dalla frontiera olandese a quella svizzera non ho trovato nessuna località dove non si vedessero fumanti ciminiere di fabbriche. A prima vista – egli aggiungeva – sembra che non ci siano altro che capitalisti. Però i capitalisti, sviluppando l’industria, creano nello stesso tempo non solo il plusvalore, ma anche i proletari, distruggono gli strati intermedi dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, inaspriscono i contrasti di classe fra la borghesia e il proletariato, portandoli fino al limite estremo.”
Contemporaneamente alla concentrazione della produzione si sviluppava in Germania la concentrazione bancaria. Come accaduto per la concentrazione dell’industria, anche la concentrazione del capitale bancario avvenne in Germania con un ritmo più veloce che in qualsiasi altro paese europeo.
Le piccole banche venivano eliminate o controllate dalle grandi che riuscivano a controllare buona parte dei capitali. In poco tempo affluì in queste grandi banche un’enorme massa di capitali che stimolò un’ulteriore concentrazione del capitale bancario e al contempo aprì vaste possibilità al finanziamento delle varie imprese industriali.
Le banche cominciarono a controllare l’industria, legarono strettamente ad essa i propri interessi e diedero un enorme impulso alla creazione di potenti monopoli capitalistici.
Le organizzazioni monopolistiche, guidate da un ristretto gruppo di banche e di grossi dirigenti delle industrie in breve tempo acquisirono una funzione decisiva nella vita economica e politica della Germania.
Alla fine del XIX secolo le quattro grandi “D-Banken” berlinesi – La Disconto Gesellschaft, la Deutsche Bank, la Dresder Bank e la Darmstadter Bank detenevano le leve del comando della finanza grazie all’enorme capitale proprio e al gran numero di banche affiliate.
La banca Disconto – Gesellschaft (fondata nel 1856) aveva aumentato il suo capitale da 30 milioni del 1870 a 300 milioni di marchi nel 1914.
Il fondatore, David Hansemann, si era arricchito, durante l’occupazione napoleonica, vendendo tessuti in tutto il territorio tedesco. Nel 1824, Hansemann, fondò una società assicurativa prendendo a modello le società francesi del periodo. Per un breve periodo di tempo ricoprì la carica di ministro delle finanze nel governo prussiano e successivamente quella di presidente della Banca di Prussia, nel 1846, quando questa venne riorganizzata e le venne attribuito il diritto di emettere banconote.
Persa la propria fortuna personale nella crisi finanziaria seguita alla Rivoluzione del 1848, Hansemann si dimise dalla Banca di Prussia per fondare la Disconto sulla falsariga del Credit Mobilier. Il figlio Adolph, che lo sostituirà alla direzione della banca, imprimerà un cambiamento radicale. La banca si fece più attiva nei prestiti all’industria elettrotecnica, in particolar modo alla Aeg ( Società generale per l’energia), all’industria pesante come le società minerarie e siderurgiche.
La Deutsche Bank, venne fondata, nel 1871, a Berlino da Ludwig Bamberger (Adalbert Delbruck, banchiere privato, e Herman Wallich). Bamberger, personaggio di spicco della Deusche, prima della fondazione della banca lavorò e studiò lontano dalla Germania: condannato a morte per il suo ruolo nella Rivoluzione del 1848, si misi in salvo riparando all’estero. Nipote dei Bischoffsheim, banchieri a Parigi e Londra, lavorò a Parigi e a Bruxelles ritornato in Germania, ormai ricco, a seguito di un’amnistia del 1866, darà vita nel 1871 alla creazione della Deutsche Bank e quattro anni dopo alla Reichsbank.
La Deutsche Bank fu organizzata espressamente, come vedremo nel paragrafo successivo, per sfidare il predominio delle banche inglesi nella finanza estera.
In questo periodo il legame tra capitale bancario e capitale industriale
diede un’accelerazione alla creazione di potenti monopoli capitalistici e
alla formazione del capitale finanziario. Alla fine del 1800 un piccolo gruppo di banchieri e di dirigenti dei monopoli industriali, cioè una cerchia ristretta di persone, che costituiva l’oligarchia finanziaria, divenne la padrona del paese. Poche banche, che si erano inserite nell’industria, divennero onnipotenti nella vita economica e politica del paese.
Grande era l’influenza politica di questi magnati che direttamente con l’intervento personale o attraverso la stampa da loro controllata, i partiti politici e i loro gruppi parlamentari da loro finanziati, influivano sulle scelte politiche ed economiche della nazione. Tra i personaggi più noti, che già alla fine dell’ 800 avevano conquistato un’enorme influenza politica, un posto di primo piano era occupato da Emil Kirdorf, capo della Società mineraria per azioni (Bergwerks-Aktiengesellschaft) di Gelsenkirchen strettamente legata alla Disconto-Gesellschaft (Società di sconto).
Un altro era Stumm, grosso industriale, padrone del bacino della Saar, deputato e leader del Reichspartei. Un altro ancora era August Thyssen, il quale aveva iniziato la sua carriera nel 1867 con una piccola fabbrica di laminati a Duisburg; in seguito con l’aiuto della Dresdner Bank (Banca di Dresda) era diventato un grosso magnate dell’industria pesante; aveva tentato di estendere i propri tentacoli anche sulle miniere francesi e quelle russe.
Un ruolo importante nella politica economica lo ricoprì la famiglia Krupp padrone di acciaierie e fabbriche d’ armi a Kiel, di alcuni pozzi carboniferi, di alti forni e di oltre 500 miniere di ferro, strettamente legato alla Deutsche Bank (Banca tedesca).
L’ingresso di questi personaggi dell’industria tedesca nei consigli di amministrazione bancari e viceversa l’ingresso dei banchieri nei consigli di amministrazione delle industrie segnò la nascita dell’oligarchia finanziaria.
Come affermava Lenin, questa unione era completata dall’unione personale di ambedue i gruppi di società con il governo.
A partire dall’ultimo quarto del secolo diviene progressivamente preponderante l’esportazione di capitali e in questo le Banche tedesche ebbero naturalmente un ruolo decisivo finanziando coi propri capitali i commerci di importazione e di esportazione.
“Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è diventata caratteristica l’esportazione di capitali”.
La Disconto investì capitali in Brasile divenendo comproprietaria della Banca brasiliana per la Germania, che finanziava allora il commercio con l’America del Sud.
Inoltre la Disconto era legata anche alla banca “Ernesto Tornquist” di Buenos Aires e alla Banca del Cile per la Germania. Assieme con gli industriali Krupp, dal 1888 essa fu interessata alle concessioni ferroviarie del Venezuela.
La Deutsche Bank fece operazioni finanziarie, oltre che in paesi dell’America Latina anche negli Stati Uniti, partecipando al finanziamento delle compagnie ferroviarie e di diversi istituti finanziari. I suoi interessi si estesero anche in Estremo Oriente: partecipò alla creazione della Banca Tedesca –Asiatica, prese parte alla costituzione di compagnie tedesche ed internazionali per lo sfruttamento dei cavi telegrafici transatlantici, fu direttamente interessata nella concessione ferroviaria della Turchia; in Europa aveva interessi economici in Austria – Ungheria, Italia e Romania, nella Svizzera,in Olanda e in Spagna.
Nel Belgio partecipò alla costituzione della Banca internazionale di Bruxelles e stabilì proprie attività anche in Francia e Russia. In seguito cominciò ad operare anche nel Continente africano.
Queste banche da una parte favorirono l’esportazione dei manufatti dell’industria tedesca, dall’altra finanziavano l’importazione delle materie prime e dei prodotti alimentari.
Negli anni successivi cominciarono a partecipare al finanziamento del commercio fra i paesi dell’America Latina e la Spagna. Nel 1894, con la diretta partecipazione della Deutsche Bank e della Dresdner Bank, fu fondata a Milano la “Banca Commerciale Italiana” che divenne lo strumento per la penetrazione in Italia dei prodotti dell’industria tedesca. L’entrata nella scena mondiale della Germania inasprì la concorrenza economica anglo-tedesca. L’Inghilterra, pur non avendo ancora perduto il proprio predominio sul mercato mondiale in quanto i suoi scambi commerciali erano ancora superiori a quelli della Germania, doveva tener conto della forza crescente della concorrenza tedesca.
Il 2 maggio 1894 il Parlamento inglese approvò il famoso Vincent – Bill: da allora in poi tutte le merci importate in Inghilterra avrebbero dovuto portare un marchio di origine.
Chi fece questa legge pensava che il marchio “Made in Germany” impresso sulle merci tedesche avrebbe allontanato, grazie al patriottismo della massa dei consumatori, tutti gli acquirenti inglesi procurando grossi guadagni a commercianti e industriali. I calcoli non sempre corrispondono alla realtà. Il marchio di origine si trasformò in una sorta di garanzia delle
merci tedesche vendute, grazie ai bassi salari degli operai tedeschi, a prezzi inferiori di quelle inglesi, non solo in Inghilterra ma anche nelle sue colonie.
Allora i circoli industriali e commerciali di Birminghan e Manchester, che più degli altri sentirono la concorrenza tedesca, scatenarono una nuova campagna contro le merci che provenivano dalla Germania, con argomentazioni più svariate per esempio segnalando che molte merci venivano prodotte dai detenuti delle carceri tedesche.
J Chamberlain, ministro delle colonie inglesi, dimostro nel febbraio del 1895 che 44.000 detenuti tedeschi lavoravano alla produzione di ben 16 tipi di produzione commerciale. Egli, seguito da buona parte della stampa inglese, denunciò la disonestà dei metodi di concorrenza dei tedeschi.
La lotta contro il pericolo commerciale tedesco si inasprì ancor di più con la nomina a capo del governo britannico del conservatore Salisbury.
In questa atmosfera di crescente competizione e rivalità economica fu creata l’Unione pangermanica; entrarono a farne parte rappresentanti dell’industria pesante, circoli finanziari e affaristi. La funzione dell’Unione fu rilevante sia nella formazione dell’ideologia politica imperialistica, sia nell’individuazione dell’Inghilterra come principale antagonista dei piani espansionistici tedeschi.
Questo atteggiamento aveva, in ambedue gli Stati, anche la funzione di indirizzare le energie e l’attenzione del proletariato verso un nemico esterno. Infatti contemporaneamente all’acuirsi delle rivalità con le altre potenze imperialistiche, la grande borghesia aveva interesse “ a creare una specie di alleanza… un’unione degli operai di una data nazione con i propri capitalisti, contro gli altri paesi”. Questa alleanza era indispensabile alla borghesia per scongiurare in tempo di pace delle rivoluzioni e in tempo di guerra garantire il consenso e la sicurezza nelle proprie retrovie.
Questo legame fra la borghesia imperialista e l’opportunismo nel movimento operaio si manifestò in Germania negli ultimi anni del XIX secolo.
E’ importante osservare che il passaggio del capitalismo tedesco alla fase imperialistica determinò un aumento dello sfruttamento della classe operaia e un peggioramento delle sue condizioni di vita. E’ vero che i salari dei lavoratori non erano tutti uguali: una piccola parte, minoritaria, aveva una retribuzione più alta, un livello di vita superiore rispetto agli altri operai. Questa parte minoritaria, chiamata aristocrazia operaia, ricopriva un peso politico molto più importante del peso specifico del suo numero; sostenuta dalla borghesia, con le briciole degli enormi profitti
che ricavava sfruttando la grande massa dei lavoratori, diventò il veicolo dell’influenza politica e ideologica della borghesia in seno alla classe operaia. “L’opportunismo – affermava Lenin – è stato generato, nel corso di decenni, dalle particolarità di un determinato periodo di sviluppo del capitalismo, in cui uno strato di operai privilegiati, che aveva un’esistenza relativamente tranquilla e civile, veniva “imborghesito”, riceveva qualche briciola dei profitti del proprio capitale nazionale e veniva staccato dalla miseria, dalla sofferenza e dallo stato d’animo rivoluzionario delle masse misere e rovinate”.
III L’imperialismo tedesco
Quando la Germania fece il proprio ingresso sulla scena mondiale il mondo era già stato sostanzialmente diviso tra le grandi potenze imperialistiche. Ciò non impedì alla borghesia tedesca di ricavare, grazie ad accordi con le imprese inglesi, anche dalle stesse colonie britanniche, grandi profitti.
Grande importanza avevano poi i profitti ricavati dagli investimenti di capitali in Europa, Americhe, Asia e in altre parti del mondo. Ma ciò non era sufficiente; il capitale monopolistico tedesco aveva la necessità di controllare direttamente i nuovi mercati . Per raggiungere questi obiettivi bisognava rafforzare l’esercito e costruire una marina in grado di competere con la potente marina militare inglese. Vennero, con il consenso di quasi tutti i parlamentari, approvate delle leggi che permisero l’aumento delle spese militari. Nei primi venticinque anni di esistenza la Germania spese in armamenti circa 16 miliardi di marchi.
A partire dagli anni 70 con la nuova ripartizione territoriale anche in Germania si cominciò a parlare sempre più insistentemente: di preminenza degli interessi, di sfere d’influenza, di penetrazione economica, di politica dalle mani libere.
IV La guerra anglo-boera
Due guerre, quella degli Stati Uniti del 1898 contro la Spagna, per conquistare Cuba e le Filippine, e quella intrapresa dall’Inghilterra, contro le due piccole repubbliche boere: il Transvaal e lo Stato libero d’ Orange, segnarono l’inizio di una nuova epoca, l’epoca dell’imperialismo e del dominio del capitale finanziario.
Nella storia del passato si erano combattute molte guerre, allo scopo di
estendere il commercio e i possedimenti delle potenze imperialistiche, ma
mai gli interessi del capitale monopolistico e finanziario avevano avuto un ruolo così decisivo e determinante come in queste due sopraindicate.
La guerra anglo-boera, scoppiata nel 1899, ha avuto una grande importanza storica. E’ stata questa una delle prime guerre di tipo imperialista.
La piccola repubblica del Transvaal, fondata nel 1837 dai discendenti dei contadini olandesi, che erano emigrati al Capo di Buona Speranza alla metà del XVII secolo, aveva goduto di una relativa pace fino al 1886, anno della scoperta dei giacimenti d’oro.
Dei 300 mila kg. d’oro, che a quei tempi si estraevano al mese in tutto il pianeta, 80 mila se ne estraevano nella piccola Repubblica. La sola Inghilterra, ogni mese, ne estraeva dalle proprie colonie 80 mila kg. e se si fosse,come era sua intenzione, impadronita della repubblica boera sarebbe diventata padrona di più della metà della produzione mondiale di oro.
Per questa ragione i dirigenti inglesi si attivarono per la conquista della Repubblica del Transvaal. L’impresa venne affidata a Cecil Rodes, fondatore e direttore della “Chartered Company”, capo del potente sindacato “de Beers”, che forniva il 90% della produzione diamantifera mondiale, primo ministro della Repubblica del Capo e padrone della Rhodesia. Egli preparò, molto accuratamente, un grandioso piano per creare un impero inglese che avrebbe dovuto estendersi da Città del Capo fino al Cairo. La conquista della Repubblica boera faceva parte di questo piano. I mezzi per raggiungere tali obiettivi furono i più svariati. In primo luogo, in base a un trattato imposto ai boeri nel 1884, l’Inghilterra aveva il diritto di esercitare il controllo sui rapporti di questa Repubblica con l’estero. In secondo luogo essi potevano esercitare una costante pressione sul governo boero agendo sugli immigrati inglesi che avevano ottenuto la cittadinanza della piccola Repubblica e speravano di prevalere sui boeri. In terzo luogo l’Inghilterra aveva cercato di accerchiare e isolare il Transvaal con i suoi possedimenti. Quest’ultimo tentativo fallì perché la Repubblica boera si era unita direttamente con una ferrovia con il porto portoghese Laurenco Marques situato sulla costa della baia di Delagoa. Il tentativo di conquistare, da parte del governo inglese, il controllo di questo porto e della ferrovia fallì per l’opposizione del governo portoghese dietro il quale agiva attivamente la diplomazia e il capitale tedesco che aveva già costruito la ferrovia che collegava Pretoria direttamente al mare. Inoltre per dimostrare il suo appoggio a Pretoria e per dissuadere gli inglesi il governo tedesco, nel gennaio del 1895, mandò dimostrativamente a Delagoa due navi da guerra.
Sempre in questo periodo l’influenza economica, la penetrazione dei capitali e merci tedesche nella Repubblica boera si sviluppò considerevolmente. L’industria meccanica tedesca, i trusts elettrotecnici, le grandi ditte di costruzioni, la Società per l’industria dell’acciaio di Bochum, la fabbrica di vagoni Deutzer di Colonia, la Krupp e la Siemens trovarono in questo paese lo sbocco per la propria produzione.
Le banche tedesche non si limitavano a partecipare alla banca del Transvaal, ma di fatto la controllavano. Nell’ottobre del 1895 la Dresdner Bank aprì a Pretoria una succursale e grande interesse mostrò anche la Deutsche Bank. Il capitale tedesco investito in Transvaal raggiungeva in questo periodo la somma di 500 milioni di marchi.
Attratti dai fantastici guadagni, accorsero nella Repubblica boera numerosi avventurieri, commercianti e industriali tedeschi. Solo nella città di Johannesburg i tedeschi immigrati erano 15000. Questi immigrati si consideravano il nucleo della nuova grande Germania nell’Africa meridionale. Il loro progetto era quello di instaurare sul Transvaal il protettorato della Germania e per questo era necessario eliminare il pericolo di un protettorato inglese. I circoli tedeschi dichiararono unanimi la loro disponibilità a difendere i boeri da un’eventuale attacco inglese.
Nell’aprile 1895 i tedeschi riuscirono, d’accordo con il Portogallo, a strappare agli inglesi il controllo sul servizio postale lungo la costa sudorientale dell’Africa. La reazione dell’Inghilterra non si fece attendere. Il 30 dicembre, con il benestare del governo, bande della “Chartered Company”, forti di oltre 800 uomini, armate di cannoni e mitragliatrici, al comando di Jamenson, stretto collaboratore di Rhodes, entrano nel territorio del Transvaal e marciano verso Johannesburg, dove si attendeva da un momento all’altro l’insurrezione organizzata da tempo sempre da Rhodes.
Il giorno dopo la notizia arriva a Berlino. Il governo reagisce: rompe le relazioni diplomatiche con l’Inghilterra, invia una unità militare a Pretoria, ordina al comandante dell’incrociatore “Seeadler”, dislocato nelle acque della baia di Delagoa, di sbarcare un reparto di fanteria marina e di inviarlo nel Transvaal.
Ma quando la tensione tra Londra e Berlino stava ormai per raggiungere un punto di non ritorno furono gli avvenimenti del giorno dopo a far allentare la tensione.
Le bande di Jamenson furono circondate dai boeri e catturate assieme al loro capo. Anche il complotto organizzato a Johannesburg Fallì miseramente.
L’incursione delle bande inglesi smascherò Rhodes di fronte alla popolazione e al governo del Transvaal che, pur contando sull’aiuto tedesco, cominciò ad armarsi per potersi difendere autonomamente. Buona parte delle armi vennero acquistate in Germania. La ditta Krupp ricevette, proprio in questo periodo, grandi ordinazioni di cannoni e la ditta berlinese Lewe fece grandi guadagni dalla vendita di un gran numero di fucili Mauser.
I boeri, con l’acquisto di armi belghe, fecero guadagnare molto denaro anche ad alcune ditte commerciali inglesi, le quali erano a conoscenza che tali armi sarebbero state usate contro i soldati inglesi.
Ma furono soprattutto le ditte tedesche a trarre i massimi guadagni fornendo ai boeri armi per la guerra contro l’Inghilterra e contemporaneamente fornendo all’esercito inglese armi e munizioni per la guerra contro i boeri. Interesse di queste ditte era quindi quello di mantenere il più a lungo possibile lo stato di tensione nei rapporti tra inglesi e boeri.
Dopo la crisi del 1895-96 possiamo notare un graduale cambiamento del governo tedesco per quanto riguarda i rapporti anglo- boeri. Le ragioni del mutamento politico vanno ricercate nei diversi interessi del capitale tedesco.
Nella Repubblica boera oltre ai circoli della Deutsche Bank e della Darmstadt Bank, che deteneva un grosso pacco di azioni delle ferrovie del Transvaal, avevano grossi interessi anche le acciaierie Krupp, gli armatori di Amburgo e altri esportatori. Un ruolo importantissimo veniva svolto da uno dei più grandi gruppi del capitale finanziario tedesco: la Disconto – Gesellschaft. Soprattutto il capo di questa banca, il banchiere Hansemann, s’interessava proprio in questo momento della costruzione di una ferrovia che doveva collegare l’Africa orientale tedesca con l’Africa sud – occidentale tedesca. Il progetto prevedeva che la ferrovia attraversasse il territorio del Transvaal.
La Lega pangermanica, appoggiata dalla Disconto, si affrettò, attraverso la stampa, ad appoggiare tale progetto. Era però chiaro, fin dall’inizio, che questa banca da sola non avrebbe potuto assicurare il finanziamento di un’impresa così grandiosa. Il tentativo di avere l’appoggio della Deutsche Bank fallì, lo stesso avvenne con la City di Londra che era interessata alla realizzazione della linea ferroviaria, che da Città del Capo arrivava al Cairo, progettata da Rhodes.
Hansemann assieme ad una parte dei commercianti anseatici, della
compagnia navale Werman e altri grandi circoli finanziari chiedeva al
governo tedesco di svolgere una politica più attiva nell’Africa del sud e
una lotta più incisiva per avere un peso più determinate nel Transvaal. Ma per quanto questo gruppo fosse influente il governo tedesco doveva tener conto anche degli interessi di un altro gruppo finanziario alla cui testa si trovava la Deutsche Bank. Anche questo gruppo chiedeva al governo un impegno maggiore e una politica più attiva nella Repubblica boera, ma i suoi dirigenti, molto informati sugli interessi dell’imperialismo inglese e sull’atteggiamento dei boeri, avevano cominciato ad elaborare vasti piani verso l’Impero ottomano, l’Asia sud-occidentale e la Cina. Al centro di questo grandioso piano espansionistico stava il progetto della costruzione della ferrovia, che partendo dal Bosforo passasse per Bagdad e giungesse fino al Golfo Persico.
Questi circoli legati alla Deutsche Bank, dopo aver ottenuto la concessione dal governo turco per la costruzione della ferrovia, cominciarono, per l’impossibilità di fermare la crescente pressione dei capitalisti inglesi, a disinteressarsi degli affari del Transvaal. Infatti Siemens e gli altri dirigenti della Deutsche Bank si resero conto che sarebbe stato più conveniente, per il capitale tedesco, rinunciare alle mire espansionistiche nel sud Africa e sfruttare le posizioni politiche ed economiche di cui disponeva in quella zona, per costringere l’Inghilterra a scendere a patti. Essi rivendicavano, in cambio di un loro disinteresse sulla piccola Repubblica del Transvaal, grossi compensi finanziari e coloniali. Fu così che in questi gruppi del capitale finanziario cominciò a prendere forma una linea di ritirata invece di una linea di politica attiva nella Repubblica boera. Questa politica coincideva con gli interessi delle classi dominanti: borghesia e junker.
Nella lotta tra i due gruppi del capitale finanziario tedesco, uno capeggiato dalla Deutsche e l’altro dalla Disconto, prevalse, grazie all’appoggio del governo, la tendenza che considerava più conveniente alimentare e accentuare la tensione nei rapporti tra l’imperialismo inglese e i boeri.
Da un lato i circoli della lega pangermanica facevano credere ai boeri che la Germania non gli avrebbe mai abbandonati. Dall’altro lato, il Kaiser, il capo del governo Bulow e l’ambasciatore tedesco a Londra, non rinunciarono a sondare il terreno presso il ministro inglese Salisbury , sui compensi per l’amicizia che la Germania avrebbe potuto concedere, a determinate condizioni, all’Inghilterra.
Nell’estate del 1898, la diplomazia tedesca venuta a conoscenza che il governo inglese si accingeva ad approfittare della difficile situazione finanziaria in cui era venuto a trovarsi il Portogallo per mettere le mani sui suoi possedimenti coloniali, pretese dall’Inghilterra la propria parte,
cioè avere libero accesso alla spartizione delle colonie portoghesi. Per rendere più convincente la sua richiesta il governo tedesco minacciava di intervenire a fianco dei boeri, di allearsi con la Russia e altre potenze rivali dell’Inghilterra, in realtà questo era solo un ricatto per poter aumentare le proprie pretese.
Alla fine, dopo lunghi contrasti e mercanteggiamenti, conclusero un accordo per la spartizione delle colonie portoghesi. Tutti i partiti dominanti accettarono tale accordo eccezion fatta per la lega pangermanica, che aveva a cuore gli interessi della Disconto, che lo qualificò come tradimento a danno dei boeri.
Nel marzo 1899 Cecil Rhodes, per assicurarsi della neutralità dei circoli tedeschi in caso di guerra contro il Transvaal, si reca a Berlino e si impegna: ad esercitare pressioni sulle alte sfere inglesi per strappare concessioni coloniali, particolarmente nelle isole Samoa, che i circoli della marina tedesca consideravano una importante base strategica nell’Oceania, favorire la Germania nella costruzione della linea telegrafica e della ferrovia transafricana e appoggiare la Deutsche Bank nell’Asia sud – occidentale.
La linea politica, del non intervento, del governo tedesco poggerà sul sostegno della Deutsche Bank perché vi vedeva la condizione per il successo per la sua espansione sia verso l’Asia sud-occidentale, sia verso la Cina. I circoli collegati con la Disconto -Gesellschaft non erano entusiasti, ma aspettavano anche loro i grossi vantaggi, promessi da Rhodes, per la costruzione della ferrovia africana. I Krupp e gli altri grandi magnati dell’industria bellica avevano già ottenuto grossi profitti prima della guerra e se ne aspettavano altri ancora maggiori in caso di inizio guerra .
Il 22 settembre il governo inglese, dopo essersi assicurato la neutralità della Germania, proclamò la mobilitazione di un corpo d’armata. Alcuni giorni dopo una parte considerevole venne mandata in Africa del sud.
Il 9 ottobre il presidente del Transvaal, Kruger, presentò l’ultimatum al governo inglese chiedendo di ritirare le truppe a ridosso della frontiera. Il governo inglese le respinse. Kruger, dopo aver avuto l’appoggio del presidente della Repubblica d’ Orange, prese l’iniziativa e occupò il Natal. La guerra era cominciata.
La guerra incominciò male per l’inglesi. I boeri in tre distinte battaglie sconfissero le truppe britanniche. La resistenza della piccola Repubblica e la prolungata guerra partigiana ridiede fiato a quei sentimenti antinglesi. Nella lega pangermanica si manifestarono due tendenze che
rispecchiavano gli interessi tra i diversi gruppi del capitale monopolistico tedesco.
V Imperialismo tedesco in Cina
I diversi tentativi di realizzare un grande impero coloniale in Africa dovettero fare i conti con gli interessi inglesi. Più promettenti erano stati invece i successi in Medio Oriente.
La penetrazione del capitale tedesco nell’immenso mercato cinese era incominciato fin dal 1870-80. I dati in nostro possesso confermano i grossi interessi economici della Germania con questo paese. Nel 1885 la Germania importò dalla Cina merci per una somma complessiva di 949 mila marchi; nel 1893 questa somma fu di 14 milioni di marchi. Negli stessi anni esportò in Cina rispettivamente per una somma di 16,5 e di 33,25 milioni di marchi.
In primo piano nelle esportazioni troviamo la ditta Krupp che vendeva in Cina armi, locomotive, istallazioni ferroviarie e materiali per la costruzione di ponti. Al successo di Krupp in Cina contribuivano gli istruttori militari tedeschi, chiamati in quel paese per addestrare l’esercito cinese, e i tanti agenti inviati in Cina, che fin dagli anni 80, grazie alla corruzione sistematica dei governatori vinsero la concorrenza della ditta inglese, Armstrong, ottenendo in questo modo, in molte province cinesi, il monopolio della vendita di armi.
Questo avvenne anche grazie al ruolo che ebbe, fin dal 1886, la compagnia di navigazione tedesca di Amburgo, il Norddeutsche Lloyd, che stabilì una regolare linea marittima con la Cina destinata a favorire le esportazioni e l’ importazioni di merci.
Questa compagnia, con l’acquisto delle 27 navi della East Indian Ocean Steamship C. , assieme alla Bremer Lloyd, che comprò tutte le navi della Scttish Oriental SteamshipC. Inglese e gran parte delle navi della Henry Holt Line, mise in discussione, in Asia Orientale, il monopolio marittimo inglese.
Il punto d’appoggio più importante, per la penetrazione del capitale tedesco, divenne la Deutsche -Asiatische Bank, creata a Sciangai ne 1889, che estese i suoi affari non solo in Cina, ma anche in Giappone, Indocina e India.
Dietro le spalle della Deutsche -Asiatische Bank stava il grande capitale
finanziario tedesco con a capo la Disconto – Gesellschaft spesso in
competizione, ma certe volte anche in accordo, con la Hongkong-Shangai
Bank che rappresentava i gruppi finanziari inglesi con a capo la casa bancaria Rothschild.
A dare l’avvio alla corsa per la conquista del mercato cinese sarà la guerra cino-giapponese del 1894-95, cioè quando il Giappone cercò secondo l’espressione di Lenin, “ di aprire una breccia nella muraglia cinese; scoprendo un boccone così prelibato che subito si precipitarono ad addentarlo i capitalisti dell’Inghilterra, della Germania, della Francia, della Russia e persino dell’Italia”.
Negli anni immediatamente successivi le potenze europee iniziarono la spartizione della Cina.
All’inizio della guerra cino-giapponese il governo tedesco, pur avendo dichiarato la sua neutralità, seguiva da vicino gli avvenimenti per precedere le eventuali iniziative delle altre potenze imperialistiche.
Alla fine di aprile del 1895, le autorità cinesi, avendo estremo bisogno di un finanziamento per coprire le spese della provincia di Nanchino, si rivolsero a un gruppo di banche tedesche chiedendo loro un modesto prestito di 30 milioni di marchi. Ma ciò che interessava in particolar modo le banche tedesche era il prestito molto più consistente, che stavano trattando a Berlino con i rappresentanti del governo cinese, con il quale pagare i danni di guerra al Giappone. Le trattative procedevano lentamente poiché i banchieri non riuscivano a mettersi d’accordo sulle garanzie da chiedere alla Cina e i cinesi avevano i propri motivi per ritardare la conclusione delle trattative per il fatto che stavano, in segreto, contrattando contemporaneamente con inglesi, russi e francesi. A maggio, mentre a Berlino le trattative andavano avanti, si seppe che prima Londra e poi Parigi e Mosca avevano concesso al governo cinese dei grossi prestiti. Nello stesso anno il capitale finanziario inglese aveva ottenuto la concessione della linea ferroviaria Sciangai-Nanchino.
La stampa tedesca colta all’improvviso, e così le banche tedesche che ne determinavano l’atteggiamento, cambiò atteggiamento accusando apertamente il governo di non aver saputo impedire la stipulazione del prestito anglo-russo-francese e di aver fatto perdere la possibilità di un accordo tanto vantaggioso.
Per venire incontro alle richieste del capitale finanziario e calmare la stampa il governo tedesco elaborò alcuni progetti di conquista di uno o due punti d’appoggio in Cina. Bisognava aprire le ostilità e creare un pretesto per scatenare la guerra. I tentativi messi in atto furono tanti. Cominciarono i marinai e gli ufficiali dell’incrociatore tedesco “Kormoran” ancorato nel porto di Wuciag che provocarono in tutti i modi gli abitanti del posto, che abituati a convivere con i soprusi degli
occidentali, subirono passivamente, solo un cittadino, esasperato, lanciò un po’ di fango contro alcuni marinai tedeschi. Questo piccolo incidente, come i cinesi avevano pensato, sarebbe stato utilizzato come pretesto per occupare un porto cinese. Mentre gli ufficiali tedeschi preparavano l’attacco giunse improvvisamente la notizia di un altro incidente molto più grave di quello che passò alla storia come il pugno di fango. Nello Sciantung meridionale furono uccisi, in circostanze oscure, due missionari cattolici tedeschi. Arrivata la notizia a Berlino il Kaiser, senza tener conto delle conseguente a livello internazionale, ordinò al comandante della squadra dell’Oceano Pacifico, ammiraglio Diederichs, di occupare immediatamente il porto di Kiaociou. Le autorità tedesche erano, da tempo, a conoscenza dell’esistenza nell’entroterra di ricchi giacimenti di carbone, ferro e altri minerali di cui le proprie industrie avevano particolarmente bisogno.
Subito dopo il vecchio cancelliere Hohenlohe, molto più riflessivo di Guglielmo, cosciente delle complicazioni con l’Inghilterra e la Russia, chiese a l’imperatore di inviare un telegramma a Diederichs per bloccare lo sbarco nel porto cinese. Cosa che il Kaiser, a malincuore fece, ma il telegramma arrivò con un po’ di ritardo, cioè quando, il 14 novembre 1897, le tre navi da guerra tedesche erano già entrate nella baia di Kiaociou e i duecento uomini con armi in pugno costrinsero la guarnigione cinese ad abbandonare le sue postazioni lasciando in mano ai tedeschi: armi, munizioni e fortificazioni.
La reazione della Russia e delle altre potenze fu di accettazione del fatto compiuto. Ciò che preoccupavano in particolar modo l’ammiraglio Diederichs erano invece i reparti cinesi che erano stati istruiti da ufficiali tedeschi all’uso di armi di fabbricazione tedesca e lo stesso cancelliere Hohenlohe non aveva dubbi sulla vittoria dei reparti cinesi se fossero stati impiegati contro i reparti tedeschi.
I cinesi invece di reagire intavolarono trattative chiedendo soltanto l’evacuazione di Kiaociou da parte delle truppe di occupazione. I tedeschi invece avanzarono il desiderio di ottenere in affitto la Baia, concessioni ferroviarie e il diritto esclusivo di sfruttare le miniere dello Sciantung. Dopo varie discussioni il governo cinese si convinse dell’impossibilità di cacciare, con le proprie forze, le truppe tedesche e fece, perciò, capire di essere disposto a riconoscere la conquista proponendo però di cambiare la baia di Kiaociou con un altro porto cinese situato un po’ più a sud.
Il capo del governo tedesco convinto che questa proposta fosse stata
suggerita dal governo russo decise di rilanciare le proprie proposte e
quando finalmente i cinesi accettarono di cedere in affitto la baia di Kiaiciou per 50 anni, i tedeschi non si accontentarono e chiesero e ottennero che il termine di affitto fosse portato a 99 anni e che il governo cinese desse a una compagnia tedesca una concessione per la costruzione di una linea ferroviaria da Kiaociou fino all’interno dello Sciantung. Il governo cinese, lasciato senza alternativa, fu costretto ad accettare tutte queste richieste. Anche le altre potenze sulla scia della Germania ottennero dei contratti d’affitto di porti o punti strategici cinesi:la Russia ottenne dalla Cina il contratto di affitto per 25 anni di Port Arthur e Talienwan; l’Inghilterra affittò, dopo averla conquistata, Weihaiwei; la Francia riuscì ad avere in affitto una parte del territorio dello Yunnan (Kuangciou-wan). Questo fu il prezzo della punizione che i cinesi dovettero pagare per aver ucciso due missionari e per un pugno di fango lanciato da un cittadino cinese, dopo pesanti provocazioni, contro un militare tedesco. Lenin spiegò subito il significato vero di questi fatti. “Uno dopo l’altro, i governi europei si misero con tanto zelo a saccheggiare, al “affittare” come dicono loro, terre cinesi che non senza ragione si levarono voci di una spartizione della Cina”.
Queste conquiste entusiasmarono i circoli finanziari, i grandi industriali, con i Krupp in testa, la casta militare della marina e i grandi proprietari fondiari junker, che già pensavano a come importare mano d’opera quasi gratuita per sfruttarla nelle loro proprietà.
Gli unici ad opporsi furono i socialdemocratici. Bebel smascherò: i fini di classe perseguiti da questa politica, i sistemi provocatori che il governo aveva usato contro la Cina e come alla base di questa politica non ci fossero gli interessi dei lavoratori, ma solo gli interessi materiali del capitalismo tedesco.
VI Ferrovia Bagdad
Nella seconda metà dell’Ottocento il capitale finanziario tedesco e i circoli pangermanici discussero sulla futura sorte della penisola balcanica. Dopo la guerra greco-turca l’influenza tedesca nell’Impero ottomano appariva decisamente rafforzata. Accanto agli interessi economici del capitale tedesco in Turchia cominciavano anche a crearsi interessi di carattere strategico. Le enormi possibilità che presentava l’Impero ottomano come mercato di investimento di capitali per la costruzione di ferrovie, porti, centrali elettriche e commesse militari diede alla lotta imperialistica un carattere molto più ampio. In un primo momento l’industria bellica tedesca riuscì ad ottenere dal sultano una cospicua
ordinazione di fucili e munizioni. Successivamente riuscì ad organizzare l’invio di ufficiali turchi in Germania, cosa molto importante per il mantenimento dello spirito tedesco nell’esercito turco, e ad inviare 11 ufficiale tedeschi con il compito di istruire l’esercito turco all’uso delle armi fornite dai grandi cantieri di Amburgo e dai Krupp.
Ma ciò che interessava in particolar modo il capitale tedesco era la costruzione della lunghissima linea ferroviaria anatolica.
Secondo l’ambasciatore tedesco a Costantinopoli, barone Marschall von Bieberstein, la ferrovia anatolica doveva attraversare la valle del Tigri e dell’Eufrate per arrivare a Bagdad e poi fino al Golfo Persico.
Nella primavera del 1898 la diplomazia tedesca avevano iniziato i preparativi per la visita del Kaiser a Costantinopoli. Il viaggio ebbe inizio in autunno e la prima tappa, il 18 ottobre, fu Costantinopoli, qui si parlò di riarmo e del rafforzamento dell’esercito turco e soprattutto della funzione che il capitale tedesco poteva avere in Turchia. Poi nei giorni successivi l’imperatore si recò a Gerusalemme e a Damasco, dove visitò la tomba del Saladino; qui dichiarò solennemente la sua incondizionata amicizia con i trecento milioni di musulmani disseminati nel mondo.
Nel suo discorso il Kaiser appoggiava non solo l’Impero ottomano, ma anche la propaganda panislamista che Abdul Hamid svolgeva attraverso emissari inviati nel Caucaso, in Crimea, nella regione del Volga, nel Turkestan, e nelle altre regioni orientali abitate da musulmani.
Assieme a Guglielmo, in Turchia giunse anche il direttore della Deutsche Bank, Siemens e altri banchieri e industriali che definirono gli ultimi dettagli per la costruzione della ferrovia di Bagdad, la concessione per la costruzione del porto a Haidarpascia e la concessione per la posa di un cavo telegrafico tedesco fra Costanza e Costantinopoli.
Con il viaggio dell’imperatore tedesco ebbe inizio un nuovo stadio non soltanto dell’espansione economica, ma anche della politica imperialistica della Germania in Medio Oriente.
Il problema era ora quello di reperire i finanziamenti per questi grandi progetti. La Deutsche Bank dopo aver perso l’appoggio dei circoli capitalistici tedeschi, impegnati in grosse speculazioni in borsa e indisponibili a prestare i loro soldi da impegnare in investimenti meno sicuri, si rivolse ad un gruppo finanziario francese ottenendone la disponibilità.
L’ambasciatore francese a Costantinopoli, che rappresentava direttamente i grandi gruppi finanziari parigini Ottinger e Malet, principali azionisti della Banca l’Union Parisienne, e Vitali che era a capo del più grande trust metallurgico francese, nell’aprile 1899 propose a Marschall un
accordo fra i gruppi del capitale finanziario francese e tedesco per una comune attività finanziaria in Turchia. I negoziati iniziati a Berlino fra la Deutshe Bank e i rappresentanti del gruppo dei capitalisti francesi si chiusero con successo. Cedendo ai francesi soltanto il 40’% delle azioni della ferrovia di Bagdad il capitale tedesco era riuscito a mantenere la propria influenza e il predominio sull’intero progetto.
Il 24 dicembre 1899 la Anatolische Eisenbahn – Gesellschft firmava con il governo turco un accordo preliminare sul tracciato della ferrovia fino a Bagdad e Bassora.
Il pagamento delle spese per la costruzione avveniva nella seguente maniera: il governo concedeva all’amministrazione della Dette Publique Ottomane l’appalto per la riscossione diretta delle decime dei contadini e buona parte di tale somma veniva versata alla compagnia ferroviaria.
Quindi le decime venivano estorte dal governo turco non direttamente, ma attraverso appaltatori ai quali lo Stato, vendeva il gettito prevedibile delle imposte. Per esempio il grano, da sempre utilizzato dai contadini come prodotto d’uso, veniva estorto dagli appaltatori e nelle loro mani diventava merce e, come merce denaro, che passava poi nelle mani dello Stato turco e serviva per pagare la costruzione delle ferrovie.
La base dell’accumulazione appare qui in piena luce. Il capitale tedesco costruisce in Turchia ferrovie, porti, opere irrigue, estorcendo dalle popolazioni indigene che impiega come forza-lavoro un nuovo plusvalore. Ma questo plusvalore, insieme coi mezzi di produzione impiegati di provenienza (materiale ferroviario, macchine ecc.), deve essere realizzato. Chi contribuisce a realizzarlo? In parte il commercio suscitato dalle stesse ferrovie, dai porti ecc. , al quale la struttura economica naturale dell’Asia Minore apre un vasto campo di sviluppo. In parte, quando gli scambi di merci non crescono con la rapidità voluta dalle esigenze di realizzazione del capitale, la macchina dello stato provvede con la forza a trasformare in denaro le entrate in natura della popolazione e ad impiegarle sotto questa forma alla realizzazione del capitale e del plusvalore.
Nel 1903 fu autorizzata la costruzione di un altro tronco ferroviario che da Bagdad arrivava fino al Golfo Persico (2400 km), passando nel Kuwait che era da tempo una zona d’influenza degli inglesi. Ciò creò una forte opposizione sia da parte del governo russo, per la presenza, a ridosso dei loro confini, di una potenza imperialistica come la Germania, sia da parte del governo inglese che considerava la presenza tedesca, in quella regione, un’intrusione nella sua zona di influenza.
I contrasti coloniali tra le potenze europee e la Germania divennero
irreversibili dopo l’accordo tra Francia e Inghilterra, firmato nel 1904, per
la spartizione dell’Africa settentrionale. Con questo accordo la Francia rinuncia alle pretese egemoniche nei confronti dell’Egitto e ne riconosce l’influenza Inglese. l’Inghilterra si dichiara a sua volta favorevole ad un ampliamento del dominio francese in Tunisia, Algeria e Marocco. Ma proprio in quest’ultimo paese le banche e le grosse imprese tedesche, già da tempo, avevano intrapreso una intensa e redditizia attività commerciale e non erano per niente disposte a farsi da parte. La Germania per superare i contrasti e far valere le proprie ragioni promuove una conferenza internazionale che si tenne nella città spagnola di Algesiras nel 1906. l’incontro non eliminò nessun contrasto, anzi l’unico effetto che sortì fu l’isolamento politico e l’indebolimento economico dell’Impero tedesco. Ad esasperare ulteriormente i contrasti fu la crisi di sovrapproduzione industriale, del biennio 1908 e 1909, che interessò tutti i paesi capitalistici, in particolar modo la Germania.
Nel luglio del 1911 le speranze tedesche di sfruttare i giacimenti di ferro, di piombo e manganese, in Marocco, vengono cancellate definitivamente con l’occupazione militare da parte della Francia.
Venuta meno questa possibilità le industrie e le banche tedesche rivolgono l’attenzione all’area balcanica e al Medio Oriente. La Disconto fornisce alla Romania, Grecia e Bulgaria prestiti per completare le loro reti ferroviarie ed elettriche mediante acquisti di materiale dalle industrie tedesche. Sempre la Disconto riesce ad ottenere la concessione per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio di Ploesti, vendendo in Germania tutto il petrolio estratto.
La Deutsche Bank porta avanti lo sfruttamento dei giacimenti di cromo nell’Asia Minore e il collegamento ferroviario tra Istambul e Bagdad. L’ascesa al potere in Turchia dei “giovani Turchi” nel 1908 accentua il legame con la Germania e le banche concedono grossi prestiti per rinnovare il suo armamentario con acquisti di materiale bellico dall’industria tedesca e in particolar modo dalla Krupp. Negli ambienti capitalistici tedeschi si fa strada l’idea di poter superare la crisi economica facendo di tutta l’area balcanica e medio-orientale un vasto mercato che dia uno sbocco all’industria pesante tedesca e le fornisca le materie prime necessarie basso costo.
Questo disegno del capitalismo tedesco crea però sempre più gravi tensioni internazionali.
l’Inghilterra preme sul governo persiano per non permettere il passaggio della ferrovia nel suo territorio. La Francia cerca con tutti i mezzi di ridurre l’influenza tedesca in Serbia, in Grecia, in Bulgaria e in Romania.
Le due guerre combattute nel 1912 che hanno interessato i paesi dell’area balcanica (passate alla storia come guerra balcaniche) portano sull’orlo della bancarotta le nazioni che vi partecipano.
Alla fine del conflitto la Serbia si rivolge per un grosso prestito alle banche tedesche, ma esse essendo prive di capitali liquidi non possono concedere alcun prestito. La Serbia si rivolge allora alla Francia che, grazie alla disponibilità di capitali liquidi, non ha difficoltà a concedere il prestito, ponendo, però, come condizione che questi soldi siano spesi nell’acquisto di proprie merci.
Anche la Romania chiede un prestito alle banche tedesche ottenendo, come la Serbia, lo stesso risultato negativo. L’unica strada percorribile, per le grandi disponibilità di liquidità, è quella francese, che concede il prestito, ma ponendo come condizione il controllo dei pozzi petroliferi già controllati dai tedeschi.
Stessa dinamica si svolge in Turchia che prima chiede alle banche tedesche il denaro per riarmare il proprio esercito e costruire le fortificazioni nei Dardanelli, ma non avendolo ottenuto si rivolge alla Francia che pone anche in questo caso come condizione l’acquisto di armi dalle sue industrie. A questo punto l’unico sbocco alle incessanti contraddizioni che la crisi capitalistica genera, coinvolgendo tutte le potenze industrializzate, e in particolar modo la Germania che ha l’esercito più potente del mondo, non può essere che la guerra.
Cagliari 13/11/2007