DALLA PARTE DI ENI E ENEL di Gipì

ECCO COME LA GF E ID VUOLE INDEBOLIRE LE IMPRESE STRATEGICHE ITALIANE

 

Su Il Giornale di ieri è apparsa un’intervista a Massimo Orlandi AD di Sorgenia, azienda che opera nel settore  dell’energia elettrica e del gas naturale, facente capo alla Cir, la holding del gruppo De Benedetti.

Si tratta di una di quelle imprese che puntano (ma sarebbe meglio dire puntavano), per la loro maggiore affermazione sul mercato, sulle cosiddette energie alternative e sulla tutela del territorio. Almeno questa è stata la mission di facciata con la quale l’azienda ha cercato di raccogliere credito presso il grande pubblico, sempre sensibile alle tematiche ambientalistiche che però, come ben si vede, celano interessi tutt’altro che sinceri.

Ma vediamo cosa dice il giornalista Desario del Messaggero a proposito di Sorgenia:

 

“Il nome Sorgenia ai più non dice niente. Parla chiaro invece la sua compagine azionaria. La Sorgenia spa fa capo per il 79,5% alla Sorgenia holding, la scatola finanziaria controllata dalla Cir (Compagnie industriali riunite) della famiglia De Benedetti con una quota del 68,1% . Ma in realtà c’è ancora un gradino da salire per arrivare al cuore degli interessi della famiglia (la Carlo De Benedetti &figli Sapa). Già, perchè la Cir è controllata al 45,4% dalla Cofide, a sua volta partecipata al 45,66% appunto dall’accomandita di famiglia. La Cir divide il capitale della Sorgenia holding con la Verbund Italia spa (31,9), lo storico partner austriaco del gruppo De Benedetti. La stessa Verbund compare anche tra gli azionisti della società operativa a valle, la Sorgenia spa, con una quota del 16. Una posizione condivisa anche con il management (3,3) e con Banca Montepaschi di Siena, che custodisce una partecipazione dell’1,1. L’amministratore delegato di Sorgenia spa è Massimo Orlandi. Il presidente è Rodolfo De Benedetti, figlio di Carlo De Benedetti. L’"Ingegnere" che, ha espresso il desiderio di avere la prima tessera del Partito Democratico, mantiene la carica di presidente delle due holding quotate a Piazza Affari (Cir e Cofide), che hanno anche il controllo azionario del quotidiano la Repubblica e del settimanale L’Espresso”.

 

Avrete capito che stiamo parlando della cosiddetta GF e ID (Grande Finanza e Industria Decotta), ovvero di quella parte di essa che ha un ampio radicamento nello schieramento politico di sinistra (Pd e affini).

Quindi, Sorgenia, dopo essersi costruita questa immagine virtuosa di azienda attenta ai consumi energetici e alla riduzione al minimo dei rischi ambientali in tale settore (anche se apprendiamo, da questa intervista, che detta impresa ha repentinamente cambiato la sua valutazione sulle rinnovabili, oggi definite da Orlandi del tutto marginali), si è specializzata nella costruzione di centrali a turbogas, le quali, evidentemente, rendono molto di più dei “mulini a vento”, sui quali essa aveva basate le sue iniziali campagne di sensibilità ambientalista.

Non a caso, l’ad di Sorgenia, approfittando dell’ultima crisi diplomatica tra Mosca e Kiev, propone di potenziare i rigassificatori, al fine di allentare la dipendenza dell’Italia dalla Russia che rischia di lasciarla a secco, nei periodi invernali, a causa di beghe geopolitiche con il suo “estero prossimo”, finito nell’orbita di Washington.

Soprattutto, costui chiede un intervento dello Stato, sia in senso “diplomatico” che, ça va sans dire, in senso economico, per liberare l’Italia dal giogo di tali inaffidabili paesi (leggi ancora la Russia), magari facendo fallire l’alleanza di ferro che è stata stretta tra il gigante russo dell’energia Gazprom, e la nostra ENI. Quest’ultima ha ben lavorato, in questi anni, proprio di concerto con l’impresa estrattiva russa, attivando un canale di approvvigionamento privilegiato dal quale stanno conseguendo importanti accordi tra i due Stati, e non solo dal punto di vista commerciale. Ma ad Orlandi, dietro il quale strepita il ventriloquo De Benedetti, dà fastidio che l’Italia si leghi troppo all’orso russo deludendo i partners d’oltre-atlantico. E’ evidente che a De Benedetti, il cui gruppo è uno di quelli che ha maggiori cointeressenze finanziarie e industriali con gli americani, questa situazione non dà grandi vantaggi.

E nel richiedere l’aiuto dello Stato (elargizione di fondi pubblici e qualche accordo preventivo che spiani la strada al suo gruppo sul mercato internazionale) De Benedetti pretende anche che le sue dirette concorrenti, ovvero due delle imprese di punta più innovative del nostro paese, quali sono Eni ed Enel, siano fortemente indebolite.

La versione ufficiale è sempre la stessa: occorre ripristinare le sacre leggi della concorrenza e del mercato che però ci rendono sempre più dipendenti da Wasghington e dell’ordine mondiale statunitense. Insomma, siamo alle solite. Prima ci hanno provato richiedendo a gran voce lo smembramento dell’ENI e tentando di sottrarle la distribuzione per affidarla alle municipalizzate (tutte in odor di PD), adesso si batte la stessa strada ma con un nuovo argomento, la differenziazione delle fonti di approvvigionamento. Quest’ultima può certo essere utile all’Italia, ma non deve essere raggiunta in modo subdolo, teso cioè ad inficiare importanti accordi (che hanno una valenza strategica per l’intero Paese) al solo scopo di accontentare gli interessi ristretti di qualche capitalista singolo, e per di più della peggior specie parassitaria.

 

L’ad di Sorgenia e la crisi del metano:

"L’Italia punti tutto sui rigassificatori"

di Redazione

Mosca e Kiev si accordano sul gas, ma i problemi restano. Orlandi: "Da Russia e Algeria dipende il 65% delle forniture, è un rischio geopolitico inaccettabile. Il governo abbandoni la politica dei metanodotti"

Russia e Algeria forniscono circa il 65% del gas che consumiamo: un rischio geopolitico inaccettabile. L’accordo tra Mosca e Kiev non risolve il problema delle forniture. Il governo dovrebbe avere il coraggio di abbandonare i metanodotti in progetto (che ci legano ancora di più ai soliti fornitori) per puntare tutto sui rigassificatori. E per il momento, grazie alla crisi, abbiamo consumato relativamente poco. Massimo Orlandi, ad di Sorgenia che fa capo al gruppo Cir, non vuole fare inutili allarmismi, ma ritiene che sia ora di cambiare rotta, anche nelle energie rinnovabili.

Abbiamo superato la crisi ucraina ma i problemi veri potrebbero arrivare in futuro…
«Circa il 65% delle nostre importazioni arriva da Russia e Algeria: è un rischio geopolitico inaccettabile. La quota del 65% c’era già quando consumavamo 60 miliardi di metri cubi l’anno, c’è oggi che ne consumiamo 85. È una situazione in cui non dormirei tranquillo: la stragrande maggioranza dei progetti via tubo da realizzare nei prossimi anni ci legherà di nuovo a Russia e Algeria. Io farei una scelta draconiana: darei priorità ai rigassificatori, rinunciando ai progetti via tubo che aumentano la dipendenza da quei due Paesi. Il rigassificatore offre due opportunità: diversifica le fonti e permette l’ingresso sul mercato del gas di qualcun altro che non si chiami Eni o Enel. Lo Stato si dia da fare per individuare 4-6 Paesi produttori di metano attivi nella catena del gas liquefatto come Nigeria, Qatar, Emirati, Angola, Egitto. Si dovrebbero stringere accordi tra Stati in cui in cambio di forniture si favoriscono gli investimenti italiani in quei Paesi. Tu mi dai il gas, e io ti faccio le fabbriche, un po’ come è stato fatto per l’Eni nei decenni scorsi. Per il nostro Paese è un interesse strategico a livello nazionale: una volta solo l’Eni aveva la capacità di fare queste cose, oggi ci sono anche altri».

Ma chi ha i soldi per sostenere questi progetti? Voi li avete?
«Noi siamo nati nel ’99 e abbiamo portato avanti un piano di investimenti da più di quattro miliardi: è un problema di credibilità, e noi siamo credibili. Con il rigassificatore di Gioia Tauro soddisferemo una domanda captive di 5 miliardi di metri cubi l’anno per fornire le nostre centrali. Altri due miliardi già li importiamo dalla Libia con un contratto Eni e li destiniamo ai nostri clienti. Prima della crisi le banche avrebbero finanziato il 90-95% del progetto, oggi probabilmente arrivano al 75-80%, ma resta un progetto fattibile».

Sì, ma poi dovrete trovare il gas liquefatto.

«Finora i produttori di gas liquefatto erano “corti”: l’Algeria non faceva più contratti a lungo termine, ma solo “spot” per guadagnarci di più. Ma la situazione sta cambiando. Entro il 2012-2015 la disponibilità di gas liquido dovrebbe crescere in quantità rilevante, anche se ci sono produttori che si stanno organizzando: il gas costa di più in inverno, così stanno costruendo rigassificatori nei due emisferi per fornire sempre d’inverno. Il mondo del gas cambierà totalmente entro 10-15 anni: il gas liquido è più flessibile, è un valore enorme. L’Italia deve agganciarsi a questo trend, con le sue aziende e con l’impegno diplomatico dello Stato».

Per difenderci dalle crisi del gas forse abbiamo altri due mezzi: il risparmio energetico e le energie rinnovabili.
«Sulle rinnovabili noi scommettiamo molto, ma non illudiamoci: nei prossimi anni resteranno marginali, anche se dobbiamo farle crescere perché gas e petrolio non sono infiniti. Quanto al risparmio, già oggi le lampade a led consumano un decimo di quelle tradizionali e hanno una durata lunghissima. Poi c’è l’isolamento degli edifici che permette un risparmio del 30-40 per cento. Però vanno mantenuti gli incentivi: sul lungo periodo la scelta del risparmio energetico è vincente. Piuttosto bisogna semplificare il modo in cui vengono dati gli incentivi e i permessi per gli impianti delle energie rinnovabili. Gli Stati Uniti hanno un sistema che va dritto allo scopo, noi siamo troppo complicati. Le Regioni decidono sull’approvazione in base a criteri diversi: diamo alle Regioni quello che è delle Regioni, ma i criteri devono essere sicuramente unificati a livello nazionale».