Desolazione Italia di G.P.

L'Italia è divenuta la patria degli smargiassi e dei fanfaroni che mascherano la propria infingardaggine e incompetenza dietro la rissa pubblica e la polemica ad alta voce. Si urla e si sbraita, da un capo all’altro della politica e dell’economia, della cultura e della società, ma sempre meno si prendono quelle decisioni indispensabili a dare spiragli di opportunità alla nazione, in un contesto che si fa viepiù drammatico sotto ogni profilo.
E questo vale per tutte le sfere sociali dove spesso sono i gruppi di potere più screditati e parassitari a dettare la linea e la condotta alle poche forze vive che ancora resistono al deterioramento generale. Si sonnecchia e si vivacchia in attesa di tempi migliori di là da venire in mancanza di iniziative coraggiose e, comunque, impossibili senza un ribaltamento purchessia del quadro di desolazione nel quale siamo piombati, prima ancora che la crisi finanziaria internazionale divenisse l’alibi reiterato dai nostri governanti  a giustificazione dei loro innumerevoli errori. Partiamo dall’attuale Esecutivo. Una maggioranza scombinata in preda agli spasimi da personalismi e alle faide correntizie perde tempo e terreno laddove il primo stringe ed il secondo cede sotto ai piedi. Chi ne pagherà le conseguenze non saranno certo Berlusconi o Fini ma il popolo italiano che privo di punti di riferimento, in un momento storico di immani mutamenti, sprofonderà definitivamente nella morta gora dove si trova già bloccato. Persino i soldati del Cavaliere di Arcore sono disorientati e se uno come Feltri si chiede cosa stia accadendo, dopo il muro contro muro tra il Presidente della Camera e quello del Consiglio, vuol dire che la situazione è del tutto marcita. Del resto, com’è possibile che il leader del PDL accetti di tenersi in casa il proprio assassino sapendo che questi non ha smesso di tramare alle sue spalle e che sta solo aspettando la prima occasione per disarcionarlo? Il capo dello Stato, approfittando dei tentennamenti dei berlusconiani ha invitato il governo ad andare avanti, ma si tratta di una affermazione sibillina che così dovrebbe essere completata, “andare avanti… nel logoramento” e permettere alla compagine a lui più affine di rifarsi sotto approfittando dell’autoconsunzione dell’avversario. Quanto potrà durare questo tira e molla? Sempre troppo per un Paese in mezzo al guado, impotente al cospetto di circostanze storiche singolari che stanno modificando il quadro politico mondiale. Che dire poi dell’economia? Qui comandano soprattutto le banche e le imprese del “cattivo vapore” che dopo aver smesso di svolgere qualsiasi funzione sociale non sono capaci di restare sul mercato senza appoggiarsi alla stampella statale. La regola è allora quella della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite, in maniera da far pagare sempre ai cittadini i guasti del sistema. Il mondo intellettuale riflette questa discesa a capofitto nel baratro di una misera epocale che dilapida inesorabilmente l’eredità di un antico splendore culturale di cui la nostra terra è stata madre fertile. Per mascherare questa triste realtà si moltiplicano premi e riconoscimenti da assegnare a qualsiasi nullità analfabeta che finga di saper tenere in mano una penna. E’ l’orgia devastante del ceto semicolto salito alla ribalta editoriale! Infine, anche dal lato sociale lo scatafascio non è meno vasto, crescono egoismi, corporativismi, razzismi, tra gruppi sociali, tra aree territoriali, tra autoctoni e stranieri, tra occupati e disoccupati. Si rischia realmente la spaccatura del Paese a prescindere dalla Lega. Le guerre e i rancori tra ceti sociali, come quelli tra lavoratori autonomi e dipendenti, vengono alimentate ad arte, et pour cause, dalle attuali squadriglie dirigenziali e manageriali, del settore pubblico e del privato, le quali per non essere capaci di reagire alla decadenza in atto, essendone parte in causa, devono dividere, separare, frammentare per dominare e sopravvivere alla loro stessa rovina. Perciò la crisi fa un salto di qualità e da dramma economico e politico diventa tragedia sociale che recide le radici spirituali del corpo nazionale. Questi drappelli dirigenti attuano manovre diversive per garantirsi la propria meschina conservazione avvilendo e umiliando l’intera società. Proprio come nelle considerazioni del Gattopardo questa classe di saprofiti ripete a sé stessa: “per noi un palliativo che permette di durare cento anni equivale all’eternità”. Ma cento anni sono un auspicio troppo generoso per questi cadaveri ambulanti, mentre anche un solo minuto in più di loro esistenza per tutto il resto della popolazione equivale ad una morte certa.