DEUTSCHLAND UBER ALLES: LA FINE DEL CAPITALISMO RENANO di GIANNI DUCHINI SETTEMBRE ‘10

   Il Capitalismo Renano tedesco  sorse  dalle macerie del Secondo Conflitto mondiale e si sviluppò fino ai giorni nostri: un traguardo ormai concluso. Axel Weber, presidente della Bundesbank, racconta a 40 banchieri centrali la grande rivoluzione intervenuta nell’economia tedesca:” Tutto è cambiato da quando si è passati da contratti di lavori per settore e su scala nazionale a contratti aziendali e territoriali. Gli aumenti di produttività liberati da questa svolta sono anche maggiori delle stime, in sé già spettacolari”. Parafrasando, si può dire che la Germania, per tutto il dopoguerra è stata l’esempio di relazioni industriali consociative, ha abbandonato il modello di capitalismo, noto come “Renano” .
      A questo proposito, si deve ricordare che l’asse portante del sviluppo economico tedesco fu contemperato dal mitico Stato Sociale (Welfare State) che rappresentò, con quello tedesco del premier Brandt (anni ’60),  la bandiera di ogni socialdemocrazia occidentale: un provvidenziale controcanto politico nei confronti dei paesi del “Socialismo Reale”.
      Un ipotesi socialdemocratica ben riuscita,  se fu in grado di irradiarsi in una duplicazione sociale-statalista, in osservanza alle peculiarità di ciascun  capitalismo occidentale, che garantì nel  complesso un sostanziale sviluppo economico-sociale entro un mondo bipolare (Usa-Urss), durato circa Cinquant’anni; in cui però gli Usa poterono dispiegarono pienamente la potenza espansiva del Capitalismo Manageriale  fino all’implosione dell’antagonista Urss (con la caduta del muro di Berlino ’89); non senza dimenticare che quel mitico Stato Sociale intrigò, fino allo stato più confusionale, tutti i partiti comunisti occidentali, che identificaronolo statalismo con il socialismo; in primis il Pci, (Partito comunista italiano), che dalle  caratteristiche  togliattiane, svaccò in “mani pulite”,  e con esse  il predominio Usa in Italia, grazie alla ben nota “GF&ID”: un totale impedimento di ogni, sia pur velleitaria,  politica nazionale.
    Si può  essere tentati di aggiungere che il nuovo miracolo tedesco, con un tasso attuale dello sviluppo economico di oltre il 3% e con sette  settori industriali orientati  all’esportazione, nasce sicuramente da un insieme di risorse finanziarie messe a disposizione per rendere le industrie tedesche più competitive, che ricordano molto il “credito all’innovazione” di schumpeteriana memoria. Un carattere nazionale di autofinanziamento   finanziario che si forma non solo, da risparmi di spesa pubblica (Welfare), quanto da una incisiva politica di credito finanziario concesso dalle banche tedesche alla competizione industriale; un esatto contrario a quello che succede in Italia: il risparmio di risorse finanziarie ottenuto dalla riduzione di spesa pubblica (Stato Sociale) contribuisce a creare, insieme alla politica creditizia delle banche, un flusso finanziario che arriva alla   “Grande Finanza e Industria Decotta” (GF&ID).     
         Da qui l’urgenza di un  nuovo spirito  della ricerca  su un nuovo  piano  di analisi, lasciata vuota e tutta da iscrivere sui “Capitalismi” (nazionali); i cui modelli di riferimento sono rimasti, troppo a lungo, sull’unicità del Capitalismo Borghese Inglese (ottocentesco), imposto in modo fortemente ideologico dagli economisti borghesi, con le loro “visioni” dell’Economia Politica; con la conseguenza cheun’analisi, minimamente strutturale, è muta, in un attendismo ormai improcastinabile  e perché imposto, soprattutto, dall’ingresso del multipolarismo; un compito non facile nel disvelare il “nuovo”  che avanza sotto la copertura di un mondo scomparso ormai da decenni.
      La strada della ricerca è stata aperta con un inusuale  profondità   da Gianfranco La Grassa, in tanti anni di solitario “cammino” (come nel suo ultimo scritto, “Prospettiva Possibile ma…” apparso sul blog “Conflitti e Strategie”); si tratta di (rac)cogliere e misurare l’ impatto dei suoi scritti, non solo  evocativi,  che possono avere sulla realtà  sociale,  che viene condotta su ipotesi, sia pure scientifica, in luoghi di processi storici, in continui aggiustamenti teorici; un percorso tutto in salita, e che soltanto dall’alto ( della ricerca) si può dischiudere  un nuovo orizzonte politico.