Di alcune istruzioni pratiche sull’uso politico dell’ordigno giudiziario nella recente storia italiana

(corredate da esempi riguardanti imprese strategiche nazionali e conclusive considerazioni a margine)
di Emilio Ricciardi

1.         Sono succose le anticipazioni del nuovo libro-intervista di Francesco Cossiga contenute nell'articolo a firma di Andrea Cangini (l’intervistatore, e dunque il coautore del libro stesso) apparso sul Quotidiano Nazionale del 27 maggio 2010.
Premetto subito che non ho letto il volume ma, stando almeno a tali anticipazioni, sembra potersi definire come un opuscolo sulla natura (non tanto ”umana”, come recita il titolo, ma) del potere politico; e non già in generale, bensì con stretto riferimento al nostro paese, com’è reso palese dai molteplici e concreti richiami alle vicende della storia italiana nei cui effetti ancora siamo immersi, subendoli. Dunque, non trattato ma, appunto, opuscolo, sorta di agile prontuario teorico-pratico di ausilio per la decifrazione delle dinamiche politiche italiane (in quanto inserite nel sistema politico internazionale). O quantomeno, è soprattutto questo – ossia, di nuovo, il taglio manualistico, da vademecum pregno di concretezza e realismo – l’aspetto che ha letteralmente calamitato la mia attenzione (seppure motivi d’interesse risiedano anche, ad es., nelle ulteriori variegate affermazioni circa il nesso “trinitario” intrinseco ed inevitabile politica-corruzione-denaro e, sul piano storico, l’asserita piena compartecipazione del P.C.I. alle nomine dei vertici dei servizi segreti unitamente all’instaurazione di canali di consultazione costanti tra quello e quest’ultimi).
Ebbene, tale aspetto mi pare trovi una delle sue più icastiche e precise espressioni in quelle proposizioni cossighiane (su parte delle quali già si è soffermato Gianni Petrosillo su questo blog in un post del 28 maggio 2010) incentrate sulla minuziosa descrizione (tuttavia, come si vedrà più avanti, da completare e sviluppare) del funzionamento del dispositivo giudiziario il cui impiego a fini di lotta politica ha caratterizzato la storia italiana degli ultimi vent’anni circa, dall’operazione Mani Pulite all’attualità.
2.         Più in particolare, Cossiga sostiene che <<“Mani Pulite non nasce con l'arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con diversi grandi imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle intercettazioni. C'è qualcosa che non torna: perché quelle inchieste da anni dimenticate sono state di colpo lanciate tra i piedi del ceto politico?”. Secondo il presidente, allora l'azione della magistratura fu incoraggiata dall'Fbi americano e dai poteri forti italiani. […] La prassi non è cambiata: “La polizia giudiziaria non risponde più ai propri superiori, per cui il magistrato chiama il funzionario di turno e gli dice: ‘Lei intercetti Tizio, se risulta qualcosa di utile per l'inchiesta, ho già lasciato uno spazio bianco negli atti; in caso contrario, metta da parte le cassette perché possono tornare utili…'”>>.
Si tratta, in effetti, di affermazioni notevoli; ma non solo e non tanto per l’informazione in sé che veicolano, dacché il lettore attento ricorderà che già Paolo Guzzanti, per citare solo l’ultima tra le fonti che appaiono fededegne poiché presumibilmente alimentate da qualche referente qualificato, non molti mesi orsono rivelò chiaramente i vari incontri tenuti tra la Fbi ed i magistrati italiani in quanto prodromici all’avvio della campagna Mani Pulite, al punto da affermare che quest’ultima “nasce come operazione Fbi (un’operazione, fra l’altro, internazionale nata proprio con il nome “clean hands”)”. Dunque – scrivevo –, non solo e non tanto per l’informazione in sé, ma per le circostanze che la specificano e declinano. Le considerazioni in questione, difatti, forniscono, a mio avviso, importanti elementi suscettibili di generalizzazione e sviluppo circa il concreto quomodo della lotta giudiziario-politica divenuta la cifra degli ultimi vent'anni di storia del paese.
Indicano, più precisamente, il modello operativo (o uno tra i più "frequentati") adottato dalla magistratura inquirente, o meglio, dal plesso magistratura-polizia giudiziaria-servizi segreti, per contribuire all’azione di dissociazione e scardinamento del nostro ordinamento politico-sociale, preparando il terreno, tra l’altro, all’imperversare del movimentismo d'opinione ("pubblica"). innescato se non guidato dal ceto giornalistico, con l’ausilio dei connessi organi mediatici (ed è sufficiente enumerare le stolte e fatue “folate” movimentistico-legalitarie di questi anni della “società civile” ovvero, secondo la nozione di sedicenti storici inglesi, del c.d. ceto medio riflessivo ma in realtà quasi tutte originate nella sinistra – dalle fiaccolate milanesi di sostegno all’azione del pool dei magistrati eponimi, al “popolo dei fax”, ai “girotondi per la democrazia”, al “popolo viola”, ed ora alla “rivolta dei post it”, levatasi contro il d.d.l. sulle intercettazioni –, per rendersi conto dell’efficacia esiziale della suddetta azione disgregativa).
3.         Rielaborando assiomaticamente lo schema di Cossiga, il meccanismo così funzionerebbe: il primo passo è l’avvio di un'indagine giudiziaria a “medio gradiente di politicità”, vale a dire nei confronti di “quadri” (o di soggetti a questi riconducibili) e non di eminenti personalità politiche, che solo successivamente potranno venire coinvolte; tale indagine, difatti, costituisce il più delle volte soltanto l'occasione, il “trampolino” – e questo è il secondo passo – per effettuare intercettazioni (prevalentemente queste, ma anche altri atti d’indagine informale, quali, ad es., pedinamenti, i cui esiti sono poi riportati in annotazioni di servizio) le quali, non immediatamente pertinenti al tema d'indagine e quindi in quel momento inutilizzate, vengono (apparentemente accantonate ma in realtà) “custodite”.
Tuttavia, già a questo punto mi pare s’imponga d’apportare, come anticipato, una serie di integrazioni ad uno schema che soffre di un’eclatante lacuna: l’assenza, nello scenario, dei servizi segreti (naturalmente, è utile ribadire che sto riflettendo sulla base di frammenti del libro-intervista del politico sassarese, sicché esso potrebbe smentire le carenze da me segnalate; anche se nutro la ragionevole convinzione che così non sarà).
In primo luogo, la notizia di reato destinata a sfociare in un’indagine “politica” non spunta mai improvvisamente, come Atena dalla testa di Zeus. Essa ha sovente alle spalle ambienti dei servizi informativi della sicurezza, da cui promanano, difatti, le opportune indicazioni sul come e sul “da chi” partire per l’avvio di un’indagine.
Così come sono sempre tali ambienti – ed è la seconda integrazione – a “custodire” (intendo: a non dimenticare, a tenere presenti, per impiegarle alla bisogna,) le menzionate intercettazioni (
o comunque le altre risultanze scaturite dalle indagini informali), una volta acquisite dai funzionari di polizia giudiziaria. Più precisamente, appositi reparti di siffatti corpi speciali sono deputati ad immetterle nuovamente, e stavolta in via definitiva, nel circuito investigativo, a seguito – ed è il terzo ordine di integrazioni – del ben mirato impulso ricevuto da soggetti collocati in gangli tanto apicali quanto in penombra (ed a loro volta terminazioni di gruppi di potere, veri artefici della strategia), in funzione del contributo da fornire al conseguimento di prefissati obiettivi squisitamente politici.

Non sembra superfluo precisare che tali intercettazioni – secondo quanto desumibile dall’ipotesi cossighiana – non verrebbero in evidenza direttamente perché contenenti una già completa notitia criminis bensì in quanto veicolerebbero quelli che in gergo sono definiti spunti investigativi, ossia dati spuri ed informi ancora distanti dalla soglia, appunto, della notizia di reato e tuttavia promettenti quest’ultima sol che li si sottoponesse a successivi sviluppi ed elaborazioni. È questo l’ambito in cui “regnano” gli apparati di polizia – in Italia peraltro assai numerosi e dotati ciascuno di una non trascurabile relativa autonomia operativa -, fautori discrezionali di tempi e modi delle operazioni ed al contempo interrelati fortemente ai servizi informativi di sicurezza, a loro volta, certo, articolati al proprio interno e tuttavia tendenzialmente riconducibili, nella loro azione fondamentale, a centri di comando unitari.
Sono quest’ultimi, in definitiva, che dettano, naturalmente dietro precise direttive di agenti strategici, tempi e modi degli approfondimenti dei citati spunti investigativi, individuando il momento politico in cui farli emergere, magari non nella loro interezza ma in determinati spezzoni, così da giostrarli con un sapiente gioco che vede l’alternarsi di avvertimenti intimidatori (a loro volta da modularsi secondo il grado d’invasività: indiscrezioni, divulgazione pubblica di atti d’indagine, perquisizioni, arresti di soggetti della cerchia, ecc.) e subitanee ritirate, sino all’eventuale attacco finale. Ma è importante tornare a porre in risalto e non perdere mai di vista la circostanza che, per poter funzionare efficacemente, la descritta sequenza procedurale debba poggiare sull’esistenza dei descritti “spunti investigativi dormienti” (i quali, si ripete, includono intercettazioni da implementare, annotazioni di servizio e, più in generale, tutti quella “zona grigia” occupata da atti d’indagine allo stadio spurio ed informale).
            Così delineati i tratti essenziali dell’ipotesi ricostruttiva di uno tra i più praticati dei moduli operazionali del dispositivo politico-giudiziario italiano vigente negli ultimi vent’anni, completezza d’analisi esige che ora si proceda alla sua “verifica sul campo”.
Laddove le recentissime vicende giudiziarie che hanno coinvolto i massimi dirigenti della Finmeccanica e di alcune società appartenenti al gruppo che a questa fa capo così come simili episodi che stanno tuttora riguardando (seppure con assai minore risonanza pubblica; e si anticipa sin d’ora che questa stessa scarsa eco mediatica non è casuale né deve essere data per scontata, ma fa problema) l’Eni, ben si prestano a costituire il “materiale” su cui effettuare tale verifica, e quindi testare la capacità conoscitiva della suddetta ipotesi.
4.         I citati dirigenti sarebbero indagati dalle Procure di Napoli e di Roma per reati che vanno dalla corruzione e riciclaggio (quanto alla Procura capitolina) all’associazione per delinquere e turbativa d’asta (quanto alla prima Procura) e, in base a quanto riportato da quasi tutti gli articoli apparsi sulla stampa di quest’ultimi giorni, le indagini sarebbero scaturite da intercettazioni effettuate molto tempo addietro (precisamente, 21 settembre 2007 e 12 febbraio 2008 per l’indagine romana; dicembre 2008 per quella partenopea; peraltro, ho scritto “quasi” tutti gli articoli di stampa perché in realtà Fiorenza Sarzanini, nel Corriere della Sera del 28 maggio 2010, ha affermato che le intercettazioni relative all’indagine della capitale avrebbero avuto luogo appena un paio di mesi fa, dunque nel mese di marzo 2010; salvo che l’indomani altra giornalista del Corriere della Sera, Lavinia Gianvito, smentendo nei fatti la collega, afferma la data dell’intercettazione donde scaturisce l’indagine essere il 12 febbraio 2008).
            I primi atti ufficiali d’indagine che hanno fatto seguito a queste intercettazioni sono stati le perquisizioni svolte, rispettivamente, il 22 aprile 2010 dai magistrati napoletani nelle sedi della Finmeccanica e di altre società del gruppo e, verso la fine dell’appena trascorso mese di maggio 2010, dagli inquirenti romani (che tuttavia hanno negato avere disposto alcuna perquisizione e/o acquisizione di atti). Pertanto, appare evidente l’anomala eccessiva distanza temporale intercorrente tra intercettazioni e perquisizioni. Né varrebbe obiettare che essa è dovuta al tempo richiesto dalla necessaria attività di elaborazione del contenuto delle conversazioni intercettate. Difatti, proprio il tenore di tali conversazioni (per come riportato dalla stampa) avrebbe consentito in thesi di disporre quelle perquisizioni immediatamente dopo il loro ascolto.
Mi chiedo, quindi, se non risponda ad un deliberato intento destabilizzante l’attivazione nel circuito giudiziario di quelle intercettazioni proprio in un momento di estrema sensibilità dell’opinione pubblica verso episodi di corruzione politico-imprenditoriale, in un contesto politico-sociale scosso dalla crisi economica e dalla recente manovra finanziaria.
            Analogo discorso può farsi, a maggior ragione, rispetto all’ulteriore pista investigativa che secondo “la Repubblica” si starebbe coltivando sempre nei confronti della Finmeccanica in relazione all’acquisto, il 22 ottobre 2008, da parte di quest’ultima della DRS Technologies Inc., società statunitense avente un ruolo strategico nel settore della tecnologia degli armamenti e tra le prime fornitrici delle forze armate  e dell’intelligence USA, anche se all’epoca fortemente indebitata. L’articolista del citato quotidiano muove dal richiamo ad un’azione legale della Sec per insider trading, ma finisce poi per alludere ad attività corruttive commesse per il tramite di un consulente factotum di Guarguaglini al fine di favorire l’acquisizione della società statunitense. Senonché, pare del tutto inverosimile che l’intelligence USA non conoscesse nei più piccoli dettagli le presunte attività illecite agevolatrici della conclusione di un’operazione che avrebbe comportato l’accesso di un’impresa straniera (la Fimmeccanica, appunto) ai segreti industriali dei sistemi bellici e di sicurezza della prima potenza mondiale. Ne consegue che, anche ammettendo l’esistenza di fatti di corruzione e/o “fondi neri”, le informazioni su di essi avrebbero “dormito” quantomeno sin dal 22 ottobre 2008 (data, come visto, dell’acquisto della ridetta società statunitense), per poi emergere in Italia solo oggi, in un momento politico-s
ociale connotato nel senso più sopra accennato.

            Il fatto si è che l’ingresso ed affermazione di Finmeccanica (ché questo si è verificato) in un mercato (diventato così di riferimento per il colosso italiano) ed in un settore decisivi come quello del supporto alle forze armate ed all’intelligence statunitensi nel comparto dell’elettronica per la difesa, la immette inevitabilmente in un sistema, in gran parte anche invisibile ma non per questo non rigidissimo, di vincoli e controlli nonché – last but not least – ricatti, da esercitare all’occorrenza per riportare all’ordine soggetti imprenditoriali riottosi ed “eccessivamente disinvolti” nello giostrare, in termini e geopolitici e geoeconomici, nel mercato mondiale. Il che è quanto sembra “imputarsi” a Fimeccanica.
La memoria, al riguardo, corre subito agli importanti accordi[1] conclusi nel luglio del 2009 (e dunque successivi all’acquisizione della menzionata DRS Technologies Inc.) tra la Finmeccanica ed il maggior fondo sovrano libico per la realizzazione di progetti industriali nel periodo 2009-2014 nei settori dell’aerospazio e, più in generale, dell’elettronica per la difesa e la sicurezza (secondo Guarguaglini, trattasi di progetti del valore di 4 miliardi di euro, per un indotto di 20 miliardi). Ma anche i progetti industriali avviati in Iran sin dal 2005 (anno della salita al potere del presidente Mahmud Ahmadinejad), sia per la realizzazione di impianti per la produzione di alluminio e di trattamento di gas naturale sia, da ultimo, per la fornitura di nuove turbine per le centrali elettriche iraniane, è presumibile abbiano fortemente irritato le amministrazioni USA. Al punto che, durante la sua recente visita a Washington del febbraio 2010, Fini pare abbia, da un lato, ricevuto apprezzamenti per l’inversione di rotta dell’Eni sull’Iran ma, dall’altro, subito (ma sarebbe meglio scrivere accolto) un diktat dal vicepresidente USA Biden affinché una più recalcitrante Finmeccanica rinunciasse alla suddetta fornitura di turbine.
E, ad oggi, non consta vi siano state azioni di Finmeccanica conformi ai desiderata degli USA sul punto. Anche se elevata è la possibilità che i primi effetti delle indagini giudiziarie in corso vadano proprio nella direzione voluta dalla prima potenza mondiale. Da questo punto di vista, potrebbe diventare decisiva una presa di posizione del Governo italiano in argomento, che riconfermi la propria fiducia in Guarguaglini ed al contempo prepari le adeguate contromosse sul fronte americano, onde avvisare chi di dovere che Finmeccanica “non si tocca”. Il che, a sua volta, presuppone una decisa volontà politica accompagnata da corrispondenti atti organizzativi nell’ambito dell’apparato dei servizi di sicurezza, i quali, tuttavia, non sembrano purtroppo essere alle viste. Ma di ciò si tratterà, seppure brevemente, in conclusione del presente scritto.
5.         Anche l’ENI ha i suoi problemi giudiziari. Sono relativi a presunte tangenti pagate negli anni dal 1994 al 2004 da un consorzio di quattro imprese (tra cui la Snamprogetti, del gruppo Eni, poi acquistata ed infine incorporata dalla Saipem, e la statunitense Kbr/Halliburton) operanti in Nigeria, al fine di ottenere l’appalto per la realizzazione di impianti di liquefazione del gas naturale. L'indagine è nata in Francia e si è sviluppata in Inghilterra e negli Stati Uniti – in particolare grazie alle rivelazioni del “capo” della citata Kbr, che ha concordato con la giustizia USA una condanna a 7 anni di reclusione e ammesso il pagamento delle tangenti – per poi approdare in Italia, dove dal 2004 la Procura di Milano sta svolgendo le relative indagini.
Due circostanze vanno rimarcate: i) la condanna al citato massimo dirigente della Kbr ha avuto luogo nel febbraio 2009; ii) è sulla base di tale condanna, e della connessa ammissione di responsabilità di detto dirigente, che la Sec ed il Dipartimento della Giustizia USA stanno esercitando pressioni sull’Eni per ottenere il pagamento di elevate sanzioni pecuniarie previste dalle loro leggi, minacciando al contempo il monitoraggio costante dei sistemi di controllo interni di tutti i vari consorziati e delle loro controllanti (tra cui, quindi, l’Eni) nonché la loro esclusione, in tutto o in parte, da progetti futuri o l'interruzione di quelli eventualmente in corso con il governo/autorità statunitensi. Un primo risultato di tali pressioni è che l’Eni ha deciso di concludere una transazione da circa 250 milioni di euro con la Sec ed il Dipartimento della Giustizia statunitense. D’altra parte, la Procura di Milano, nell’ambito delle proprie indagini, sta tentando di ottenere un provvedimento che interdica all’Eni ed alla Saipem di negoziare con la pubblica amministrazione nigeriana.
            Naturalmente, a parte quest’ultimo tentativo (che, anche se ritengo improbabile vada a buon fine, costituisce comunque una turbativa dell’agibilità imprenditoriale del gruppo Eni in Nigeria), si tratta di una vicenda di assai minori rilevanza oggettiva e risonanza mediatica rispetto alle vicende riguardanti la Finmeccanica. Mi pare però emblematica del carattere pervasivo e pernicioso che assumono gli strumenti di cooperazione giudiziaria internazionale e dell’ineluttabile dimensione politica in cui si collocano quando vengono impiegati per il controllo delle attività imprenditoriali svolte a livello mondiale dalle grandi imprese (comunque coadiuvate dagli Stati quale che sia la natura della loro situazione proprietaria) nell’ambito dei settori produttivi strategici (energia, armamenti, aerospaziale, elettronica della difesa, informatica, telecomunicazioni, nanotecnologie, ecc.). Tale oggettiva dimensione politica risalta poi con particolare nettezza quando l’uso dei suddetti strumenti è ammannito con sapiente dosaggio di tempi e modi, costantemente calibrati in funzione del mutare dei comportamenti del “bersaglio”.
            Così, e per tornare all’attualità, per un Guarguaglini che – come accennavo – non sembra avere mostrato compiacenza verso i desiderata USA in relazione alle iniziative imprenditoriali in Libia o Iran, ed è ora sotto attacco, assistiamo ad uno Scaroni che non ha perso occasione, in quest’ultimi tempi, per lanciare messaggi “rassicuranti” (talvolta poi parzialmente smentiti o comunque interpretati) per gli USA (abbandono di qualsiasi progetto in Iran; aperture allo scorporo della rete di trasporto e distribuzione del gas da Eni caldeggiato dal fondo Knight Vinke; unificazione della parte finale del percorso di South Stream con quello del gasdotto Nabucco; enfasi sulla necessità di una forte interconnessione in Europa tra le varie resti nazionali di trasporto del gas al fine di ridurre la dipendenza dal gas russo).
            Certo, potrebbe trattarsi di coincidenze, che dunque non si presterebbero a generalizzazioni; ma il tipo di mosaico che prende forma dalla combinazione di tutte queste tessere pur di diver
sa provenienza, consiglia a mio avviso, a noi che non molto possiamo, costanti attenzione e lucidità critica mentre, a coloro che hanno ancora volontà e possibilità di incidere politicamente su una situazione penosa, di assumere, da subito, decisioni nette.

6.         Come nota nel suo intervento del 30 maggio 2010 su questo blog Gianfranco La Grassa, Berlusconi versa in una condizione di grande isolamento e debolezza.
Ritengo, allora, che, invece di affannarsi nel tentativo di accontentare tutti sortendo solo inutili tergiversazioni e risultati che lo espongono al ridicolo (v., da ultimo, l’episodio della mancata firma del provvedimento sulla manovra finanziaria varato dal Consiglio dei Ministri), dovrebbe paradossalmente assumere fino in fondo questo isolamento e trasformarlo in un punto di forza.
Così, invece di lasciarsi andare a sterili lamentazioni sulla mancanza di potere, per poi puntualmente tornare all’estenuante pratica della  ricucitura e dei compromessi al ribasso, dovrebbe anzitutto munirsi di un proprio “corpo” di consiglieri personali ferrati nel districarsi nei meandri dei vari apparati statali, con particolare attenzione a quelli preposti ai sistemi informativi di sicurezza. Tale corpo dovrebbe restare in parte in uno stadio di informalità ed in parte, per il tramite di alcuni suoi consiglieri, inserito invece stabilmente in un organismo istituzionale a forte guida del capo del Governo (penso, ad es., ad un recupero aggiornato dell’esperienza del Consiglio di Gabinetto, organismo già previsto dalla legge sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1988), il quale riunisca i titolari dei ministeri più importanti ma, appunto, affiancati (ed incalzati, alla bisogna) dai detti consiglieri.
            Sempre in questa prospettiva, è questione cruciale il reale assoggettamento dei direttori dei servizi informativi di sicurezza (AISI ed AISE) e del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (il cui direttore generale è attualmente quel Gianni De Gennaro notoriamente dotato di solidi e consolidati collegamenti con ambienti dell’Fbi; sarebbe opportuno disfarsene ma temo non siano maturi i tempi, anche perché fu nominato dallo stesso Berlusconi appena nel 2008; però lo si dovrebbe attorniare di vice-direttori generali fedeli a quest’ultimo, erodendogli in tal modo potere e spazio di manovra) al diretto ed esclusivo controllo del Presidente del C.d.M (dando effettività ai poteri che la legge del 2007 gli attribuisce).
Ma soprattutto occorrerebbe collocare uomini fidati nei segmenti più nevralgici dei servizi, ad esempio in quelli deputati alla collaborazione informativa con le forze armate e di polizia (anche) giudiziaria nonché con la magistratura, così da recidere complicità devastanti di quest’ultima anche con settori dell’intelligence USA. Il tutto cementato dall’esercizio diretto di un penetrante potere di direttiva (il quale dovrebbe quindi essere avocato a sé, esautorando quel Gianni Letta, ora invece delegato in materia, che pare troppo compromesso con ambienti statunitensi), con la costante verifica circa l’ottemperanza da parte dei vari reparti alle direttive così impartite.
            Se venissero attuate queste prime misure, un primo banco di prova della loro efficacia potrebbe essere rappresentato proprio dall’allestimento di un’azione di protezione delle imprese strategiche nazionali e segnatamente, in questo momento, della Finmeccanica, acquisendo informazioni, ad es., in merito al ruolo di funzionari e politici statunitensi in occasione del ricordato acquisto da parte di quest’ultima della DRS Technologies Inc., in guisa da approntare una difesa atta a neutralizzare eventuali manovre pericolose provenienti da oltre Atlantico.
            Sul piano più strettamente legato alla politica, è necessario prestare attenzione alla posizione di Tremonti (e della Lega), assai abile a tessere e muoversi in modo felpato all’interno di una rete di alleanze multiple anche con quella grande finanza fino a qualche mese fa invece accusata, insieme agli economisti tacciati di essere tanti improvvisati Cagliostro, di comportamento “antietico”, ed in ciò, peraltro, guardato con nuovo interesse da significative aree della sinistra “mediatica” (De Benedetti in primis, poi Scalfari). Pertanto, sarebbe opportuno, per la decifrazione della posizione del tributarista di Sondrio, sollecitare l’attuazione di quel punto della legge sul risparmio che questo stesso volle e che prevede il trasferimento forzoso allo Stato delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia possedute dalle banche.
            Non costituirebbe soltanto un provvedimento di ragguardevole forza simbolica (il che in politica talvolta non guasta), ma consentirebbe, ed è la finalità più importante, anche di far emergere gli effettivi schieramenti al di là delle dichiarazioni di cosmesi e delle manovre diversive, in vista di un regolamento di conti il cui continuo differimento avvantaggia solamente coloro che, nell’ombra, puntano e lavorano per un’azione di logoramento, anche e soprattutto del paese.
 
[1] i quali naturalmente rivestono una valenza non soltanto in sé ma anche per le prospettive strategiche che vi sono sottese, potendo tali accordi rappresentare una formidabile testa di ponte per un insediamento rilevante sia nei paesi dell’area del Mediterraneo, tenendo presente che comunque in Egitto, Marocco ed Algeria l’holding industriale italiana ha già recentemente conseguito importanti contratti, sia, più in generale, in tutta l’Africa e financo in Medio Oriente (in aggiunta all’Iran, cui si accenna più oltre nel testo), oltre all’avvio di nuove operazioni in Russia e senza comunque trascurare la presenza consolidata da tempo in paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, la Malesia e lo Yemen.